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Impossibilità ad esprimere il proprio consenso

Incoscienza o incapacità del paziente e consenso

  1. Gastroepato
  2. La visita
  3. Impossibilità ad esprimere il consenso
  4. Il consenso
  5. Gestione del rischio in sanità
  6. Omicidio del consenziente
  7. Fine vita, eutanasia
  8. Le prestazioni mediche in urgenza

"Giuro, per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: [...] Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio".  (Giuramento di Ippocrate, formula classica, 430 a.C.)
Appare opportuno affrontare il problema concernente il paziente che non possegga la capacità per esprimere e manifestare il proprio consenso: che tipo di indagine e di attività deve porre in essere il medico? La prima ipotesi in considerazione riguarda le situazioni di emergenza, nelle quali il paziente giunga presso la struttura sanitaria in stato di incoscienza e vi sia concreto pericolo di vita o sussista la possibilità di gravi danni alla salute.

Esempio pratico

Un paziente giunge al PS in stato di grave anemia da perdita acuta per emorragia gastrointestinale. I familiari si dichiarano testimoni di Geova e, pertanto, per loro credo religioso, non intendono che il parente, benché versi in stato di shock e grave pericolo per la sua vita, non in grado di esprimere volontà alcuna, sia trasfuso.

Il medico è combattuto fra due ipotesi:
a) Non trasfondere e perdere il paziente
b) Trasfondere e contravvenire a quanto richiesto esplicitamente dai parenti del malato.

In tali casi, tuttavia, i sanitari dovranno porre in essere tutte le attività a protezione e a tutela della vita e della salute del paziente incosciente. Entra a sostegno dell'attività prestata il contenuto dell'art. 54 del Codice penale, che disciplina lo stato di necessità, e che impone al medico di svolgere questa sua attività per così dire di "pronto soccorso" giustificandone la condotta in assenza di consenso informato (art. 54 del Codice penale: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona").

Ovviamente vi sono alcuni limiti a tale intervento, in primo luogo si deve accertare che il paziente non abbia manifestato una differente opinione in tema di alcune procedure, ad esempio il rifiuto di trasfusioni per convinzioni religiose.

In ogni caso appare opportuno evidenziare come ai prossimi congiunti ed ai familiari l'ordinamento non attribuisca nell'ipotesi in considerazione alcuna potestà di intervento: sarà il medico a prendere la decisione sulla salute del paziente incosciente. Il caso in questione venne risolto per intervento del magistrato, a cui fu richiesto di intervenire per autorizzare d'ufficio la procedura trasfusionale, che, benché necessaria ed indispensabile, non è scevra di rischi ed il medico avrebbe potuto subire l'ennesimo procedimento penale se la pratica non avesse sortito l'effetto sperato.  L'art 7 del Codice deontologico dei medici italiani (Obbligo di intervento) dispone altresì che "il medico, indipendentemente dalla sua abituale attività, non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d'urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza".

L'art. 34 del Codice deontologico in esame (che dispone in tema di autonomia del cittadino) afferma che "il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona.

Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso, il medico ha l'obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l'età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente". Di particolare rilievo il caso in cui il paziente non possa più riprendere quelle funzioni che lo riportino ad una situazione di coscienza.

A tal proposito si rimanda al commento di una sentenza della Corte di Cassazione su un noto caso che ha diviso l'opinione pubblica del nostro paese. Appare opportuno anticipare quanto dispone l'art. 37 del Codice di deontologia medica, per l'assistenza al malato inguaribile: "in caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita (cfr eutanasia). In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente utile.

Il sostegno vitale dovrà essere mantenuto sino a quando non sia a ccertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo". Si è alla presenza di una situazione in cui è molto ampia la possibilità operativa e tecnica di rianimazione riguardante il mantenimento dei sostegni vitali prima del normale accertamento della morte cerebrale, e ciò vale per quei malati in rianimazione ove la perdita dello stato di coscienza è da considerarsi strettamente connessa al processo del morire oramai irreversibile e prolungato da molti giudicato inutile. Secondo il codice di deontologia, il ricorso a tecniche di sostegno vitale deve sempre essere correlato ad una valutazione di appropriatezza clinica e di rispetto della volontà del paziente.

L'interpretazione delle regole deontologiche comporta come conseguenza che solo il medico può decidere se continuare o meno le terapie se si è in una situazione ove non vi è più speranza di recuperare il malato ad una vita non più vegetativa. Si ricorda come l'articolo 14 del medesimo codice (Accanimento diagnostico-terapeutico) stabilisca che " il medico deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita". 

cfr anche non consenso 2

 

oppure cfr indice della visita del paziente