Alimentazione nel paziente diabetico, quali consigli?

  1. DIETOLOGIA

  2. Diete e diabete

  3. Alimentazione neldiabete

Frutta e diabete

In uno studio recentemente pubblicato sul British Medical Journal alcuni ricercatori della prestigiosa Harvard Medicai School di Boston esprimono un parere autorevole sul rapporto esistente tra consumo di frutta e insorgenza di diabete di tipo 2 ( I Mutaki et al. Fruit consumption and risk of type 2 diabetes: results front three prospective longitudinal cohort studies. BMJ 2013; 347 - published 28 August 2013). Per superare alcune discordanze emerse in studi precedenti, gli autori hanno infatti utilizzato una casistica particolarmente ampia ottenuta combinando i dati di tre importanti studi: il Nurses health study con 121.700 partecipanti, il Nurses health study II con 116.671 partecipanti, il Health professional follow-up study con 51.529 soggetti arruolati, per complessivi 3.464.641 anni persona e 12.198 casi di diabete insorti durante il follow-up. Il consumo totale di frutta si correla solo debolmente con una riduzione del rischio di diabete, ma questa correlazione diventa assai più significativa ove si considerino singole varietà di frutta. Il consumo di mirtilli, in particolare ha dimostrato la maggiore efficacia nella prevenzione del diabete di tipo 2, seguito a poca distanza dall'uva. Il consumo regolare di mirtilli tre volte la settimana ha determinato una riduzione del rischio di sviluppare il diabete del 26%; la riduzione del rischio scende al 12% per l'uva e l'uvetta, al 7% per le mele e le pere e al 5% per le banane e il pompelmo consumati in ana-loga quantità. Curiosamente, l'assunzione di melone si è in-vece rivelata associata a un aumento del rischio del 10%. Certamente l'effetto salutistico della frutta è riferibile all'insieme dei composti fitochimici in essa contenuti come i polifenoli (antocianine, resveratrolo, eccetera) ad azione antiossidante, l'acido clorogenico che riduce l'assorbimento intestinale del glucosio o la naringina che, nel ratto, inibisce l'enzima Dpp-IV non diversa-mente dai farmaci oggi disponibili o le fibre, ma nessuna specifica correlazione è stata dimostrata per qualcuna di queste sostanze. In contrasto con l'azione protettiva del consumo della frutta intera sulla comparsa di diabete, è stato riferito un effetto opposto per quanto riguarda il consumo di succhi di frutta, che, viceversa facilita la comparsa di diabete. L'effetto negativo dei succhi di frutta è da attribuire, da un lato, al carico glicemico più elevato e al-l'indice glicemico più basso per il minore contenuto di fibre e, dall'altro, alla maggiore rapidità con cui un alimento liquido può transitare attraverso il tubo digerente determinando un più rapido as-sorbimento del glucosio. In conclusione, ai fini della prevenzione del diabete di tipo 2, gli autori raccomandano il consumo di mirtilli, uva e mele e sconsigliano l'uso dei succhi di frutta. (P.B.)

 

Carne e diabete

La prevenzione del diabete di tipo 2 è, oggi, un obiettivo prioritario della sanità pubblica. Poiché, fra gli elementi determinanti la comparsa di questa forma patologica, un ruolo primario viene at-tribuito, a ragione, alla adozione di modelli nutrizionali non corretti, molta attenzione viene rivolta al potere diabetogeno o, viceversa, protettivo dei vari alimenti. In questo ambito si colloca uno studio che ha confermato il rapporto, già sospettato da tempo, fra consumo di carne rossa e insorgenza del diabete (Pan A et al. Changes in rea meat consumption and subsequent risk of type 2 diabetes mellitus: three cohorts of US men and women. fama Interri Med 2013:1-8). Lo studio ha raccolto i dati di tre studi prospettici: il Health professionals follow-up study, il Nurses' health study e il Nurses' health study II, comprendenti approssimativamente 150.000 soggetti con un follow up di circa 20 anni. Il consumo di carne rossa (carne non lavorata di vitello, maiale o agnello e carne lavorata come salsiccia, hot dog e bacon) è stato valutato individualmente, ogni 4 anni, attraverso la compilazione di appositi questionari. Nei soggetti che, a una prima rilevazione, avevano mo-strato un incremento del consumo di carne rossa di almeno mezza porzione al giorno ri-spetto a quella registrata 4 anni prima, è stato rilevato un in-cremento del 48% della incidenza di diabete di tipo 2. Inoltre, l'uso di carne lavorata è risultato essere associato a un rischio maggiore rispetto alla carne non lavorata. Al contrario, la riduzione del consumo di carne rossa della stessa entità (mezza porzione) è risultata essere associata a una riduzione del rischio di sviluppare diabete, ma solo nell'ordine del 14% e in un tempo più lungo fino a 12-16 anni. Si ritiene che gli effetti ne-gativi della carne rossa siano dovuti al suo maggior contenuto di grassi totali e di grassi saturi. E perciò consigliabile farne un uso moderato, dando la preferenza al consumo di polla-me o di pesce.

Vitamina D e diabete


Al difetto di vitamina D è stato attribuito un ruolo nella insorgenza della resistenza insulinica e quindi nel¬la genesi del diabete di tipo 2. Il tema è stato anche alla base dello studio di Al-Daghri e altri (Al-Daghri NM et al. Vitamin D supplementation as an adjuvant therapy for patients with T2DM. An 18-months prospective interventional study Cardiovasc Dia-betol. 2012;11 - 85), che hanno indagato gli effetti di un supplemento di 2000 UI di vitamina D3 somministrato giornalmente a un gruppo di 120 diabetici di tipo 2 adulti sauditi nell'arco di 18 mesi. Al termine del periodo di trattamento, sono stati rilevati una riduzione significativa del colesterolo totale e Ldl e, soprattutto, un miglioramento significativo sia della resistenza insulinica sia della capacità secretiva delle cellule beta valutate mediante il metodo Homa. L'aggiunta di vitamina D è stata quindi in grado di migliorare in diabetici di tipo 2 alcuni parametri di rischio cardiovascolare e la funzione insulare.

Cibi cotti e diabete

Per una dieta equilibrata, è bene limitare il consumo di cibi troppo cotti: possono causare resistenza insulinica e favorire la comparsa di complicanze micro e macrovascolari del diabete. Nel formulare una dieta che protegga dal rischio di problemi metabolici e cardiovascolari è opportuno tenere conto non soltanto delle proprietà nutrizionali dei vari alimenti, ma anche delle modalità di cottura. Infatti, i cibi cotti a temperature molto elevate, specialmente se assunti in quantità eccessive, possono avere effetti dannosi perché introducono nell'organismo troppi "Age" (advanced glycation endproducts, prodotti avanzati della glicazione), molecole complesse il cui accumulo nei tessuti contribuisce allo sviluppo di complicanze micro e macrovascolari del diabete. In presenza di alti livelli di glucosio nel sangue, il loro effetto tossico si somma a quello della iperglicemia. Queste sostanze agiscono negativamente anche nei con-fronti dell'azione dell'insulina, favorendo il fenomeno della re-sistenza insulinica e il possibile conseguente sviluppo del diabete in chi non ne sia già affetto, ma abbia qualche fattore di rischio, come, per esempio, l'obesità. In sostanza, per una sana alimentazione è consigliabile scegliere patate lessate con olio e prezzemolo piuttosto che patatine fritte e non è affatto detto che dal punto di vista del gusto il piacere sia minore. E' meglio essere molto cauti nel consumo di fritti e arrosti e preferire altri tipi di cottura al vapore, bollitura, che si abbia il diabete o no. Il glucosio contenuto nell'amido (dei farinacei) o nel saccarosio (zucchero da cucina) è un alimento essenziale per il metabolismo cellulare. Il cervello dipende pressoché per intero dalla disponibilità di glucosio e quindi dalla concentrazione di glucosio nel sangue. Tuttavia, quando il glucosio si accumula nel sangue e raggiun-ge concentrazioni superiori alla n norma, come accade nel diabe¬te, induce fenomeni di grave tossicità denominata appunto glucotossicità.

Reazione a catena

Il glucosio ha infatti la proprietà di aderire, con un meccanismo non enzimatico ma per pura affinità chimica, a gruppi aminici liberi di proteine, composti lipidici e acidi nucleici modificandone la struttura. Tuttavia, finché la sua concentrazione nel sangue rimane entro i limiti fisiologici, questo processo, noto come glicazione, rimane contenuto, è reversibile e non è fonte di patologia. Quando invece si stabilisce una condizione di iperglicemia cronica, il processo di glicazione acquista un'entità e un'estensione proporzionale all'aumento della glicemia, diventa  irreversibile, induce la formazione di legami crociati fra molecole vicine e determina una profonda alterazione strutturale e funzionale delle proteine intra ed extracellulari (mielina, collageno, lipoproteine, acidi nucleici, eccetera). Il risultato finale di questo processo, al quale contribuiscono, insieme alla glicazione, anche fenomeni di ossidazione (si parla perciò di glico-ossidazione), è rappresentato dai prodotti avanzati della glicazione o Age (advanced glycation endproducts), molecole assai complesse e anche numerose che, per il loro lento catabolismo, si accumu¬lano nei tessuti partecipando attivamente alla genesi delle complicanze micro e macrova-scolari del diabete.
La glicazione della membrana basale dei capillari sanguigni è un fenomeno ubiquitario che interessa tutti i tessuti, ma che, in particolare, contribuisce al danno renale (nefropatia), dei nervi periferici (neuropatia) e della retina (retino-patia) e allo stesso sviluppo del danno aterosclerotico dei grandi vasi. La glicazione della mie-lina delle fibre nervose è un elemento di danno aggiuntivo nella neuropatia periferica così come la glicazione del tessuto connettivo del derma e del tessuto sottocutaneo tendineo e periarticolare è determinante nella genesi delle complicanze cutanee e osteoarticolari della malattia. Anche gli acidi nucleici possono essere sede di glicazione con modificazioni strutturali del Dna e conseguenti alterazioni cromosomi-che, non estranee, per esempio, alla genesi delle malformazioni fetali più frequenti nella gestante diabetica. I prodotti avanzati della glicazione (Age) si riversano anche in circolo andando a combinarsi con i recettori specifici di membrana presenti in vari stipiti cellulari dove inducono la formazione di radicali liberi di ossigeno e l'espressione di una serie di mediatori dell'infiammazione e della coagulazione che partecipano attivamente alla genesi delle complicanze. Con lo stesso meccani-smo, gli Age interferiscono con il segnale insulinico contribuendo alla genesi della resistenza insulinica.

Pane tostato non indicato

Oltre che dalla produzione endogena, gli Age possono originare anche da fonti esterne. La cottura del cibo, per esempio, specialmente se caratterizzata da una esposizione prolungata a elevate temperature, induce la generazione di prodotti della glico-ossidazione e della lipo-ossidazione e una parte degli Age introdotti con l'alimentazione viene assorbita. Del resto, la reazione di Maillard o reazione di imbruni-mento, un processo importante per la formazione di aroma, di appetibilità e di colore dei cibi, è stata per la prima volta descritta proprio in rapporto alle modificazioni subite dagli alimenti sottoposti a cottura. Il colore bruno che compare sulla superficie degli alimenti arrostiti come il pane tostato, ma anche la carne alla griglia o allo spiedo o fritta, è dovuto alla formazione determinata dalle alte temperature di prodotti avanzati della glicazione. Non sorprende perciò se l'uso di una dieta ricca di Age si tradu¬ce in una concentrazione ematica di Age più elevata e, di conseguenza, in un rischio più elevato di complicazioni. Una maggiore incidenza di complicanze vascolari e renali secondaria all'esposizione a livelli più alti di Age esogeni è stata di fatto dimostrata negli studi animali. Ancora, negli animali da esperimento è stato documentato che la somministrazione di cibi cotti ad alte temperature contribuisce all'aumento della insulinemia e alla comparsa di resistenza insulinica e di diabete.

Sana cottura al vapore

Alcuni ricercatori della Università di Copenhagen (AB Mark et al. - Diabetes Care Publish Head of Print, online August 19.2015) hanno confrontato gli effetti di una dieta ad alto o basso contenuto di Age, seguita per un periodo di 4 settimane, in due grappi di donne obese. Il tipo e la quantità dei cibi era la stessa nei due gruppi, che però si differenziavano per il metodo di cottura impiegato. Per ottenere una dieta ricca di Age, i soggetti erano invitati a friggere o arrostire in forno o alla griglia i loro cibi e a mangiare pane tostato. Il gruppo destinato a usare cibi poveri di Age era stato invece addestrato a bollire o cuocere al vapore i loro alimenti e a mangiare il pane non tostato. L'aderenza alla dieta dei due gruppi era dimostrata dalla escrezione urinaria di due tipici prodotti avanzati della glicazione, la carbossimetillisina e un derivato del metilgliossale, molto aumentata nei soggetti che aderivano alla dieta ricca di Age. Al termine delle 4 settimane è stata osservata, in entrambi i gruppi, una modesta riduzione del peso e della circonferenza alla vita, ma questa differenza era più marcata nei soggetti sottoposti alla dieta povera di Age. Il risultato più importante della ricerca è l'osservazione che l'assunzione di una dieta ricca di Age ha determinato un significativo incremento della insulinemia e della resistenza insulinica, calcolata con il metodo HomaIr e una riduzione dell'indice di sensibilità insulinica. L'introduzione con la dieta di Age non solo, quindi, facilita la comparsa di complicanze per l'innesto di meccanismi ossidativi, infiammatori e proliferativi, ma anche contribuisce alla comparsa di resistenza insulinica e quindi di diabete di tipo 2.

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