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Il paziente diabetico in ospedale

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appunti del dott. Claudio Italiano

Quando giunge un paziente diabetico in ospedale, che cosa fare?

Quali terapie ipoglicemizzanti usare?

Intanto capire se si tratta di un paziente affetto da diabete mellito di tipo 1 o di tipo 2 ed annotare tale classificazione del paziente in cartella clinica perché sia chiaramente a conoscenza del personale che lo assiste.

Può essere, ancora, che un paziente non sappia di essere un diabetico, ma che occasionalmente durante il ricovero si appuri che presenti delle glicemie elevate; ciò accade per esempio nei pazienti con infezioni in atto, nei cardiopatici, in corso di infarto , nei pazienti con fratture varie, in chi si deve operare, nelle gravide (cfr diabete gestazionale), ecc.. In questi soggetti è sempre indicato eseguire il controllo della emoglobina glicata o HbA1c, allo scopo di comprendere quale possa essere la condizione di compenso glicometabolico antecedente il ricovero, cioè le glicemie degli ultimi tre mesi, ci cui appunto la glicata è espressione.

Tipologia dei pazienti ricoverati.

- Diabete mellito noto e preesistente al ricovero;

- Diabete mellito di prima diagnosi durante la degenza, persistente dopo la dimissione;

- Diabete mellito di prima diagnosi durante la degenza, peristente dopo la dimissione

- Iperglicemie correlata alla degenza, cioè persone non diabetiche con un'iperglicemia comparsa per la prima volta durante il ricovero e scomparsa alla dimissione (cfr prevenzione diabete). Quindi i controlli prima dei pasti e due ore dopo il pasto devono essere effettuati anche servendosi del semplice glucometro, per un ottimale controllo delle glicemie, evitando ovviamente delle eventuali crisi ipoglicemiche, cosa assai probabile, specialmente dovuta al fatto che il paziente si sente male, è depresso per l'ospedalizzazione, talvolta non gradisce il cibo che gli giunge dalla cucina ospedaliera e non si alimenta per come dovrebbe, mentre magari l'infermiere che ha controllato le glicemie prima del pasto ha registrato valori adeguati che consentano di effettuare la terapia antidiabetica. In ogni caso, che cosa fare in caso di crisi ipoglicemica.

 In genere si procede con infusione di soluzioni glucosate e basta quasi sempre una flebo al 10% di glucosio, raramente al 33% ed ancora è più raro dover somministrare i kit già pronti con glucagone, (es. GLUCAGONE NOVO*1F+F 1MG  >GLUCAGEN*1FL 1MG+F 1ML  GLUCAGEN HYPOKIT*1, F 1MG+SIR1ML ).

Ciò premesso, va precisato che in ogni caso il momento del ricovero non è quello ideale per impostare un trattamento antidiabetico adeguato e che talora il trattamento ospedaliero deve essere proseguito a domicilio tenendo conto delle glicemie domiciliari.

Per esempio il paziente trattato con insulina in terapia intensiva coronarica,  una volta a domicilio riprende delle cure differenti, per esempio solo con ipoglicemizzanti orali e talvolta a sproposito. E' importante invece che ci sia un continuum tra trattamento ospedaliero ed ambulatoriale e/o la cura dello stesso  medico di famiglia.

Occorre cioè un dialogo continuo tra specialista ospedaliero, ambulatoriale e territorio, nell'interesse del paziente, evitando, se possibile, le liste d'attesa per le visite diabetologiche, specie se sussiste uno scompenso glicometabolico in atto per il paziente, che rinuncia così ad essere visitato per lo stress che gli procura la burocrazia. Sarebbe, invece auspicabile che direttamente potesse afferire al centro diabetologico come per esempio il malato psichiatrico alle cure.

Obiettivi da raggiungere durante il ricovero.

Gli obiettivi glicemici durante il ricovero ospedaliero possono essere differenziati in funzione delle diverse situazioni cliniche:

a) Paziente in situazione critica con valori glicemici più possibile vicini a 110 mg/dl ed in ogni caso > 180 mg/dl.

b) Pazienti in situazione non critica, dove i valori glicemici pre-prandiali possono avvicinarsi il più possibile a 90-130 mg/dl, e post-prandiali a 180 mg/dl.

In alcune situazioni in cui è possibile il pericoloso rischio di ipoglicemia è opportuno un raggiungimento graduale degli obiettivi prefissati.

Cosa usare come farmaci in ospedale?

Certamente l'utilizzo dei principali farmaci ipoglicemizzanti orali (segretagoghi, biguanidi, tiazolinedioni) presentano notevoli limitazioni in ambito ospedaliero. Infatti il malato in ospedale è un paziente acuto, che necessita di cure intense e la somministrazione di insulina è pertanto la terapia giusta ed immediata del diabetico non stabilizzato, cioè del soggetto che giunge all'attenzione del medico ospedaliero con glicemie di 250-300 o 400 mg/dl o anche di più!

 La terapia insulinica per via sottocutanea è indicata per il paziente che si alimenta e che presenta dei valori glicemici rilevati e terapeutizzabili,  cioè  il paziente non deve essere disidratato, in chetoacidosi o in terapia in nutrizione parenterale totale.

 I pazienti critici, quelli che non si alimentano per os, quelli del periodo preoperatorio ed in situazione di grave instabilità metabolica, la terapia insulinica deve essere effetuata in infusione venosa continua, applicando algoritmi basati su frequenti controlli dei valori glicemici.

Viceversa, in ospedale, talora, troviamo il paziente non critico, istruito, dotto, che si sa autogestire. Personalmente mi sono imbattuto in una gravida affetta da diabete tipo 1 che ne sapeva più del personale infermieristico stesso per gestire le sue glicemie! Allora in questi casi, sempre sotto la supervisione del medico responsabile del reparto, è possibile lasciare al paziente una certa autonomia gestazionale circa il controllo delle glicemie. Lo stesso dicasi per il paziente con microinfusore, purchè lo stesso venga programmato in base ai tempi di somministrazione dei pasti in ospedale.

Il diabetico ed i vari reparti di degenza: il grattacapo del medico pratico

Medicina e chirurgia generale, piccoli consigli pratici a buon mercato

Alcuni studi hanno evidenziato una correlazione fra livelli glicemici e mortalità intraospedaliera, frequenza di trasferimento in terapia intensiva durante la degenza ed incremento di infezioni nosocomiali. Tale riscontro è anche possibile per i soggetti che entrano in ospedale con iperglicemia di primo rilievo. In ambito chirurgico è stato evidenziato un aumento di complicanze per glicemie > di 220 mg/dl, viceversa se le glicemie random sono state di <126 mg/dl e <200 mg/dl pre e post-prandiali.

In questi pazienti, non essendoci studi specifici,  l'ADA suggerisce un target glicemico di ricovero fra 90 e 130 mg/dl a digiuno e < 180 mg/dl nel post-prandium, sempre con attenzione a prevenire le crisi ipoglicemiche, senza cioè accanirsi sugli obiettivi. Dunque è accettabile una glicemia anche fra i 90 ed i 130 mg/dl pre-prandiali. In genere si somministra insulina rapida ai pasti (analogo umano) con una regola che prevede il calcolo delle unità, es. 0,3 x kg peso del paziente in 24 ore, suddivisi il 50% ai tre pasti in proporzione al cibo assunto (es. 10% a colazione, 50% a pranzo e 40% a cena) ed il rimanente 50% come insulina lenta (es. tresiba o lantus o levemir,  bed-time).

La regola della glicemia preprandiale diviso 2!

Poi c'è una regola super-pratica (da me brevettata)  che piace molto agli infermieri pratici (sic!), per es. le prime due cifre della glicemia preprandiale diviso 2= unità di insulina corretta da un fattore x tenuto conto del tipo di paziente (se obeso, se magro, se anziano, se febbrile, se mangia, se non si alimenta ecc.).

Facciamo un esempio pratico: paziente normo-maxipeso di 80-100Kg, glicemie di 240 mg/dl prima del pasto, allora le prime due cifre diviso 2 (24 diviso 2) somministro 12 unità di insulina analogo umano (es. humalog, novorapid, apidra) ma sto bene attento che si alimenti adeguatamente con i carboidrati previsti dalla dieta, altrimenti meglio ridurre la dose;

 se viceversa il paziente non si alimenta, se prescrivo una sacca nutrizionale in pratica tengo conto che con 150 g di carboidrati presenti un una sacca base (es. clinimix N9G15E o similare) devo aggiungere circa 48 unità di insulina analogo umano rapido (MAI INSULINA LENTA), ma in genere medico la sacca con meno unità, per es. 30-35, e monitorizzo le mie glicemie.

Esiste poi tutto un sistema di calcoli e di pompe infusionali, ma l'ospedale di periferia spesso neppure ha in dotazione una pompa infusionale. Se poi prescrivo delle soluzioni glucosate al 5% da 500 cc, in genere medico la flebo con 6-8 unità di insulina analogo umano (cioè novorapid, humalog per es).

Nelle flebo al 10% da 500cc moltiplico per 2, dunque aggiungo fino a 16 unità di insulina umana o meglio aggiungo un analogo umano (es. novorapid, humalog o actrapid). Se infine le glicemie del paziente schizzano, allora stacco le infusioni glucosate ed infondo soluzione fisiologica con insulina (es. una fisiologica da 500 cc + 5-8 unità di insulina), tenendo conto che evito questa prescrizione nello scompenso cardiaco e nel nefropaziente, specie se dializzato, dove al massimo possono somministrare 1000 cc di liquidi /die tra una dialisi e l'altra.

 IN OGNI CASO QUESTE INFORMAZIONI PRATICHE  SONO SOLO INDICAZIONI SPICCIOLE, FRUTTO DI UNA PRATICA PLURIENNALE DI CORSIA. E' SEMPRE IL VOSTRO MEDICO CHE DEVE DI VOLTA IN VOLTA, IN OGNI CASO, DEVE VALUTARE IL DOSAGGIO INSULINICO, ADATTANDOLO E PERSONALIZZANDO  ALLA CURA DEL SINGOLO PAZIENTE

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Unità di terapia intensiva coronarica e medica

Diversi studi, almeno una quindicina, hanno documentato come un incremento di glicemia in questi pazienti sia correlabile ad incremento notevole della mortalità intraospedaliera, nei soggetti non noti come diabetici e con glicemia > 110 mg/dl al momento del ricovero e, se diabetici, > 180mg/dl. Anche dopo infarto si correlava in uno studio del 2001 la mortalità con la glicemia.

In particolare lo studio DIGAMI del 1999 aveva evidenziato come nei diabetici con infarto acuto, l'infusione di insulina e glucosio per 48 ore, seguita da terapia insulinica intensiva per 3 mesi, fosse associata alla riduzione della mortalità a breve e a lungo termine (-30% ad un anno e -11% a 3,4 anni) ed alla riduzione del rischio di reinfarto non fatale e di scompenso cardiaco. In questi pazienti, dunque, alla luce di vari trial in UTIC i range glicemici  possibili sono compresi tra 100-139 o meglio 80-110 mg/dl.

Stroke unit

Lo stesso dicasi per soggetti con ictus cerebri, dove iperglicemia e vascolopatia cerebrale acuta vanno a braccetto. Una metanalisi di 26 studi ha dimostrato che, tanto nelle forme ischemiche, quanto nelle emorragiche i valori di glicemia all'ingresso <108 mg/dl vs quelli di 108 e 144 mg/dl si associano ad aumento della mortalità intraospedaliera, verosimilmente per indicare l'importanza del buon compenso glicometabolico nel paziente vasculopatico. Infatti il diabete è un nemico subdolo che pugnala alle spalle!

Divisione di ostetricia

Nelle fasi ospedaliere della gravidanza il controllo delle glicemie è fondamentale ed essenziale per evitare una iperinsulinizzazione fetale ed una conseguente ipoglicemia, cosa assai più pericola nel feto. I range raccomandati dunque sono da 70120 a 70-90 mg/dl ma mancano studi in questo senso. Confronta a proposito il diabete gestazione e la gravidanza ed il diabete e la gestione del diabete in gravidanza.

Divisione di Terapia Intensiva Chirurgica

In questi reparti troviamo pazienti diabetici che necessitano di trattamento intenso insulinico. Lo studio di Van den Berghe fimostra che in un gruppo di soggetti con glicemie mantenute nei range di 80-110 mg/dl vs soggetti con glicemie di 180-200 mg/dl, la mortalità era certamente maggiore in quest'ultimo gruppo e così pure si allungava la degenza per complicanze. Anche in questi pazienti doveva, però, essere considerato anche il rischio di ipoglicemia.

Trattamento ospedaliero

In tutti questi pazienti acuti ospedalizzati, il trattamento di scelta è rappresentato dalla terapia insulinica che deve essere condotta secondo criteri ben precisi:

schemi insulinici al bisogno

-schemi programmati di pluri-somministrazioni:  terapia insulinica del paziente in ospedale

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