Insulina nel paziente con diabete mellito di tipo 2

  1. Gastroepato
  2. Diabetologia
  3. Terapia insulinica
  4. Terapia con insulina nel diabete tipo 2
  5. Agonisti GLP1
  6. Iniezioni insuliniche
  7. Microinfusori avanzati
  8. Diabete tipo 1
  9. La cura del diabete
  10. carboidrati e fibre
  11. La dieta nel diabete
  12. Diete e diabete
  13. La dieta nel paziente diabetico
  14. Alimentazione nel diabete

appunti del dott. Claudio Italiano

 

 Una domanda che il paziente diabetico di tipo 2 vi rivolge è quella di capire perché debba essere trattato con insulina, perche' egli è contrario a pungersi. La risposta consiste nel fatto che nel  DMT2 si osserva un progressivo deterioramento della secrezione insulinica, che può precedere di anni lo sviluppo di iperglicemia, per esaurimento funzionale della beta-cellula. Infatti numerosi studi dimostrano che :Quale cura?

-insulinoresistenza
-apoptosi della beta-cellula
rimangano fattori fondamentali per il passaggio da una normale tolleranza glucidica all'IGT  al diabete manifesto, con una concomitante riduzione della capacità di secernere insulina.  La maggior parte dei pazienti con DMT2 è obesa o presenta obesità viscerale, che rappresenta il principale determinante dell'insulino-resistenza. Tuttavia, molti soggetti obesi e insulino-resistenti non sono ancora diabetici e per essi è stato coniato il termine di diabesità : ciò che li distingue da coloro che hanno una normale tolleranza al glucosio è proprio la capacità delle loro Beta-cellule pancreatiche di compensare l'alterata funzione dell'insulina con una adeguata secrezione di ormone. L’alterazione irreversibile della secrezione insulinica gioca quindi un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione del diabete, anche dopo perdita di peso e restaurazione della sensibilità all'insulina.   Il fattore più importante che regola la funzione della beta-cellula e, quindi, della liberazione di insulina,  è il glucosio, anche se numerosi altri nutrienti, così come vari ormoni, neurotrasmettitori e farmaci possono influenzare il rilascio dell'ormone. Dal punto di vista dinamico, il rilascio di insulina da parte della beta-cellula in risposta al glucosio può essere schematizzato in due momenti:

una prima fase, rapida, della durata di pochi minuti,
una seconda fase, più prolungata.

Inoltre, la secrezione è pulsatile, con onde oscillatorie della durata di 8-10 minuti e ampiezza modulabile. Per quanto riguarda la massa beta-cellulare, essa dipende dall'equilibrio tra fenomeni di morte cellulare programmata (apoptosi) e replicazione cellulare a partire da specifiche cellule che svolgono il ruolo di precursori.- Con l'avanzare dell'età, i fenomeni apoptotici tendono a prevalere su quelli rigenerativi con conseguente lieve declino del numero totale di beta-cellule pancreatiche.   Nel DMT2, a causa di fattori genetici e acquisiti,  si osserva un progressivo declino della funzione e del numero delle beta-cellule. Dal punto di vista funzionale, la secrezione insulinica nel paziente diabetico di tipo 2 può risultare nel suo complesso normale, aumentata o diminuita ma, comunque, insufficiente per garantire normali livelli glicemìci. La prima alterazione della funzione beta~cellulare sembra essere la perdita della fase precoce di secrezione, cui segue una alterazione anche della fase tardiva. In particolare, i soggetti con alterata glicemia a digiuno (cfr diabete) presentano una riduzione del picco di secrezione precoce e una relativa conservazione della fase tardiva. Nei soggetti con ridotta tolleranza glucidica invece, si osserva un'alterazione dei meccanismi coinvolti sia nella fase precoce che nella fase tardiva della secrezione insulinica, che diviene progressivamente più importante fino alla comparsa del diabete. Un'altra alterazione funzionale evidenziabile nel paziente diabetico è l'aumentato rapporto tra proinsulina e insulina, verosimilmente legato alla ridotta capacità della Beta-cellula di convertire in maniera efficace la proinsulina in insulina e C-peptide. Alle modificazioni funzionali sono associate modificazioni istologiche delle isole pancreatiche, che evidenziano una progressiva riduzione delle beta-cellule e un relativo aumento delle alfa-cellule pancreatiche, che producono glucagone. La riduzione della massa Beta-cellulare è legata a un netto aumento dei fenomeni di apoptosi, causato da fattori di tipo genetico (predisposizione individuale) e di tipo tossico (glucotossicità, lipotossicità, citochine pro-infiammatorie, deposizione di amiloide). Oggi sembrerebbe che l'alterazione della funzione delle beta-cellulare sembra essere reversibile, in particolare negli stadi più precoci della malattia. In tal senso sembra si muovano le attuali terapie con le incretine, che di recente trovano indicazione perfino nel trattamento del paziente con diabete tipo 2 in fallimento secondario, cioè in terapia insulinica. Per tale motivo è fondamentale considerare, nell'approccio al paziente diabetico, terapie che siano in grado di preservare e, possibilmente migliorare, la funzione e la vitalità delle Beta-cellule pancreatiche.
La terapia insulinica intensiva, finalizzata al raggiungimento di normali livelli glicemici è sempre più utilizzata nel trattamento del DMT2, per ridurre il rischio di complicanze legate al diabetete. La terapia con ipoglicemizzanti orali può divenire, nel volgere di pochi anni, insufficiente a ottenere un adeguato controllo metabolico, determinando la necessità di instaurare la terapia insulinica. Secondo la International Diabetes Federation, la terapia con insulina andrebbe considerata quando, in presenza di un trattamento con le massime dosi tollerate di ipoglicemizzanti orali, i livelli di HbA1c sono persistentemente superiori a 7,5%. Secondo le raccomandazioni recentemente formulate da esperti ADA/EASD, la terapia con insulina basale può essere considerata quando pazienti trattati con terapia non farmacologica e metformina non raggiungono un livello di HbA1c, inferiore al 7,0% (cfr glicata). La terapia con insulina andrebbe preferita ad altri farmaci, come le sulfonilurce, i glitazoni e l'exenatide, se il livello di HbA1c è più lontano dal 7,0%, e cioè è superiore a 8,5%, perché in questo caso si può sfruttare il maggior potere ipoglicemizzante dell'insulina rispetto agli altri farmaci. La terapia insulinica andrebbe sempre utilizzata in associazione alla metformina, se non controindicata; questa associazione consentirà di ridurre il dosaggio di insulina, di minimizzare l'aumento di peso dovuto alla terapia insulinica e di conferire una maggiore protezione cardiovascolare. Queste ultime considerazioni valgono ancor più nei pazienti in sovrappeso o con obesità.  (cfr diabete mellito cura ).
La terapia insulinica nel DMT2 in particolare si rende necessaria se:
a) quando gli obiettivi glicemici non vengono raggiunti con gli ipoglicemizzanti orali;
b) chetoacidosi diabetica;
c) diabete all'esordio con livelli glicemici estremamente elevati e sintomi tipici (poliuria, polidipsia, calo ponderale, ecc.)
d) gravidanza o in donne con diabete che programmano una gravidanza ( diabete_e_concepimento  )
e) stress acuti (eventi cardiovascolari, infezioni, traumi, interventi chirurgici)
f) allergia/controindicazioni all'uso degli ipoglicemizzanti orali
g) malattie epatiche o renali che precludono l'utilizzo degli ipoglicemizzanti orali.

La chetoacidosi diabetica è causata da1 deficit di insulina in circolo associato all'aumento degli ormoni controregolatori (glucagone, catecolamine, ormone della crescita). Questo comporta l'aumentata produzione di glucosio da parte del fegato e del rene e l'inadeguata utilizzazione periferica di glucosio, con conseguente iperglicemia e iperosmolarità plasmatica. La lipolisi aumentata, con produzione di corpi chetonici (betaidrossibutirrato, acctocetato) causa chetonemia e acidosi metabolica (cfr metabolismo dei lipidi). Il trattamento della chetoacidosi diabetica si fonda sulla reintegrazione di liquidi ed elettroliti e sulla somministrazione continua di insulina, al fine di sopprimere fa produzione epatica di glucosio, inibire la lipolisi e la chetogenesi e risolvere, così, l'iperglicemia e lo stato di acidosi metabolica. Il trattamento del diabete in gravidanza deve essere finalizzato al raggiungimento di valori glicemici prossimi alla normoglicemia poiché le alterazioni del metabolismo glucidico si associano a una maggiore incidenza di malformazioni neonatali, macrosomia fetale e mortalità perinatale.   Lo stato gravidico rappresenta una chiara indicazione alla terapia insulinica di tipo intensivo da instaurarsi nel diabete pregravidico (tipo 1 e 2) già prima del concepimento e, nel diabete gestazionale, quando il trattamento dietetico non permette la normalizzazione della glicemia. In condizioni di stress acuto (traumi, interventi chirurgici, infezioni intercorrenti), l'incremento degli ormoni controregolatori (cortisolo, catecolamine, glucagone) determina un aumento del fabbisogno ìnsulinico e si può associare a un significativo peggioramento del controllo glicemico. In queste circostanze è sempre indicata la terapia insulinica al fine di evitare l'iperglicemia e le complicanze ad essa legate (cfr terapia antidiabetica in ospedale) Recentemente, è stato proposto un ruolo della terapia insulinica intensiva nel diabete di nuova diagnosi. Un controllo metabolico ottimale, specialmente nelle fasi precoci della terapia del diabete, gioca, infatti, un ruolo fondamentale nella prevenzione della disfunzione e distruzione betacellulare che caratterizzano la progressione della malattia diabetica. Molti studi hanno dimostrato che l'induzione della normoglicemia nel diabetico di tipo 2 determina un miglioramento sia della funzione P-cellulare che dell'inSUlino-resistenza. Fino a poco tempo fa non era noto se i benefici della terapia insulinica Jaundice Babypotessero prolungarsi nel tempo anche dopo la sospensione della stessa, essendo stato riscontrato un progressivo ritorno ad elevati livelli glicemici. Ryan ct al. hanno dimostrato che, in un gruppo di 16 persone con DMT2 di nuova diagnosi con severa iperglicemia (glicemia media 239 mg/dL), la somministrazione di una terapia insulinica intensiva multiiniettiva (neutral protarnine htydorn, NPH + regolare) per un periodo di due o tre settimane era in grado di consentire il mantenimento di un buon controllo glicemico dopo un anno con la sola dieta in sette pazienti; otto pazienti richiedevano terapia con un antidiabetico orale e un solo paziente aveva necessità di terapia insulinica. Ciò che distingueva i pazienti che dopo un anno riuscivano a mantenere un buon controllo glicemico con la sola dieta e coloro che, invece, avevano  richiesto terapia farmacologica, era il ridotto fabbisogno insulinico durante la terapia insulinica intensiva e la presenza di un controllo glicemico ottimale al termine della fase di trattamento intensivo. In studi simili condotti in pazienti di origine asiatica con diabete neo-diagnosticato e glicemie a digiuno superiori a 200 mg/dl, il trattamento per due settimane con terapia insulinica intensiva, anche mediante l'impiego di microinfusore, si è dimostrato produrre vantaggi a lungo termine. Al termine della terapia insulinica intensiva, i pazienti venivano seguiti per due anni e avviati alla sola terapia dietetica. Il tasso di remissione (normoglicemia) si è dimostrato essere pari a 73, 67, 47 e 42%, rispettivamente al terzo, sesto, dodicesimo e ventiquattresimo mese di follow-up. Nel gruppo che era andato incontro a remissione si è osservata una migliore ripresa della secrezione insulinica, sia in termini quantitativi  che qualitativi (rapporto tra proinsulina e insulina), cosi come una riduzione del grado di insulino-resistenza (valutata mediante il parametro surrogato HOMA-1R). Infine, pazienti con DMT2 a patogenesi autoimmunitaria (latent autoimmune diabetes of the adult, LADA) vanno incontro più frequentemente a necessità di terapia insulinica entro cinque anni dalla diagnosi. Alcuni studi evidenziano come questi pazienti potrebbero conservare una migliore funzione Beta-cellulare, e presentare un miglior controllo glicemico, se trattati precocemente, fin dall'esordio dell'iperglicemia, con terapia insulinica rispetto alla terapia con secretagoghi insulinici. Da quanto detto, si evince che nell'ambito delle terapie atte a preservare la funzione Beta-cellulare la terapia insulinica intensiva attuata all'esordio del DMT2 potrebbe trovare una sua specifica collocazione, anche se sono necessari altri studi in grado di confermare questa indicazione. Un’insulina esercita numerosi effetti metabolici a livello dei suoi principali organi bersaglio, quali il fegato, il muscolo scheletrico e il tessuto adiposo.

- Nel fegato, l'insulina promuove diverse azioni finalizzate alla riduzione della produzione epatica di glucosio, e inibisce la chetogenesi. Nel muscolo, promuove la captazione del glucosio e la sintesi di glicogeno, e favorisce la sintesi proteica. 
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Nel tessuto adiposo l'insulina inibisce la lipolisi e favorisce la sintesi dei trigliceridi. In condizioni di carenza insulinica, anche relativa, vengono meno gli effetti dell'ormone prima ricordati, cioè lo stimolo all'utilizzazione periferica del glucosio e all'utilizzazione di aminoacidi e acidi grassi nel muscolo e nel tessuto adiposo.

Il deficit di insulina determina un eccesso di glucagone e che le alterazioni nei livelli di questi due ormoni, oltre a promuovere l'iperglicemia attraverso l'aumento della produzione epatica di glucosio e la ridotta utilizzazione periferica di glucosio, favoriscono la lipolisi e il rilascio di acidi grassi liberi.  

Scopo della terapia insulinica nel paziente diabetico è quello di ripristinare una omeostasi metabolica il più possibile simile a quella osservata in condizioni fisiologiche, con picchi di insulina ai pasti e adeguati livelli insulinernici nei periodi interprandiali. Negli ultimi anni, la disponibilità di insuline sempre più purificate e di analoghi dell'insulina con una farmacocinetica sempre più favorevole ha reso possibile la riproduzione di profili insulinemici più vicini a quelli presenti nei soggetti non diabetici . Un’insulina umana regolare è una insulina solubile e cristallizzata con zinco, a breve durata d'azione, con la sequenza aminoacidica identica all'insulina umana endogena. Alle concentrazioni terapeutiche, l'insulina regolare ha la tendenza ad aggregarsi in esameri, e ciò ritarda il suo assorbimento dopo l'iniezione sottocutanea. La somministrazione prandiale dell'insulina regolare come bolo sottocutaneo determina un aumento dei livelli di insulinemia significativamente diversi da quelli che si osservano fisiologicamente in risposta a un pasto nel soggetto normale. Dopo un periodo iniziale di latenza (~30 minuti) i livelli di insulina aumentano con un pìcco dopo 1-2 ore e ritornano ai livelli basali entro 6-8 ore. Pertanto la terapia con l'insulina regobre non consente una perfetta corrispondenza tra la glicemia post~prandiale e il picco di insuliriemia, e questo può favorire la comparsa di iperglicemia nella prima fase post-prandiale e ipoglicemie nella successiva fase post-prandiale nel paziente diabetico. Gli analoghi rapidi dell'insulina (lispro, aspart, glulisina), prodotti attraverso la tecnologia del DNA ricombinante, presentano una minore tendenza ad associarsi in esameri, determinando una più veloce dissociazione in molecole monomeriche. Ciò permette un incremento più rapido dei livelli di insulina nel sangue, tiri picco più precoce e una durata d'azione più breve rispetto all'insulina regolare, mimando più da vicino la fisiologica risposta dell'insulina al pasto.

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Come conseguenza dì tale profilo cinetico, gli analoghi possono essere somministrati immediatamente prima del pasto, con un miglior controllo dell'iperglicemia postprandiale e una riduzione del rischio di ipoglicemie alcune ore dopo il pasto.  Lo scopo dell'insulinizzazione basale è quello di mantenere uno stato di euglicemia tra i pasti e nel periodo notturno. Le insuline ad azione intermedia (NPH) o ad azione lenta (non più in commercio in Italia) non sempre riescono a mimare la fisiologica secrezione basale perché il loro profilo d'azione presenta un picco che comincia ad apprezzarsi 3-4 ore dopo la somministrazione per via sottocutanea; questo può contribuire a provocare un'ipoglicemia notturna quando l'insulina NPH viene somministrata la sera. Anche l'ultralenta presenta un picco d'azione ampio e una durata d'azione variabile. La NPH ha una durata d'azione di circa 12-16 ore, per cui spesso sono necessarie due somministrazioni per ottenere un controllo della glicemia tra i pasti. Inoltre, le insuline ad azìone lenta o intermedia hanno un assorbimento variabile che comporta una scarsa riproducibilità, anche nello stesso soggetto, dell'effetto ipoglicemizzante. Al contrario la farmacocinetica degli analoghi lenti (glargine, detemir, degludec) non mostra picchi evidenti dei livelli insulinemici consentendo un miglior controllo glicemico e minor rischio di ipoglicemia. Inoltre, l'assorbimento più costante permette una minore variabilità intra e interindividuale rispetto alle insuline lente o intermedie. L'insulìna glargine  ha un punto isoelettrico più basso dell'insulina umana, che comporta una precipitazione di questa insulina nel sottocute cui fa seguito un rallentato e costante passaggio della molecola nel sangue. Questo consente la copertura del fabbisogno insulinico basale con un'unica somministrazione nelle 24 ore. L'insulina detemir è modificata con l'aggiunta di un acido grasso; pertanto, l'insulina detemir si lega all'albumina nel sangue e nel tessuto interstiziale e questo comporta un aumento della durata d'azione in seguito alla somministrazione sottocutanea di questo tipo di insulina. Recentemente, è disponibile anche un'insulina ad azione ritardata denominata NPL: si tratta di insulina lispro con durata d'azione prolungata a seguito dell'aggiunta di protamina.

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