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Trattamento della malattia infiammatoria pelvica

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La malattia infiammatoria pelvica è un'infezione polimicrobica delle vie genitali superiori della donna. La malattia interessa primariamente donne giovani sessualmente attive. La diagnosi è di tipo clinico; non esiste un singolo esame che sia sufficientemente specifico e sensibile da consentire una conferma diagnostica definitiva.

La presenza di una malattia infiammatoria pelvica va sospettata in pazienti a rischio che lamentano dolore a livello pelvico o dei quadranti addominali inferiori, nelle quali non è possibile identificare una causa eziologica, e che presentano dolorabilità al movimento della cervice, alla palpazione dell'utero o degli annessi. I microorganismi più frequentemente implicati nell'infezione sono la Chlamydia trachomatis e la Neisseria gonorrhoeae.

Lo spettro della malattia può variare tra casi asintomatici e casi con ascessi tubo-ovarici di gravità tale da mettere in pericolo la sopravvivenza della paziente. Le pazienti devono essere sottoposte ad un trattamento empirico, che va intrapreso anche in presenza di una sintomatologia poco evidente. La maggior parte delle pazienti può essere trattata in maniera efficace a livello ambulatoriale, con la somministrazione di una dose singola di cefalosporina per via parenterale più doxiciclina per via orale, associate o meno a metronidazolo per via orale.

Ritardi nel trattamento possono causare gravi sequele, comprendenti dolore pelvico cronico, gravidanze ectopiche ed infertilità.

Il ricovero in ospedale ed un trattamento per via parenterale sono indicati nelle donne in gravidanza, nelle donne che presentano un'infezione con il virus dell'immunodeficienza umana, che non rispondono al trattamento per via orale, oppure si trovano in condizioni generali gravemente compromesse. Le strategie per prevenire lo sviluppo della malattia infiammatoria pelvica comprendono l'esecuzione di routine di esami di screening per la ricerca di un'infezione da Chlamydia ed un'adeguata informazione della paziente.
La cura della malattia infiammatoria pelvica è empirica e si basa sull'impiego di antibiotici ad ampio sprettro o mirati ai germi delle vie genitali, secondo dei criteri specifici, evitando però lo sviluppo di farmaco-resistenza; si ritiene tuttavia che i benefìci ottenibili con il trattamento siano superiori ai rischi. Dal momento che le infezioni responsabili di malattia infiammatoria pelvica sono polimicrobiche, per offrire alla paziente una copertura adeguata vengono in genere somministrati antibiotici ad ampio spettro. Gli antibiotici utilizzati devono essere efficaci nei confronti di Chlamydia trachomatis e Neissearia gonorrheae, anche in presenza di risultati negativi ai test diagnostici; le pazienti, infatti, possono presentare infezioni delle vie genitali superiori anche in assenza di esami cervicali colturali positivi per tali microorganismi. La necessità di somministrare antibiotici efficaci nei confronti di batteri anaerobici rappresenta un argomento controverso.

I microorganismi anaerobici riscontrabili nelle pazienti con malattia infiammatoria pelvica possono comprendere germi della flora batterica vaginale o cervicale, come i microorganismi batterici associati alla vaginosi (es. Gardnerella vaginalis). In assenza di studi definitivi di outcome, le linee-guida disponibili consigliano la somministrazione di farmaci attivi nei confronti di tali microorganismi. In alcune donne l'insuccesso del trattamento è stato associato alla presenza di un'infezione da Mycoplasma genitalium; le attuali linee-guida non prevedono tuttavia la somministrazione di farmaci efficaci contro tale microorganismo. Per definire l'opportunità di un trattamento di routine contro il Mycoplasma genitalium saranno necessari ulteriori studi.I dati di confronto sull'efficacia dei diversi regimi terapeutici sono limitati; le linee-guida disponibili vengono continuamente aggiornate in modo da riflettere eventuali modificazioni dei pattern di antibiotico-resistenza e la presenza di nuovi microorganismi. Il medico deve in primo luogo valutare se la paziente deve essere ricoverata oppure può essere trattata a livello ambulatoriale.

La prima opzione per un trattamento orale prevede la somministrazione di una singola dose da 250 mg di ceftriaxone (per via intramuscolare), associata a doxiciclina (100 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni). Le pazienti con malattia infiammatoria pelvica lieve o di gravità intermedia possono essere trattate a livello am-bulatoriale per via orale senza incorrere in un au mento del rischio di sequele a lungo termine. L'età della paziente non influenza la risposta al trattamento, sia nei casi seguiti a livello ambulatoriale sia nei casi ricoverati in ospedale. Nei casi in cui è necessario ricorrere ad un trattamento per via parenterale, la paziente deve passare ad una terapia orale 24-48 ore dopo l'ottenimento di un miglioramento clinico con la terapia parenterale. Le pazienti con ascessi tubo-ovarici devono ricevere una terapia intraospedaliera per almeno 24 ore, ed a volte devono ricorrere ad altre terapie, anche chirurgiche. Si sta sempre più diffondendo una resistenza della Neisseria ghonorreae nei confronti dei fluorochinoloni; questi farmaci non vengono pertanto più consigliati, se non in presenza di un esame colturale positivo con dimostrata sensibilità all'antibiotico.
Negli altri casi è indicata la somministrazione di una cefalosporina per via parenterale.

Opzione 1

Ceftriaxone 250 mg per via intramuscolare in una singola somministrazione
 più
Doxiciclina 100 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni
 associata o meno a
Metronidazolo 500 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni

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Opzione 2
Cefoxitin 2 g per via intramuscolare in una singola somministrazione somministrata contemporaneamente a probenecid (1 g per via orale)
 più
Doxiciclina 100 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni
 associata o meno a
Metronidazolo 500 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni
 
Opzione 3
Altra cefalosporina di terza generazione per via parenterale (es. ceftizoxime, cefotaxime)
più
Doxiciclina 100 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni
associata o meno a
Metronidazolo 500 mg per via orale 2 volte al giorno per 14 giorni

Nelle pazienti trattate a livello ambulatoriale è necessario un adeguato follow-up, volto ad accertare eventuali miglioramenti. I sintomi clinici dovrebbero migliorare entro 72 ore dall'inizio del trattamento; nei casi in cui il miglioramento non avvenga la paziente deve essere sottoposta ad un'ulteriore valutazione. In alcune pazienti possono essere necessari ulteriori esami per escludere altre diagnosi, come ad esempio un ascesso tubo-ovarico; una valutazione ulteriore può essere necessaria per definire la necessità di altri farmaci antimicrobici, di una terapia per via parenterale, ed eventualmente del ricovero della paziente in ospedale. I partner sessuali di sesso maschile di donne affette da malattia infiammatoria pelvica devono essere valutati e trattati nei casi in cui hanno avuto rapporti sessuali con la donna nei 60 giorni precedenti la diagnosi della malattia. maschi sono spesso asintomatici, anche quando il loro partner sessuale femminile è sintomatico per un'infezione da Chlamydia o gonorroica. Per ridurre il rischio di recidive lepazienti ed i loro partner devono astenersi dai rapporti sessuali fino al completamento del ciclo terapeutico. Le donne con malattia infiammatoria pelvica devono ricevere un counseling per la prevenzione delle malattie trasmesse per via sessuale e della malattia infiammatoria pelvica; esiste infatti un rischio elevato di reinfezione, anche dopo il trattamento del partner. Dopo il termine del trattamento è consigliabile la ripetizione, a 3-6 mesi, degli esami per la ricerca dell'infezione da Chlamydia e gonorroica. Per escludere la presenza di infezioni associate sono consigliabili anche l'esame per il virus dell'immunodeficienza acquisita (HIV) e per la sifilide.

Casi particolari di malattia infiammatoria pelvica

malattia infiammatoria pelvica è poco frequente durante la gravidanza; nei casi in cui si manifesta ciò in genere avviene durante le prime 12 settimane, cioè prima che il tappo mucoso possa agire come una barriera adeguata. Se si sospetta una malattia infiammatoria pelvica la donna in gravidanza deve essere ricoverata in ospedale e deve essere sottoposta ad un trattamento antibiotico per via parenterale. La malattia infiammatoria pelvica durante la gravidanza aumenta il rischio di parto pretermine e la morbilità materna. Le donne con dispositivi intrauterini presentano un aumento del rischio di malattia infiammatoria pelvica solamente durante le prime 3 settimane dopo l'inserimento del dispositivo. Non esistono evidenze in favore della necessità di rimuovere il dispositivo durante la fase acuta della malattia; queste pazienti devono tuttavia essere sottoposte ad un attento follow-up. I dati disponibili non evidenziano differenze di outcome della malattia infiammatoria pelvica tra le donne con dispositivo intrauterino al rame rispetto alle donne con dispositivo intrauterino medicato con rilascio di levonorgestrel. Non esistono finora dati sufficienti per consigliare la somministrazione profilattica di antibiotici, in occasione dell'inserimento del dispositivo intrauterino, con l'obiettivo di diminuire il rischio di sviluppare una malattia infiammatoria pelvica.

Per approfondire il tema delle infiammazioni delle pelvi:

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