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La Mielofibrosi idiopatica con metaplasia mieloide spleno epatica

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La mielofibrosi, che cos'è?

E' una condizione neoplastica con mieloproliferazione cronica (NMC) dove, cioè, le cellule ematopoietiche multipotenti della linea mieloide, vanno incontro a proliferazione, fino al punto si assiste allo spopolamento del midollo osseo e al trasferimento dell'emopoiesi in sede extramidollare, milza e fegato

L'incidenza della malattia è bassa (stimata in circa 0,5-1,3 casi su 100000 persone) e rientra nella definizione di malattia rara.

La mielofibrosi inizia quando viene danneggiato il DNA di una cellula staminale. Ciò può essere provocato da agenti nocivi presenti nei luoghi di lavoro o nell'ambiente e può essere prodotto da virus o da processi di invecchiamento. La cellula staminale danneggiata talora non riesce ad autoripararsi. Le cause alla base di questa malattia non sono note. Esistono però prove che mettono in relazione l'esposizione a radiazioni ionizzanti o a benzene e l'insorgenza della malattia.
 

Ciò accade perchè le cellule ematopoietiche multipotente

Si caratterizzata quindi per:

-fibrosi midollare
- splenomegalia
- anemia.

La MI è caratterizzata da due componenti:

a) proliferazione aberrante cellulare della cellula staminale totipotente della linea mieloide (vedi emopoiesi) per mutazione genetica del gene JAK2 ed una mutazione CARL ed una mutazione MPL 

JAK2, mutazione presente nel 50% dei casi. è stato dimostrato che la maggior parte dei soggetti affetti porta una mutazione a carico di una protein tirosina-chinasi presente nelle cellule staminali chiamata Janus chinasi 2 (JAK2). Infatti nel 2005 è stata scoperta una mutazione attivatoria a carico di questa proteina, in cui la posizione 617 recante un residuo di valina, e sostituito con l'amminoacido fenilalanina(V617F), presente nella maggior parte dei pazienti sia con Policitemia vera,  ma anche in una frazione minore di soggetti colpiti da trombocitemia essenziale e mielofibrosi primaria.

Per queste patologie è stata caratterizzata anche un'altra mutazione, quella a carico del gene codificante per il recettore della trombopoietina, denominato MPL, a livello del residuo di triptofano in posizione 515, che viene rimpiazzato dall'amminoacido leucina (W515L).) A causa della mutazione, la chinasi JAK diventa "costitutivamente attiva", non ha bisogno dei soliti segnali extracellulari che portano alla sua attivazione per cui, in pratica, è inarrestabile nella sua funzione.

CARL (calreticulina) è una proteina chaperone che lega il calcio localizzata nel reticolo endoplasmatico liscio, che svolge molteplici funzioni.

MPL fa parte del recettore della TPO a carico della porzione intramembranaria

b) implementazione della componente fibrotica del midollo.

 La fibrosi  è identificata nei fibroblasti e nell'anomala produzione di fibre di collagene all'interno del midollo. La responsabilità di questa produzione di fibre è però a carico degli stessi cloni neoplastici che attivano segnali stimolatori in tal senso.

Forme di mielofibrosi idiopatica

Possiamo avere le forme:

- Primitiva: MF idiopatica
- Secondarie post-PV
- Secondaria post-TE
 

I sintomi in corso di mielofibrosi

La malattia è sostanzialmente asintomatica nella prima fase, motivo per cui viene spesso diagnosticata nel corso di normali analisi di controllo, o può dare dolori addominali e disturbi del microcircolo. Presto però, quando il midollo diventa spopolato e fibrotico,  i sintomi clinici aumentano e si ampliano.

Possono quindi apparire: febbre, perdita di peso, dolori ossei e sudorazione notturna. Con il decorso della malattia possono apparire anche anemia, trombosi e/o la compromissione della milza. I pazienti nel 15% dei casi presentano incremento dei globuli bianchi e per quanto concerne l'anemia si hanno forme dei globuli rossi strane, anisopoichilocitosi, e si parla di "dracriociti", cioè di eritrociti a forma di lacrima, che si deformano in questo modo nei passaggi attraverso i sinusoidi splenici. Altri segni sono le piastrine aumentate, i valori dell' LDH elevato, e la presenza di "punctio sicca", cioè la biopsia midollare evidenzia una fibrosi più o meno eccessiva.

Midollo e gradi fibrosi

Il midollo presenta 4 gradi:

MF0, MF1, MF2, MF3

La malattia può evolvere in crisi blastica, una condizione clinica molto simile a una Leucemia Acuta, o entrare in una fase accelerata pur senza trasformazione in leucemia. Altre possibili complicazioni che incidono sul decorso della malattia sono le trombosi e infezioni.

Diagnosi di mielofibrosi idiopatica

Nella gran parte dei casi la malattia viene diagnosticata durante delle normali analisi di controllo.

L'età media in cui viene effettuata la diagnosi si aggira sui 60-65 anni. Solo un 10% del totale dei pazienti presenta un'età inferiore ai 55 anni.

La diagnosi viene effettuata seguendo i criteri stabiliti dalla WHO (World Health Organization) che richiede l'accertamento di diversi fattori:

-aspetti morfologici, clinici, genetici e istopatologici.

L'istopatologia è essenziale per valutare lo stato di fibrosi del midollo e definire il grado di malattia. All'aumentare dello stato fibrotico si ha la contestuale diminuzione delle cellule nel midollo.
 

Criteri maggiori per la diagnosi

Presenza di mutazione di JAK-2, CALR, MPL

Esclusione di altre patologie mieloproliferative

Presenza della proliferazione di megacariociti ed atipie, senza fibrosi < MF1 ed incremento della cellularità, proliferazione di granulociti, e spesso decremento di eritropoiesi.

Prognosi

Considerata la variabilità delle possibili complicazioni, è fondamentale attribuire un fattore di rischio al paziente, basato sullo stato della malattia e sulle possibili cure richieste. In genera la prognosi, senza trattamento, è di 4-5 anni, ma può arrivare fino a 10 anni. Le complicanze dipendono da rottura di milza o trombosi, emorragie, ulcere, pancitopenia e mielofibrosi, trasformazione leucemica.

Terapia

La modulazione della terapia deve prendere in esame lo stato di malattia e il rischio calcolato. Il fattore di rischio viene calcolato tramite un sistema internazionale (IPSS o DIPSS) e distingue 4 categorie di rischio: basso, intermedio 1, intermedio 2, alto.

In un paziente a rischio basso, per esempio, la terapia sarà essenzialmente di tipo palliativo, mentre per rischi più elevati la terapia è mirata a contrastare i sintomi clinici (anemia, splenomegalia, trombocitosi, ecc.) con trattamenti che vanno dalla mielosoppressione al trapianto di cellule staminali.

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