Ovvero, esistono farmaci, cure o qualche altro rimedio per evitare il diabete?
cfr anche Stile di vita
Una volta che sappiamo che nostro padre o che nostro fratello è affetto da diabete
tipo 2, quale prevenzione è attuabile allo scopo di scongiurare il rischio di ammalare
di diabete tipo 2? Esiste una dieta da seguire, delle regole di vita da rispettare,
dei farmaci da assumere allo scopo?Evitare il sovrappeso e svolgere un’attività
fisica regolare (20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana) rappresentano
i mezzi più appropriati per ridurre il rischio di insorgenza di diabete mellito
tipo 2 nei soggetti con ridotta tolleranza al glucosio (IGT, impaired glucose tolerance).
(Livello della prova I, Forza della Raccomandazione A)
I soggetti con IGT devono ricevere un counselling sulla perdita di peso, così come
indicazioni per aumentare l’attività fisica. (Livello della Prova I, Forzadella
Raccomandazione A)
I soggetti con IGT devono essere incoraggiati a modificare le abitudini alimentari
secondo queste indicazioni:
– ridurre l’apporto totale di grassi (<30% dell’apporto energetico giornaliero)
e particolarmente degli acidi grassi saturi (meno del 10% dell’apporto calorico
giornaliero);
– aumentare l’apporto di fibre vegetali (almeno 15 g/1000 Kcal). (Livello della
Prova I, Forza della Raccomandazione A)
Nei soggetti con obesità e IGT nei quali l’intervento sullo stile di vita sia fallito o non sia applicabile, la terapia farmacologica può essere presa in considerazione anche se risulta meno efficace dell’intervento sullo stile di vita. (Livello della Prova I, Forza della Raccomandazione B). Quando altre strategie si siano rivelate inefficaci, la chirurgia bariatrica può essere considerata un’opzione in grado di prevenire lo sviluppo di diabete tipo 2 in soggetti con obesità severa e IGT. (Livello della Prova I, Forza della Raccomandazione C).
Per quanto riguarda i carboidrati, la maggioranza degli studi epidemiologici osservazionali suggerisce che una dieta ricca in fibre cioè verdure e frutta poco zuccherina e di alimenti a basso indice glicemico è protettiva nei confronti del rischio di diabete tipo 2. I due studi più recenti di prevenzione primaria del diabete tipo 2, il DPS (Finnish Diabetes Prevention Study) e il DPP (Diabetes Prevention Program) prevedevano, come base dell’intervento multifattoriale sullo stile di vita, una riduzione del consumo di grassi saturi e un aumento delle fibre vegetali oltre alla riduzione ponderale e all’aumento dell’attività fisica. È verosimile che la riduzione dell’incidenza di diabete tipo 2 ottenuta in questi studi sia dovuta in parte anche alle modifiche della dieta; tuttavia, non è possibile definire quanto dei risultati ottenuti derivi.
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Il DPP (Diabetes Prevention Program) è uno studio che ha raccolto 2155 soggetti con IGT, il cui obiettivo primario era quello di valutare le variazioni della tolleranza glucidica mediante OGTT , cioè il test da carico con glucosio per os, ripetuto annualmente e attraverso la misurazione semestrale della glicemia a digiuno. Innanzitutto è stata saggiata la vecchia e buona metformina, un farmaco assai usato in terapia orale nel diabete per la sua capacità di sensibilizzare all'insulina i recettori periferici. Infatti è a tutti noto che una ragione per cui si manifesti il diabete è proprio la mancata azione insulina periferica. Dopo un periodo di follow-up della durata media di 2,8 anni, l’incidenza del diabete è risultata del 7,8% nei pazienti trattati con placebo e del 4,8% nei pazienti trattati con metformina, dunque con metformina si riduceva il rischio di sviluppare diabete. Più recentemente, l’uso della metformina è stato valutato anche in uno studio indiano con risultati qualitativamente simili a quelli ottenuti nel DPP, Diabetes Prevention Program. È interessante sottolineare che in questo studio la combinazione metformina + modifiche dello stile di vita non era più efficace dei due interventi praticati isolatamente. Quindi sono stati valutati altri farmaci, i glitazonici, sempre farmaci insulino-sensibilizzanti, di uso più recente nella malattia diabetica, attraverso gli studi DPP, lo studio TRIPOD (che impiegava il Troglitazone in Prevention of Diabetes), condotto in donne con pregresso diabete gestazionale, e lo studio DREAM (Diabetes REduction Assessment with ramipriland rosiglitazone Medication). Lo studio DPP (braccio con troglitazone) ed il TRIPOD sono stati terminati precocemente dopo la nota segnalazione di casi di tossicità epatica fatale da troglitazone; il TRIPOD è continuato in aperto sostituendo il troglitazone con il pioglitazone. Tuttavia, l’analisi prospettica dei soggetti trattati prima della chiusura degli studi suggerisce una elevata efficacia del farmaco nel prevenire la progressione verso il diabete. Nello studio DREAM sono stati arruolati 5269 soggetti (età >30 anni) con ridotta tolleranza al glucosio (IGT) oppure con alterata glicemia a digiuno (IFG). I soggetti sono stati assegnati al gruppo placebo o al gruppo rosiglitazone (4 mg/die per i primi 4 mesi e in seguito 8 mg/die). Il rosiglitazone ha ridotto il rischio di sviluppare il diabete del 60%, in maniera statisticamente significativa rispetto al placebo. La possibilità di prevenire l’insorgenza del diabete tipo 2 mediante terapia con acarbosio è stata verificata nello studio STOP-NIDDM (Study TO Prevent Non-Insulin- Dependent Diabetes Mellitus). In questo trial sono stati randomizzati1429 soggetti con IGT, di cui 715 trattati con acarbosio (100 mg per 3 volte al giorno) e 714 con placebo. La durata dello studio è stata di 3,3 anni. L’incidenza del diabete durante i 39 mesi di osservazione è stata del 32% nel gruppo cui era stato somministrato acarbosio e del 42% nel gruppo placebo, con una riduzione del rischio relativo pari al 25%. Questi risultati hanno dimostrato che l’intervento farmacologico con l’acarbosio nei pazienti con IGT può ritardare la progressione verso il diabete mellito.
Nel DPP è stato effettuato un confronto fra i due tipi di intervento terapeutico,
da cui è emerso che le modificazioni dello stile di vita hanno un’efficacia circa
doppia nel prevenire il diabete rispetto all’intervento con metformina (riduzione
relativa rispettivamente del 58% e del 31%). Il maggior beneficio ottenuto con la
perdita di peso e l’aumento dell’attività fisica dimostra l’opportunità, come prima
scelta nella prevenzione, di incoraggiare i pazienti a rischio affinché modifichino
il proprio stile di vita. Recentemente gli studi di intervento con stile di vita
o farmaci per la prevenzione del diabete negli ipotolleranti ai CHO sono stati valutati
in una revisione sistematica e metanalisi che indica che l’intervento sullo stile
di vita è almeno efficace quanto l’intervento farmacologico Gli obiettivi da raccomandare
sono modesti cali di peso (5-10% del peso corporeo) e moderata attività fisica (30
minuti al giorno).
Nei soggetti con ridotta tolleranza al glucosio (IGT) queste raccomandazioni sono supportate dai risultati di più di un trial clinico randomizzato, e sono quindi da considerare di grado A, in accordo anche con le raccomandazioni nutrizionali per la prevenzione e la terapia del diabete del gruppo di studio dell’EASD. In parole povere, si è visto che i soggetti che hanno sovrappeso e ridotta tolleranza ai carboidrati devono necessariamente ridurre il peso corporeo e l'assunzione id grassi saturi nella dieta (cfr dieta e diabete) e così pure aggiungere le fibreÈ per non incappare nell'insorgenza del diabete. Queste strategie sono supportati da studi clinici e dall'analisi dei risultati ottenuti.
Una recente revisione sistematica della letteratura (25) ha valutato gli aspetti
economici relativi agli interventi di prevenzione nel diabete mellito tipo 2 . Da
questa analisi emerge che, anche se gli studi effettuati sono ancora pochi, le strategie
che utilizzano in maniera intensiva l’intervento sullo stile di vita per prevenire
il diabete tipo 2, come è avvenuto nel DPP e nel DPS, sono altamente cost-effective,
nel senso che i costi necessari per attuarle producono una riduzione della spesa
sanitaria a lungo termine. Tuttavia, il programma utilizzato nel DPP produrrebbe
costi molto elevati se fosse adottato in un contesto di politica sanitaria rivolta
alla popolazione generale. Pertanto, è auspicabile che si individuino metodi meno
costosi in grado di raggiungere lo stesso grado di perdita di peso osservata nel
DPP. Anche l’uso di farmaci capaci di ridurre insieme peso corporeo e iperglicemia
risulta efficace rispetto agli interventi convenzionali. Nell’attuare le strategie
di prevenzione va inoltre ricordato che è importante che si crei una rete integrata
tra livelli generali e livelli specialistici di assistenza al fine di ottimizzare
sia lo screening sia la prevenzione del diabete tipo
In particolare esistono studi epidemiologici osservazionali (Nurses’ Health
Study) e di intervento non controllati e controllati che hanno dimostrato come un
incremento dell'attività sportiva quotidiana, anche semplicemente passeggiare di
buon passo se non si può correre, o un’attività fisica aerobica di moderata intensità
e della durata di almeno 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana con
perdita di peso del 5%, riducono di circa il 60% l’incidenza del diabete mellito
tipo 2. Quindi la prima cosa da fare per allontanare da sè il rischio di diabete,
se avete familiarità per la sua insorgenza, se siete in sovrappeso od obesi, se
avete una ridotta tolleranza ai carboidrati è appunto dimagrire e mantenere un programma
di attività fisica regolare.
Per quanto riguarda le abitudini alimentari, molti studi epidemiologici hanno tentato
di valutare la relazione tra quantità/qualità degli acidi grassi della dieta e il
rischio di diabete tipo 2. Si è visto che cibarsi di carne grassa, di salumi, di
formaggi predispone all'obesità ed al diabete, mentre l'impiego di acidi grassi
polinsaturi, l'olio di mais per intenderci, protegge dall'insorgenza di questa malattia.
Lo stesso dicasi per quanto concerne il consumo di pesce, in quanto la maggior parte
degli studi a riguardo mostrerebbe un effetto protettivo del pesce nei confronti
del diabete tipo 2.
Recenti analisi del Finnish Diabetes Prevention Study dimostrano che, indipendentemente dalla pratica dell’esercizio fisico e dai valori iniziali di glicemia, i soggetti che seguivano una dieta povera in grassi e con elevato contenuto di fibre mostravano una maggiore riduzione ponderale e una minore incidenza di diabete in confronto ai soggetti che seguivano una dieta ricca in grassi e povera di fibre.
Un importante studio di intervento con orlistat è lo XENDOS (XENical in the prevention
of Diabetes in Obese Subjects), in cui si è evidenziata, dopo 4 anni di terapia,
una riduzione complessiva del 37% del rischio di diabete, che nei soggetti con IGT
ha raggiunto il 45% (13). Gli effetti positivi di orlistat sulla glicemia sono stati
confermati successivamente anche dallo studio XXL (Xenical ExtraLarge study), condotto
in oltre 15.000 pazienti obesi con e senza diabete tipo 2, da cui è emersa una riduzione
complessiva della glicemia a digiuno del 7,5%, in particolare del 5,1% nel gruppo
dei non diabetici e del 15,0% nel gruppo dei diabetici. L’efficacia della
terapia con statine nel prevenire l’insorgenza del diabete tipo 2 nei soggetti a
rischio è da dimostrare, mentre è stato dimostrato il loro ruole nella prevenzione
delle malattie cardiovascolari. La pravastatina nello studio WOSCOPS (West Of Scotland
Coronary Prevention Study) ha dimostrato di ridurre l’incidenza di diabete tipo
2 del 30%, suggerendo un importante effetto pleiotropico: si è ipotizzato che l’effetto
sul metabolismo glucidico possa essere legatoalla significativa riduzione dei trigliceridi
circolanti (−12%) rispetto ai controlli; in alternativa, la pravastatina potrebbe
ridurre le citochine infiammatorie (IL-6, TNF-) coinvolte direttamente nella genesi
dell’insulino resistenza. Altra ipotesi evocata è il miglioramento della funzione
endoteliale con incremento della perfusione muscolare e adiposa e aumento dell’uptake
e dell’utilizzo di glucosio. In realtà, altri studi con statine non hanno confermato
quanto osservato nello studio WOSCOPS: è il caso degli studi HPS con simvastatina,
ASCOT-LLA con atorvastatina e LIPID ancora con la stessa pravastatina (18). Già
negli anni ’80 era stato evidenziato un effetto benefico del clofibrato sulla sensibilità
insulinica. Successivamente, anche per il bezafibrato è stato dimostrato un miglioramento
della tolleranza glucidica in soggetti dislipidemici con IGT, la riduzione significativa
dei livelli di FFA e della resistenza insulinica, la diminuzione dell’incidenza
di nuovi casi di diabete dal 54% al 42% e il rallentamento nella progressione dell’intolleranza
glucidica. Al momento attuale, non vi sono dati sufficientemente convincenti che
dimostrino chiaramente che l’uso di alcune classi di farmaci antiipertensivi sia
utile per prevenire la comparsa di diabete tipo 2 nei soggetti a rischio. I pazienti
con diabete tipo 2 sono ipertesi con una frequenza maggiore rispetto alla popolazione
non diabetica. Allo stesso modo, è stato evidenziato come i soggetti con resistenza
insulinica, sindrome metabolica o alterazione del metabolismo glicidico siano a
maggior rischio di essere ipertesi e di sviluppare malattie cardiovascolari. L’utilizzo
su larga scala di farmaci antiipertensivi nella popolazione diabetica ha favorito
già anni fa la ricerca sulla eventuale influenza che questi farmaci potessero avere
sul metabolismo glicidico. Diversamente da quanto riferibile ai diuretici e ai betabloccanti
non selettivi, che anche in studi di popolazione molto ampi hanno confermato un
modesto effetto peggiorativo sull’equilibrio glucidico, i principi attivi entrati
nell’uso in anni più recenti hanno invece mostrato un effetto praticamente nullo
o addirittura lievemente migliorativo sul compenso metabolico (calcioantagonisti,
ACE-inibitori, inibitori AT-II). La conclusione che si può trarre è che in
generale l’impatto del trattamento antiipertensivo sul rischio di sviluppare il
diabete in soggetti predisposti è abbastanza neutro con tendenza al peggioramento
se si utilizzano diuretici e beta-bloccanti e neutro o moderatamentefavorevole se
si utilizzano ACE-inibitori, bloccanti dei recettori AT-II o calcioantagonisti.
Nel recente studio DREAM, che aveva come endpoint primario la comparsa del diabete,
è stato anche valutato l’effetto del ramipril. In questo studio, l’incidenza di
diabete non differiva tra ramipril e placebo. Tuttavia, il ramipril ha mostrato
di produrre una maggior regressione a normoglicemia, che era un endpoint secondario
dello studio. Alla fine dello studio, i valori medi di glicemia a digiuno non differivano
tra ramipril e placebo, ma la glicemia dopo 120 minuti da un carico orale di glucosio
era più bassa nel gruppo trattato con l’ACEinibitore.Un endpoint secondario composto
da infarto del miocardio, ictus, scompenso cardiaco congestizio, morte cardiovascolare,
angina di nuova insorgenza e rivascolarizzazione,non differiva tra ramipril e placebo;
va comunque ricordato che i soggetti arruolati non presentavano patologia cardiovascolare.
Quindi, il ramipril, in soggetti con IFG o con IGT, non è in grado di ridurre l’incidenza
di diabete o i decessi, anche se si assiste a una maggiore regressione a normoglicemia
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cura del diabete
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