Cura del diabete con antidiabetici orali oggi 2023

 

  1. Gastroepato
  2. Diabetologia
  3. Diabete mellito tipo 1 e tipo 2
  4. Cura del diabete con antidiabetici orali
  5. Gli inibitori dei trasportatori di glucosio anti sglt2
  6. Che significa diabete?
  7. I controlli per il paziente diabetico
  8. Diabete, visita del paziente
appunti del dott. Claudio Italiano

Uno dei problemi che incontra il diabetologo nella pratica clinica è rappresentato dal trattamento antidiabetico orale, che si avvale di vecchie terapie con  farmaci ad azione insulinosensibilizzante e secretagoga e nuove categorie di  farmaci, SGLT2 inibitori e GLP1 AR.

Ma quando è indicata una classe di farmaci piuttosto che un'altra?
a) insulinosensibilizzante (metformina, tiazolinedioni) ?
b) un vecchio secretagogo (sulfaniluree e glinidi) ?
c) Le nuove  incretine?
d) Il vecchio e negletto acarbose, prescrivibile in fascia A ?
e) Le nuove classi di inibitori dei trasportatori del glucosio: anti-SGLT2i?

Il primo problema è il paziente che dobbiamo saper curare.

Il problema è che si deve intervenire sui meccanismi fisiopatologici della malattia, conoscere il paziente e costruire su di lui, come con un abito, la terapia adeguata, così da:
a) controllare la glicemia nel corso della giornata e bloccare la pericolosa neoglucogenesi post-prandiale, che dipende dalla mancata azione insulinica in periferia.

b) ridurre le pericolose iperglicemie post-prandiali, evitare le pericolose ipoglicemie, assicurando un profilo glicemico ottimale

c) non determinare la distruzione con esaurimento della beta-cellula pancreatica
d) costituire un principio razionale di trattamento, rallentare la progressione della malattia e mantenere quindi nel tempo una sufficiente efficacia;
e) essere in grado di ridurre il rischio cardiovascolare che continua ad essere la principale causa di morbilità e mortalità dei pazienti con DMT2;
f) avere un costo basso, elemento sicuramente molto importante per farmaci che vengono usati per trattare una terapia ad altissima prevalenza quale è attualmente e ancor di più sarà nei prossimi anni il DMT2;>
g) avere un ottimo profilo di sicurezza e avere una grande tollerabilità
h) tenere conto che il paziente che assume la terapia avrà degli effetti collaterali fastidiosi (flatulenza, diarrea, aumento di peso, edemi degli arti inferiori, ecc.) o peggio, di eventi avversi (ipoglicemia, fratture, scompenso cardiaco, ecc.

Le armi per la cura del paziente diabetico.

Il controllo glicemico, che rappresenta una parte importante della gestione del diabete di tipo 2 (DMT2), è un processo complesso a causa della natura eterogenea, variabile e progressiva della patogenesi della malattia.

Il primo step consiste nell'attuare degli interventi relativi allo stile di vita costituiscono invariabilmente la base della gestione del DMT2, in modo particolare la dieta e l’esercizio fisico per il controllo del peso corporeo, il benessere cardiovascolare e la salute psicosociale. Le terapie farmacologiche vengono aggiunte per raggiungere e mantenere l’obiettivo glicemico desiderato, generalmen-te iniziando con un agente orale. Se il target non viene conseguito o mantenuto aumentando le dosi, si associa un agente orale o iniettabile con un differente meccanismo d’azione. Qualora questo duplice regime combinato non risulti in grado di prevenire la progressione della malat-tia, si aggiunge un terzo agente. L’insulina è solitamente riservata ai pa-zienti in cui la combinazione di altri farmaci non fornisce un controllo continuo, ma può essere impiegata prima se i pazienti sono gravemente iperglicemici, notevolmente sintomatici e presentano comorbidità che impediscono l’uso di altre terapie. Le principali classi di farmaci ipoglicemizzanti orali includono:
biguanidi (metformina),
sulfaniluree,
meglitinidi,
inibitori della dipeptidil pep-tidasi-4 (DPP4) (gliptine)
inibitori del cotrasportatore sodio/glucosio-2 (SGLT-2)
tiazolidinedioni (TZD)
inibitori dell’α-glucosidasi
 

Parleremo quindi di :
metformina, di sulfoniluree e glinidi, di tiazolidinedioni e di inibitori delle a-glucosidasi intestinali.


quale cura?

Metformina

La metformina appartiene alla classe farmacologica delle biguanidi, ed è attualmente l'unico farmaco di questa classe in commercio in tutto il mondo e l'unico del quale venga raccomandato l'uso, poiché la vecchia fenformina è pericolosa per le crisi ipoglicemiche che determinava ed è disponibile per la terapia del DMT2 fin dalla fine degli anni '60. E’ un farmaco a basso costo e maneggevole, vecchio e sempre alla moda, impiegato, off label, per la cura delle obesità, in america, ma non ancora autorizzato in Italia, neppure nel paziente iperinsulinemico.
Nella cura del diabetico, sostanzialmente rappresenta l'asse portante sul quale "aggiungere" gli altri principi farmacologici (per esempio insulina, incretine, sulfaniluree) laddove essa da sola risultasse insufficiente a raggiungere un adeguato controllo glicemico. La metformina migliora la sensibilità all'insulina, effetto che si realizza principalmente sul fegato, dove il farmaco è in grado di ridurre la neogluconcogenesi e la produzione epatica di glucosio. Questi effetti si esplicano solo in presenza di insulina, ma il farmaco non potenzia direttamente la secrezione dell'ormone e pertanto il suo utilizzo non è gravato dal rischio di ipoglicemia. I meccanismi molecolari attraverso i quali la metformina esercita questi effetti, come anche i meccanismi attraverso i quali il farmaco riduce i livelli plasmatici di acidi grassi, sono solo in parte conosciuti: dati recenti consentono di ipotizzare che la metformina possa attivare l’AMPK (AMP-activatedprotein kinase), un enzima chiave nella regolazione del metabolismo energetico cellulare. La metformina aumenta moderatamente l’assorbimento di glucosio e la glicogenesi stimolata dall’insulina nel muscolo schele-trico, associata ad un incremento dell’inserimento dei trasportatori del glucosio di tipo 4 (GLUT4) nella membrana cellulare

La sua attivazione porta alla riduzione delle attività cellulari che consumano ATP (come la sintesi di acidi grassi, di glicogeno, di colesterolo, ecc.) e alla stimolazione delle attività cellulari che generano ATP (ossidazione degli acidi grassi, glicolisi). La metformina sarebbe quindi in grado di modificare il livello energetico di diversi tipi cellulari (tra cui gli adipociti e gli epatociti) contribuendo a modificare il metabolismo e il pattern di secrezione endocrina degli adipociti: l'alterazione del metabolismo e della secrezione endocrina degli adipociti (in particolare di quelli viscerali) è ritenuta da molti un elemento chiave della fisiopatologia del DMT2.Contrariamente a quanto ritenuto in passato, la metformina sembra essere in grado di potenziare in vitro l'azione insulinogoga del glucosio e di ripristinare una normale secrezione insulinica in isole umane esposte ad alte concentrazioni di glucosio e acidi grassi liberi. Più recentemente è stato dimostrato che anche in isole umane ottenute da pazienti diabetici di tipo 2 la metformina è in grado di migliorare la secrezione insulinica stimolata dal glucosio, di aumentare il contenuto insulinico e la densità dei granuli secretori maturi contenenti insulina e di ridurre i fenomeni di apoptosi della beta-cellula pancreatica attraverso una concomitante riduzione dei fenomeni di stress ossidativo . Inoltre il farmaco è probabilmente in grado di stimolare la secrezione di GLP-1.

Vantaggi dell'uso della metformina

Efficacia: dai risultati di diversi trial clinici si può dedurre che la metformina è in grado di ridurre la glicemia a digiuno e HbA1c, di circa il 25-30% rispetto ai livelli basali in soggetti diabetici di tipo 2. Questa "potenza" di azione ipoglicemizzante è sostanzialmente sovrapponibile a quella che si osserva con terapia con sulfoniluree o con tiazolinedioni. Al contrario di quello che accade con il trattamento con sulfonilurce, tuttavia, questa diminuzione della glicemia si accompagna a una riduzione di circa il 20% delle concentrazioni plasmatiche di insulina, a riprova del fatto che l'efficacia del farmaco è dovuta non a una stimolazione della secrezione insulinica ma ad una migliore azione dell'ormone e, forse, una "protezione" della funzione beta-cellulare. Prevenzione del diabete: un ampio trial di intervento americano, il Diabetes Prevention Program (DPP), ha dimostrato che il trattamento con metformina è capace di ridurre del 31 % rispetto al placebo la conversione a diabete di soggetti con IGT in un follow~up di 4 anni. Effetti sul peso: il trattamento con metformina non si associa all'aumento ponderale al quale si assiste quando i pazienti vengono trattati con sulfonilurca o tiazolinedioni. Alcuni studi hanno al contrario riportato i-in significativo (seppur molto limitato) calo ponderale in seguito a trattamento con metformina per 6-12 mesi.  Riduzione del rischio cardiovascolare: la metformina è forse l'unico agente ipoglicemizzante orale per cui esista almeno un ampio studio randomizzato in pazienti diabetici che testimoni un effetto del farmaco sulla riduzione delle complicanze macroangiopatiche. Infatti, nel sottogruppo dell'UKPDS dei pazienti in sovrappeso o obesi trattati con metformina si registrava una significativa diminuzione del rischio di eventi legati al diabete, di mortalità per tutte le cause e di infarto del miocardio. Altri effetti favorevoli: il trattamento con metformina si è rivelato capace, in diversi trial di numerosità tuttavia modesta, di avere un effetto favorevole sul controllo pressorio (riduzione sia della pressione sistolica che di quella diastolica di circa il 10-15%) e di ridurre di circa il 30% il livello dei trigliceridi plasmatici, contribuendo, anche se in misura molto modesta, a ridurre il colesterolo LDL e ad aumentare il colesterolo HDL. Al trattamento con metformina seguono inoltre una riduzione dei livelli circolanti dell'inibitore dell'attivatore del plasminogeno (PAI) sulfonamidico era essenziale per l'azione ipoglicemizzante e che essa si esplicava nell'animale reso diabetico da pancreatectomia parziale.
sulfaniluree - chimica molecolare

Vantaggi o svantaggi nell'uso delle sulfoniluree

Le sulfoniluree, oggi in disuso e sconsigliate,  perchè danno pericolose ipoglicemie, specie nell'anziano e perchè conducono all'esaurimento delle beta cellule pancreatiche, si dividono in sulfoniluree:
- di prima generazione, degli anni ’60, tolbutamide, clorpropamide, acetoexamide e tolazamide
- di seconda generazione degli anni ‘70, glibenclamide o gliburide, glipizide, gliclazide, glisolamide e gliquidone.
- Più recentemente sono apparsi sul mercato la glimepiride, la gliclazide a rilascio modificato
Il principale meccanismo d'azione delle sulfonilurce consiste nella stimolazione della secrezione insulinica da parte del pancreas. La beta-cellula pancreatica esprime recettori di membrana per le sulfoniluree e il legame del farmaco con il proprio recettore costituisce il segnale per la chiusura di canali del potassio ATP~dipendenti in stretta relazione con il recettore stesso, con la conseguente diminuzione dell'efflusso di ioni potassio che determina una depolarizzazione della membrana cellulare. Questo comporta l'apertura dei canali per il calcio e l'ingresso del calcio all'interno della Beta-cellula. L'aumentato legame dei calcio-ioni alla calmodulina attiva diversi enzimi della famiglia delle chinasi che stimolano la esocitosi dei granuli di insulina. Anche se alcune Sulfoniluree non solo sono capaci di per sè di stimolare la secrezione insulinica, ma sono anche capaci di potenziare l'azione insulino-secretrice dell'iperglicemia, il legame delle sulfoniluree con i loro recettori sulla beta-cellula pancreatica elicita comunque secrezione di insulina, e questo si verifica anche per concentrazioni prevalenti di glucosio nel sangue normali o addirittura basse. L'utilizzazione delle sulfoniluree è quindi comunque gravato dal rischio di ipoglicemia. Esistono diverse molecole della classe delle sulfoniluree e delle glinidi, con caratteristiche diverse di farmacocinetica e farmacodinamica ma, seppure con qualche distinguo, le considerazioni che seguono sui vantaggi e sui limiti riguardano tutte le molecole della classe.
Efficacia: le sulfoniluree vengono ritenute il farmaco ipoglicemizzante orale di maggiore potenza ipoglicemizzante e riduzioni della HbAlc, di oltre 2 punti percentuali sono state riportate con l'uso di esse. Di costo basso, le sulfoniluree sono, con la mctformina, i principi attivi meno costosi attualmente in uso per il trattamento del DMT2.

Svantaggi e limiti dell'uso

Esse comportano un rischio elevato di crisi  di ipoglicemia, che rappresenta l'evento avverso più comune e più pericoloso della terapia con sulfoniluree, specie nell’anziano e soprattutto con le vecchie molecole come la glibenclamide.  Cionondimeno sono ampiamente utilizzate nella cura dei pazienti con DMT2 ma le nuove linee guida AMD/SID 2018 le considerano come farmaci in disuso oggigiorno e poco raccomandati tra quelli da aggiungere alla metformina..

I tiazolinedioni.


I tiazolidinedioni, oggi in disuso,  sono una classe di farmaci scoperta in epoca relativamente recente per i quali va sicuramente spezzata una lancia, ma che - diciamocelo subito - non si prescrivono nel cardiopatico scompensato. . Sono infatti antidiabetici orali tradizionali  che presentano qualche vantaggio terapeutico. Le due molecole attualmente commercializzate, il pioglitazone e il rosiglitazone, sono farmaci del nuovo millennio, essendo stati introdotti nell'uso clinico dopo il 2000. I tiazolidinedioni fungono da ligandi per i recettori nucleari peroxisome proliferator-activated receptor (PPAR)-y, recettori nucleari implicati nella modulazione genica espressi prevalentemente negli adipociti, ma anche in cellule della parete del vaso (endoteliali e muscolari lisce) e in cellule circolanti quali linfociti, monociti e macrofagi . L'interazione tra i tiazolidinedioni e il recettore PPAR-y è in grado di modulare le funzioni cellulari attraverso due meccanismi: trans -attivazione e trans- repressione. Nella trans- attivazione, il legame ligando-recettore induce la dimerizzazione del recettore PPAR con il recettore dell'acido retinoico e il riconoscimento di questo complesso da parte di PPAR response e1ements del DNA cellulare situati in prossimità della regione promoter di geni target. Ciò determina una attivazione della trascrizione di geni target: in particolare, i geni attivati dalla transattivazione indotta dal legame tiazolidinedioni recettore PPAR-y sono principalmente geni implicati nella differenziazione degli adipociti. Nella trans-repressione, l'attivazione da parte del ligando dei recettori PPAR~y permette a questi di interferire con altre vie di attivazione della trascrizione genica, come quelle dipendenti dall'attivazione del fattore-KB nucleare (NF-KB) o dall'interferone (IFN)-y. In questo modo viene inibita la attivazione della trascrizione di geni target da parte di queste vie di segnale, che sono in genere legate all'attivazione dei meccanismi dell'infiammazione. La differenziazione e l'attivazione degli adipociti indotta dalla stimolazione dei recettori PPAR~y modifica il pattern secretorio degli adipociti, con un aumento ad esempio della sintesi di adiponectina e una diminuzione della sintesi di citochine infiammatorie, quali tumor necrosis factor (TNF)-a e interleuchina (IL)-6 . Queste positive modificazioni migliorano ovviamente l'azione insulinica, ma sono anche fondamentali per un miglioramento della funzione B-cellulare. Inoltre, i tiazolidinedioni sembrerebbero avere anche effetti protettivi direttamente  sulle Beta-cellule. Le beta~cellule infatti esprimono recettori PPAR~,y e l'utilizzazione di tiazolidinedioni è risuliata efficace nel prevenire la degenerazione Beta cellulare.

Vantaggi dell'uso dei tiazotidinedioni


Durabililità, nel senso che con questo termine si intende la capacità di un farmaco di mantenere nel tempo il controllo glicemico. Rappresenta quindi un indilato ne riducono molto la maneggevolezza e dall'altro riducono il numero dei pazienti per i quali possano essere sicuramente indicati. Inoltre, sono ancora gravati da un costo notevolmente superiore a quello di sulfonilurce e metformina.

Metiglinidi

Sono  farmaci, oggi in disuso, cugini delle sulfoniluree, ma  stranamente usati dai nefrologi, quando sospendono la metformina, sono farmaci  insulino-secernenti  a  breve  durata  d’azione  (prandiale)  sviluppati dopo l’osservazione che il composto benzamidico meglitinide, che è un componente di alcune molecole di sulfanilurea, può stimolare la secrezione di insulina. Due meglitinidi (repaglinide e nateglinide) sono stati introdotte alla fine degli anni ‘90/inizio 2000.Le meglitinidi (o glinidi), che insieme alle sulfaniluree fanno parte dei farmaci secretagoghi, agiscono stimolando direttamente la secrezione di insulina, indipendentemente dall’assunzione di cibo. Vengono utilizzate esclusivamente nel DMT2, quando le ß-cellule pancreatiche sono ancora in grado di produrre insulina. Le  meglitinidi  si  legano  con  il  gruppo  benzamide  al  recettore  SUR1  della  cellula  beta,  mettendo  in  moto  la  stessa  sequenza  di  eventi  de-scritta  per  la  stimolazione  della  secrezione  insulinica  da  parte  delle  sulfaniluree.  Le principali differenze sono di tipo farmacocinetico: le meglitinidi vengono rapidamente assorbite, agiscono in modo rapido, ma hanno una durata d’azione più breve rispetto alle sulfaniluree, il che le rende adatte alla somministrazione in coincidenza con il periodo di digestione dei pasti.L’applicazione principale delle meglitinidi è quella di aumentare la se-crezione prandiale di insulina in coincidenza con le aumentate richieste e di ridurre le escursioni postprandiali della glicemia. Le meglitinidi sono opportunamente utilizzate con la metformina o con un tiazolidinedione, e per integrare la terapia insulinica nel DMT.


Acarbose


L’acarbose, oggi in disuso,  un oligosaccaride ottenuto dai processi dì fermentazione dei microrganismo Actinoplanes uthaensis, è un inibitore delle a~glucosidasi, una famiglia di enzimi intestinali (glucoamilasi, strinasi, isomaltasí, maltasí e saccaridasi) situati sull'orletto a spazzola del canale digerente e responsabili della degradazione finale delle maltodestrine e quindi del completamento della digestione dei polisaccaridi fino a molecole monosaccaridiche assorbibili attraverso la parete intestinale. Un’assunzione orale di acarbose in concomitanza con il pasto, attraverso l'inibizione delle (alfa-glucosidasi intestinali, rallenta la digestione dei carboidrati e il conseguente assorbimento e comparsa in circolo di glucosio. Inoltre, l'inibizione delle a-glucosiclasi fa sì che una importante quota di carboidrati transiti inassorbita attraverso i segmenti prossimali dell'intestino e venga poi assorbita nell'íleo: di conseguenza la comparsa in circolo di glucosio è rallentata e la iperglicemia post-prandiale sensibilmente ridotta. L’acarbose si è dimostrato efficace nel migliorare il controllo metabolico e ridurre i livelli di HbA1C in pazienti che non riescano a raggiungere un buon compenso metabolico con dieta ed educazione a un sano stile di vita. Il miglioramento del compenso metabolico in terapia con acarbose ìn monoterapia si traduce in un miglioramento medio della HbAc di 0,7-0,9 punti percentuali. Ovviamente l'efficacia clinica sarà maggiore nei pazienti che presentano un distinto problema di iperglicemia post-prandiale avendo invece glicemie al mattino non elevatissime. L’acarbose mostra efficacia clinica anche quando usato in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali, in aggiunta sia a sulfoniluree sia a metformina sia ad insulina riesce a ridurre in media l’HbA1C di 0,3-0,7 puntì percentuali.

Vantaggi dell’uso di acarbose


Non essendo un farmaco assorbibile, l'acarbose non pone il paziente a rischio di eventi avversi seri. Oggi, tuttavia, le nuove linee guida 2018 non lo considerano farmaco consigliabile.

 Di conseguenza può essere impiegato in pazienti pluricomplicati, in soggetti "fragili", in soggetti molto anziani. Non provoca ipoglicemia e nei pazienti in trattamento con acarbose non è necessario l'automonitoraggio intensivo della glicemia. Non provoca aumento ponderale anzi, favorisce la perdita di peso. Prevenzione del diabete e delle complicanze cardiovascolari: i dati a disposizione sono relativi a un solo studio, lo Study to Prevent Non-Insulin~Dependent Diabetes Mellitus (STOP-NIDDM) che presenta qualche problema interpretativo. In quello studio, tuttavia, il trattamento con acarbose risultava in grado di ridurre del 28% il rischio di sviluppare diabete in una popolazione di soggetti con IGT e di ridurre significativamente il rischio di infarto del miocardio. Dalla saliva di questa lucertola, la soluzione al diabete oggi, Gila Monster Il costo di acarbose è contenuto e solo di poco superiore a quello delle sulfonilurce più moderne, ma i vantaggi sono limitati rispetto agli altri farmaci antidiabetici. L`acarbose è un farmaco sicuramente utile per contrastare le escursioni glicemiche post~prandiali e per portare a target quei pazienti che, proprio a causa dell'iperglicemia post-prandiale, non riescono a raggiungere valori di HbA1c in linea con i target suggeriti.


Inibitori della DPP4

Dal 2007 sono disponibili diversi inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP4) (detti anche gliptine), quali sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, li-nagliptin e alogliptin, che vengono assunti una volta al giorno (o due volte al giorno per vildagliptin). Gli inibitori della DPP4 agiscono aumen-tando l’effetto delle incretine endogene (1).Il glucosio somministrato per via orale induce una risposta insuline-mica nettamente superiore rispetto alla somministrazione di un uguale carico di glucosio per via endovenosa, dando luogo al cosiddetto “effet-to incretinico” che, nei soggetti non diabetici, è responsabile di oltre il 50% della secrezione insulinica totale in risposta al pasto. Questo effetto fisiologico è sostenuto da due sostanze ormonali peptidiche (dette “incretine”), prodotte dal tratto gastrointestinale in risposta all’ingestione
degli alimenti, il GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon-Like Peptide-1), rapidamente degradati (in pochi minuti) dall’enzima dipeptidilpeptidasi ( DPP4), un’aminopeptidasi di membrana ampiamente espressa in molti tessuti. I pazienti affetti da DMT2 hanno una secrezione di GLP-1 in risposta al pasto notevolmente ridotta ed un paradossale aumento della secrezione pancreatica di glucagone, che contribuisce all’iperglicemia postprandiale, attraverso l’aumentata sintesi epatica di glucosio. Per superare il limite all’uso clinico del GLP-1 “nativo”, rappresentato dalla breve emivita (< 2 minuti dopo somministrazione e.v.), dovuta all’azione della proteasi DPP4, sono state individuate due strategie farmacologiche, una basata sull’impiego di molecole strutturalmente analoghe al GLP-1 nativo, ma resistenti alla degradazione enzimatica (GLP-1 Receptor Agonists), l’altra incentrata sull’uso di farmaci inibitori della DPP4 (gliptine), che prolungano l’emivita del GLP-1 nativo. I due approcci comportano effetti clinici differenti: gli analoghi del GLP-1 determinano una stimolazione sovrafisiologica del recettore del GLP-1, senza intervenire sul GIP; gli inibitori della DPP4, invece, inducono un incremento moderato dei livelli circolanti sia di GLP-1, sia di GIP (Figura 4.1), più evidente nelle fasi postprandiali, sfruttando la secrezione endogena di questi ormoni. Inoltre, mentre gli agonisti recettoriali del GLP-1 sono peptidi di discrete dimensioni, che necessitano di somministrazione per via parenterale (sottocutanea), gli inibitori della DPP4 sono molecole di dimensioni assai minori, adatte alla somministrazione per via orale. I DPP4i hanno un modesto impatto sul controllo glicemico, riducendo in media l’HbA1c dello 0.5-0.8%; sono ben tollerati, hanno effetto neutro sul peso e non aumentano il rischio di ipoglicemia, se non somministrati in associazione con farmaci che causano ipoglicemia per sé
 

Incretine

Da qualche anno inseriti come farmaci di prima scelta, subito dopo la metformina, da impiegarsi con la stessa insulinoterapia basale o in prima scelta ove non risulti indicata la metformina, per contrastare l’azione neoglucogenetica del glucagone, di cui le incretine contrastano l’azione. Per le notizie sulle incretine si rimanda al link specifico su questo website. Qui vi anticipiamo che alcuni di questi farmaci, come la semaglutide, possono essere assunti per os e svolgono un'azione insulinosensibilizzante particolarmente interessante oltre ad essere indicati nei pazienti diabetici per ridurre il rischio dei cosiddetti "MACE" o eventi cardiovascolari maggiori.

link consigliato

Gli inibitori dei trasportatori di glucosio anti sglt2

Trovano impiego nel paziente obeso, che mangia ed assimila, che è iperteso, che deve perdere peso e subito. Si rimanda alla pagina.  Trovano un ottimo successo come farmaci di nuovo concetto, dopo una prima fase di fredda accoglienza, hanno trovato nuova accoglienza poichè consentono di ridurre il rischio cardiovascolare nel pazientre diabetico. Trovano indicazione nel cardiopatico scompensato.


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