«Giuro, per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: […] Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio»
(Giuramento di Ippocrate, formula classica, 430 a.C.)
In base al contenuto
dell'articolo 2 del Codice civile il minore è soggetto di diritti
ma è privo della capacità ad esercitare tali diritti, venendo a mancare quella capacità
d'agire che sorge al compimento dei diciottesimo anno di età. In tema di minori
è giusto richiamare l'articolo 29 del Codice deontologico dei medici italiani che
stabilisce che "il medico deve contribuire a proteggere il minore, l'anziano e il
disabile, in particolare quando ritenga che l'ambiente, familiare o extrafamiliare,
nel quale vivono, non sia sufficientemente sollecito alla cura della loro salute,
ovvero sia sede di maltrattamenti, violenze o abusi sessuali, fatti salvi gli obblighi
di referto o di denuncia all'autorità giudiziaria nei casi specificatamente previsti
dalla legge".
Di norma il trattamento medico rivolto al malato di mente si risolve con il trattamento
sanitario obbligatorio nei casi più gravi, anche se giova osservare come il malato
di mente deve prestare il proprio consenso nelle ipotesi che non riguardino la malattia
mentale, in base all'art. 34 del Codice di deontologia, il medico, se il paziente
maggiorenne infermo di mente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso
di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato
dallo stesso; deve tenere conto in ogni caso della sua volontà, compatibilmente
con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale
rappresentante. L'art. 414 c.c. stabilisce, infatti, che "il maggiore di età e il
minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente
che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando
ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione". Il seguente art. 415
c.c. stabilisce che gli infermi di mente, che non presentino una situazione di gravita
tale da far luogo all'interdizione, possono essere inabilitati. Tutore e curatore
sono nominati entrambi dal Tribunale.
Appare opportuno trattare le ipotesi concernenti il paziente capace di intendere e di volere che abbia perso tali facoltà. Questo tema ha assunto rilevanza negli ultimi periodi, soprattutto con riferimento alla cessazione delle cure nei pazienti entrati in stato di coma irreversibile. La concezione che vedeva il medico come depositario del potere di scelta, al di là del fatto che il paziente avesse disposto a proposito, oggi è radicalmente cambiata, poiché è entrato prepotentemente in campo il diritto all'autodeterminazione del malato. Appare opportuno osservare come nel nostro ordinamento il giudice sia soggetto alla legge in forza dell'ari 101 della Costituzione. L'art. 579 del Codice penale dispone in tema di omicidio del consenziente e l'art. 580 del medesimo codice disciplina le ipotesi di istigazione o aiuto al suicidio. Come si vede non sfugge un primo contrasto tra i contenuti di queste due norme di legge e il principio dell'autodeterminazione del paziente. Inoltre, si può proporre il caso del paziente incapace che non abbia disposto alcunché in caso di incapacità sopravvenuta, come lo stato di coma irreversibile. Entra in considerazione, inoltre, l'art. 51 del C.p. che potrebbe risolvere un primo contrasto con l'art. 579 del C.p. e che si pone, tuttavia, in contrapposizione con l'art. 40 secondo comma del C.p. medesimo che imporrebbe di continuare il trattamento nonostante un dissenso espresso dal paziente. è stato inoltre sostenuto che l'art. 32 della costituzione riconoscerebbe il diritto di ogni cittadino, con portata quindi di norma superprimaria, a non essere sottoposto a trattamenti sanitari, salve le ipotesi di legge che tengano in considerazione il rispetto della persona umana. In questo senso vi sarebbe un contrasto delle norme del codice con i dettati della Costituzione, con la conseguenza che alla presenza di una precisa volontà in tal senso il medico deve legittimamente interrompere i trattamenti e lasciare morire il paziente. Il dettato dell'art. 579 C.p. continuerebbe ad essere applicato ad altre ipotesi come ad esempio la somministrazione di una sostanza letale o altre procedure che attivamente accelerino la morte. Si è sostenuto, inoltre, come le norme del Codice penale, entrate in vigore nel 1930 e quindi prima della promulgazione della costituzione (avvenuta, come è noto, nel 1948), costituiscano protezione da assalti ed interferenze di terzi soggetti e non siano pertanto applicabili qualora sia in gioco la vita del paziente nelle condizioni sopra riportate, in quanto è proprio il paziente il titolare del diritto di disposizione in tema di salute. Nel nostro Paese si è poi discusso a lungo, e con molte decise prese di posizione, sull'ipotesi di una prosecuzione di un trattamento invasivo, come l'alimentazione e l'idratazione artificiale, in quanto ogni forma di invasione del corpo medesimo necessita di una giustificazione, anche con riferimento ai contenuti della Costituzione. Nel nostro ordinamento è stata riconosciuta la Convenzione di Oviedo (ossia la Convenzione del consiglio di Europa sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina fatta ad Oviedo il 4 aprile 1997 e resa esecutiva in Italia con legge di autorizzazione alla ratifica 28 marzo 2001, n. 145), che fonda nell'art. 5 i presupposti del consenso informato come in precedenza esaminato, stabilendo al successivo art. 6 che, qualora non sia possibile acquisire il consenso informato, il soggetto legittimato alla decisone è il legale rappresentante, principio che è, tra l'altro, in aderenza con gli articoli del Codice civile italiano. Qualora si versi in uno stato di urgenza e non sia possibile acquisire il consenso del legale rappresentante o perché assente o perché non ancora nominato, spetta al medico la potestà decisionale che deve sempre essere rivolta all'interesse del paziente, come è scritto nell'art. 54 del C.p. e nell'ari 8 della Convenzione di Oviedo, oltre che nel Codice di deontologia, sopra riportati. Sono altresì differenti i casi di trattamento sanitario obbligatorio per i pazienti portatori di patologie di natura psichiatrica (art. 7 della Convenzione di Oviedo e ari 33 della 1.833/78). Appare evidente, in ogni modo, che le decisioni del legale rappresentante devono essere ispirate e conformi a quelli che sono gli interessi del rappresentato.
oppure cfr indice della visita del paziente