appunti del dott. Claudio Italiano
Una domanda che il paziente diabetico di tipo 2 vi rivolge è quella di capire perché debba essere trattato con insulina, perche' egli è contrario a pungersi. La risposta consiste nel fatto che nel DMT2 si osserva un progressivo deterioramento della secrezione insulinica, che può precedere di anni lo sviluppo di iperglicemia, per esaurimento funzionale della beta-cellula. Infatti numerosi studi dimostrano che :
-insulinoresistenza
-apoptosi della beta-cellula
rimangano fattori fondamentali per il passaggio da una normale tolleranza glucidica
all'IGT al diabete manifesto, con
una concomitante riduzione della capacità di secernere insulina. La maggior
parte dei pazienti con DMT2 è obesa o presenta
obesità viscerale, che rappresenta
il principale determinante dell'insulino-resistenza. Tuttavia, molti soggetti obesi
e insulino-resistenti non sono ancora diabetici e per essi è stato coniato il termine
di diabesità : ciò che li distingue da coloro che hanno
una normale tolleranza al glucosio è proprio la capacità delle loro Beta-cellule
pancreatiche di compensare l'alterata funzione dell'insulina con una adeguata secrezione
di ormone. L’alterazione irreversibile della secrezione insulinica gioca quindi
un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione del diabete, anche dopo perdita
di peso e restaurazione della sensibilità all'insulina. Il fattore più
importante che regola la funzione della beta-cellula e, quindi, della liberazione
di insulina, è il glucosio, anche se numerosi altri nutrienti, così come vari
ormoni, neurotrasmettitori e farmaci possono influenzare il rilascio dell'ormone.
Dal punto di vista dinamico, il rilascio di insulina da parte della beta-cellula
in risposta al glucosio può essere schematizzato in due momenti:
una prima fase, rapida, della durata di pochi minuti,
una seconda fase, più prolungata.
Inoltre, la secrezione è pulsatile, con onde oscillatorie della durata di 8-10 minuti
e ampiezza modulabile. Per quanto riguarda la massa beta-cellulare, essa dipende
dall'equilibrio tra fenomeni di morte cellulare programmata (apoptosi) e replicazione
cellulare a partire da specifiche cellule che svolgono il ruolo di precursori.-
Con l'avanzare dell'età, i fenomeni apoptotici tendono a prevalere su quelli rigenerativi
con conseguente lieve declino del numero totale di beta-cellule pancreatiche.
La
terapia insulinica intensiva, finalizzata al raggiungimento di normali livelli glicemici
è sempre più utilizzata nel trattamento del DMT2, per ridurre il rischio di complicanze
legate al diabetete. La terapia con
ipoglicemizzanti orali può divenire, nel volgere di pochi anni, insufficiente
a ottenere un adeguato controllo metabolico, determinando la necessità di instaurare
la terapia insulinica. Secondo la International Diabetes Federation, la terapia
con insulina andrebbe considerata quando, in presenza di un trattamento con le massime
dosi tollerate di ipoglicemizzanti orali, i livelli di HbA1c sono persistentemente
superiori a 7,5%. Secondo le raccomandazioni recentemente formulate da esperti ADA/EASD,
la terapia con insulina basale può essere considerata quando pazienti trattati con
terapia non farmacologica e metformina non raggiungono un livello di HbA1c, inferiore
al 7,0% (cfr glicata). La terapia con
insulina andrebbe preferita ad altri farmaci, come le sulfonilurce, i glitazoni
e l'exenatide, se il livello di HbA1c è più lontano dal 7,0%, e cioè è superiore
a 8,5%, perché in questo caso si può sfruttare il maggior potere ipoglicemizzante
dell'insulina rispetto agli altri farmaci. La terapia insulinica andrebbe sempre
utilizzata in associazione alla metformina, se non controindicata; questa associazione
consentirà di ridurre il dosaggio di insulina, di minimizzare l'aumento di peso
dovuto alla terapia insulinica e di conferire una maggiore protezione cardiovascolare.
Queste ultime considerazioni valgono ancor più nei pazienti in sovrappeso o con
obesità. (cfr diabete mellito cura
).
La terapia insulinica nel DMT2 in particolare si rende necessaria se:
a) quando gli
obiettivi glicemici non vengono raggiunti con gli ipoglicemizzanti orali;
b) chetoacidosi diabetica;
c) diabete all'esordio con livelli glicemici estremamente elevati e sintomi tipici
(poliuria, polidipsia, calo ponderale, ecc.)
d) gravidanza o in donne
con diabete che programmano una gravidanza (
diabete_e_concepimento )
e) stress acuti (eventi cardiovascolari,
infezioni, traumi, interventi chirurgici)
f) allergia/controindicazioni all'uso degli ipoglicemizzanti orali
g) malattie epatiche o renali che precludono l'utilizzo degli ipoglicemizzanti orali.
La chetoacidosi diabetica è causata da1 deficit di insulina in circolo associato
all'aumento degli ormoni controregolatori (glucagone, catecolamine, ormone della
crescita). Questo comporta l'aumentata produzione di glucosio da parte del fegato
e del rene e l'inadeguata utilizzazione periferica di glucosio, con conseguente
iperglicemia e iperosmolarità plasmatica. La lipolisi aumentata, con produzione
di corpi chetonici (betaidrossibutirrato, acctocetato) causa chetonemia e acidosi
metabolica (cfr metabolismo dei lipidi).
Il trattamento della chetoacidosi diabetica si fonda sulla reintegrazione di liquidi
ed elettroliti e sulla somministrazione continua di insulina, al fine di sopprimere
fa produzione epatica di glucosio, inibire la lipolisi e la chetogenesi e risolvere,
così, l'iperglicemia e lo stato di acidosi metabolica. Il trattamento del
diabete in gravidanza deve essere finalizzato
al raggiungimento di valori glicemici prossimi alla normoglicemia poiché le alterazioni
del metabolismo glucidico si associano a una maggiore incidenza di malformazioni
neonatali, macrosomia
fetale e mortalità perinatale.
Lo stato gravidico rappresenta una chiara indicazione alla terapia insulinica di
tipo intensivo da instaurarsi nel diabete pregravidico (tipo 1 e 2) già prima del
concepimento e, nel diabete gestazionale, quando il trattamento dietetico non permette
la normalizzazione della glicemia. In condizioni di stress acuto (traumi, interventi
chirurgici, infezioni intercorrenti), l'incremento degli ormoni controregolatori
(cortisolo, catecolamine, glucagone) determina un aumento del fabbisogno ìnsulinico
e si può associare a un significativo peggioramento del controllo glicemico. In
queste circostanze è sempre indicata la terapia insulinica al fine di evitare l'iperglicemia
e le complicanze ad essa legate (cfr
terapia antidiabetica
in ospedale) Recentemente, è stato proposto un ruolo della terapia insulinica
intensiva nel diabete di nuova diagnosi. Un controllo metabolico ottimale, specialmente
nelle fasi precoci della terapia del diabete, gioca, infatti, un ruolo fondamentale
nella prevenzione della disfunzione e distruzione betacellulare che caratterizzano
la progressione della malattia diabetica. Molti studi hanno dimostrato che l'induzione
della normoglicemia nel diabetico di tipo 2 determina un miglioramento sia della
funzione P-cellulare che dell'inSUlino-resistenza. Fino a poco tempo fa non era
noto se i benefici della terapia insulinica
potessero prolungarsi nel tempo anche
dopo la sospensione della stessa, essendo stato riscontrato un progressivo ritorno
ad elevati livelli glicemici. Ryan ct al. hanno dimostrato che, in un gruppo di
16 persone con DMT2 di nuova diagnosi con severa iperglicemia (glicemia media 239
mg/dL), la somministrazione di una terapia insulinica intensiva multiiniettiva (neutral
protarnine htydorn, NPH + regolare) per un periodo di due o tre settimane era in
grado di consentire il mantenimento di un buon
controllo glicemico dopo un
anno con la sola dieta in sette pazienti; otto pazienti richiedevano terapia con
un antidiabetico orale e un solo paziente aveva necessità di terapia insulinica.
Ciò che distingueva i pazienti che dopo un anno riuscivano a mantenere un buon controllo
glicemico con la sola dieta e coloro che, invece, avevano richiesto terapia
farmacologica, era il ridotto fabbisogno insulinico durante la terapia insulinica
intensiva e la presenza di un controllo glicemico ottimale al termine della fase
di trattamento intensivo. In studi simili condotti in pazienti di origine asiatica
con diabete neo-diagnosticato e glicemie a digiuno superiori a 200 mg/dl, il trattamento
per due settimane con terapia insulinica intensiva, anche mediante l'impiego di
microinfusore, si è dimostrato produrre vantaggi a lungo termine. Al termine della
terapia insulinica intensiva, i pazienti venivano seguiti per due anni e avviati
alla sola terapia dietetica. Il tasso di remissione (normoglicemia) si è dimostrato
essere pari a 73, 67, 47 e 42%, rispettivamente al terzo, sesto, dodicesimo e ventiquattresimo
mese di follow-up. Nel gruppo che era andato incontro a remissione si è osservata
una migliore ripresa della secrezione insulinica, sia in termini quantitativi
che qualitativi (rapporto tra proinsulina e insulina), cosi come una riduzione del
grado di insulino-resistenza (valutata mediante il parametro surrogato HOMA-1R).
Infine, pazienti con DMT2 a patogenesi autoimmunitaria (latent autoimmune diabetes
of the adult, LADA) vanno incontro più frequentemente a necessità di terapia insulinica
entro cinque anni dalla diagnosi. Alcuni studi evidenziano come questi pazienti
potrebbero conservare una migliore funzione Beta-cellulare, e presentare un miglior
controllo glicemico, se trattati precocemente, fin dall'esordio dell'iperglicemia,
con terapia insulinica rispetto alla terapia con secretagoghi insulinici. Da quanto
detto, si evince che nell'ambito delle terapie atte a preservare la funzione Beta-cellulare
la terapia insulinica intensiva attuata all'esordio del DMT2 potrebbe trovare una
sua specifica collocazione, anche se sono necessari altri studi in grado di confermare
questa indicazione. Un’insulina esercita numerosi effetti metabolici a livello dei
suoi principali organi bersaglio, quali il fegato, il muscolo scheletrico e il tessuto
adiposo.
- Nel fegato, l'insulina promuove diverse azioni finalizzate alla riduzione della
produzione epatica di glucosio, e inibisce la chetogenesi. Nel muscolo, promuove
la captazione del glucosio e la sintesi di glicogeno, e favorisce la sintesi proteica.
-
Nel tessuto adiposo l'insulina inibisce la lipolisi e favorisce la sintesi dei
trigliceridi. In condizioni di carenza insulinica, anche relativa, vengono meno
gli effetti dell'ormone prima ricordati, cioè lo stimolo all'utilizzazione periferica
del glucosio e all'utilizzazione di aminoacidi e acidi grassi nel muscolo e nel
tessuto adiposo.
Il deficit di insulina determina un eccesso di glucagone e che le alterazioni
nei livelli di questi due ormoni, oltre a promuovere l'iperglicemia attraverso l'aumento
della produzione epatica di glucosio e la ridotta utilizzazione periferica di glucosio,
favoriscono la lipolisi e il rilascio di acidi grassi liberi.
Scopo della terapia insulinica nel paziente diabetico è quello di ripristinare una omeostasi metabolica il più possibile simile a quella osservata in condizioni fisiologiche, con picchi di insulina ai pasti e adeguati livelli insulinernici nei periodi interprandiali. Negli ultimi anni, la disponibilità di insuline sempre più purificate e di analoghi dell'insulina con una farmacocinetica sempre più favorevole ha reso possibile la riproduzione di profili insulinemici più vicini a quelli presenti nei soggetti non diabetici . Un’insulina umana regolare è una insulina solubile e cristallizzata con zinco, a breve durata d'azione, con la sequenza aminoacidica identica all'insulina umana endogena. Alle concentrazioni terapeutiche, l'insulina regolare ha la tendenza ad aggregarsi in esameri, e ciò ritarda il suo assorbimento dopo l'iniezione sottocutanea. La somministrazione prandiale dell'insulina regolare come bolo sottocutaneo determina un aumento dei livelli di insulinemia significativamente diversi da quelli che si osservano fisiologicamente in risposta a un pasto nel soggetto normale. Dopo un periodo iniziale di latenza (~30 minuti) i livelli di insulina aumentano con un pìcco dopo 1-2 ore e ritornano ai livelli basali entro 6-8 ore. Pertanto la terapia con l'insulina regobre non consente una perfetta corrispondenza tra la glicemia post~prandiale e il picco di insuliriemia, e questo può favorire la comparsa di iperglicemia nella prima fase post-prandiale e ipoglicemie nella successiva fase post-prandiale nel paziente diabetico. Gli analoghi rapidi dell'insulina (lispro, aspart, glulisina), prodotti attraverso la tecnologia del DNA ricombinante, presentano una minore tendenza ad associarsi in esameri, determinando una più veloce dissociazione in molecole monomeriche. Ciò permette un incremento più rapido dei livelli di insulina nel sangue, tiri picco più precoce e una durata d'azione più breve rispetto all'insulina regolare, mimando più da vicino la fisiologica risposta dell'insulina al pasto.
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Come conseguenza dì tale profilo cinetico, gli analoghi possono essere somministrati immediatamente prima del pasto, con un miglior controllo dell'iperglicemia postprandiale e una riduzione del rischio di ipoglicemie alcune ore dopo il pasto. Lo scopo dell'insulinizzazione basale è quello di mantenere uno stato di euglicemia tra i pasti e nel periodo notturno. Le insuline ad azione intermedia (NPH) o ad azione lenta (non più in commercio in Italia) non sempre riescono a mimare la fisiologica secrezione basale perché il loro profilo d'azione presenta un picco che comincia ad apprezzarsi 3-4 ore dopo la somministrazione per via sottocutanea; questo può contribuire a provocare un'ipoglicemia notturna quando l'insulina NPH viene somministrata la sera. Anche l'ultralenta presenta un picco d'azione ampio e una durata d'azione variabile. La NPH ha una durata d'azione di circa 12-16 ore, per cui spesso sono necessarie due somministrazioni per ottenere un controllo della glicemia tra i pasti. Inoltre, le insuline ad azìone lenta o intermedia hanno un assorbimento variabile che comporta una scarsa riproducibilità, anche nello stesso soggetto, dell'effetto ipoglicemizzante. Al contrario la farmacocinetica degli analoghi lenti (glargine, detemir, degludec) non mostra picchi evidenti dei livelli insulinemici consentendo un miglior controllo glicemico e minor rischio di ipoglicemia. Inoltre, l'assorbimento più costante permette una minore variabilità intra e interindividuale rispetto alle insuline lente o intermedie. L'insulìna glargine ha un punto isoelettrico più basso dell'insulina umana, che comporta una precipitazione di questa insulina nel sottocute cui fa seguito un rallentato e costante passaggio della molecola nel sangue. Questo consente la copertura del fabbisogno insulinico basale con un'unica somministrazione nelle 24 ore. L'insulina detemir è modificata con l'aggiunta di un acido grasso; pertanto, l'insulina detemir si lega all'albumina nel sangue e nel tessuto interstiziale e questo comporta un aumento della durata d'azione in seguito alla somministrazione sottocutanea di questo tipo di insulina. Recentemente, è disponibile anche un'insulina ad azione ritardata denominata NPL: si tratta di insulina lispro con durata d'azione prolungata a seguito dell'aggiunta di protamina.