Il paziente diabetico può andare incontro ad una serie di problemi, connessi col metabolismo del glucosio (cfr glicidi). Infatti il corpo umano, come una qualsiasi macchina, necessita di energia che gli deriva dalla combustione del glucosio, reazione chimica quest'ultima che avviene a temperatura ambiente, processo che necessita di ossigeno e che sviluppa vapore acqueo ed anidride carbonica, con alta resa energetica. Se per motivo del diabete il processo metabolico si interrompe, poiché il glucosio, per mancanza dell’azione insulinica, relativa o assoluta, non penetra dentro la cellula e non viene utilizzato per questa “combustione” chimica, allora l’organismo va in sofferenza e si determinano delle sofferenze. Chi vi scrive quotidianamente deve affrontare queste urgenze/emergenze nel paziente ospedalizzato. Per esempio, viene richiesta la consulenza dalle chirurgie per il paziente diabetico scompensato che deve essere sottoposto ad interventi chirurgici oppure per il paziente cardiaco (ch. vascolare, ortopedia, ch. generale, UTIC ecc). In genere tale tipologia di paziente necessita di reidratazione con soluzione fisiologica e di terapia insulinica a basso dosaggio per via endovenosa (per es. 10 unità di insulina analogo rapido da aggiungere alla soluzione fisiologica e da somministrare con particolare lentezza, fino a raggiungere il compenso glicometabolico (in genereè sufficiente un valore glicemico di 250 mg/dL, per non incorrere nel rischio di edema cerebrale, stante l'incapacità della barriera ematoencefalica a scambiare con velocità con l'ambiente extracellulare).
Le "urgenze" del paziente diabetico, dunque, comprendono:Per quanto concerne il punto a) relativo alle crisi ipoglicemiche, si rimanda alla pagina che le tratta in maniera esaustiva. Qui ricorderemo che una crisi ipoglicemica è evento assai frequente e pericolosissimo per il paziente diabetico, tanto che le linee guida 2010 delle società italiane di diabetologia raccomandano di non stressare il controllo glicometabolico specie nell’anziano, dove va bene un controllo non esagerato delle glicemie e, soprattutto, vanno evitati alcuni farmaci antidiabetici orali quali le vecchie sulfaniluree (glibenclamidi). Inoltre particolare attenzione va posta nella terapia con insulina, specie alla “basalizzazione” bed-time, cioè al dosaggio dell’ultima somministrazione di insulina della sera, spece se non avete somministrato gli analoghi lenti (cioè le insuline detemir, degludec e glargine).
Parliamo di ipoglicemia o di crisi ipoglicemica quando il tasso glicemico si è ridotto e compaiono dei sintomi, cioè l’organismo di conseguenza entra in sofferenza, specialmente il cervello, il cui metabolismo si avvale del combustibile glucosio e del comburente ossigeno. Ne deriva un senso di malessere, come di sonnolenza e stanchezza fino al coma accompagnato da ansia e tremore con le gambe che tremano.
La glicemia nel sangue, nell’adulto, deve essere normalmente intorno a 100 mg/dl (cfr diabete), e fino a 110 mg%, ma per parlare di crisi ipoglicemica si deve fare riferimento a quella glicemia sintomatica, cioè a quel valore basso di glicemia che causa sintomi, in genere se la glicemia scende sotto i 65 mg/dl, e più ancora se il glucosio scende ancora, sotto i 54 mg/dl, quando il cervello va in tilt e si attivano i sistemi di contro regolazione, rappresentati principalmente da adrenalina e glucagone. Nel bambino, invece, il cervello tollera glicemia perfino di 27 mg% e sfrutta altre fonti energetiche.
Il punto b) tratta della chetoacidosi; di che si tratta?
La chetoacidosi è una evenenienza da tenere presente quando trattiamo un paziente
con diabete di tipo 1, mentre è più rara nel
diabete di tipo 2. Essa si manifesta per il fatto
che la carenza di insulina rende impossibile la “combustione” di glucosio. L’organismo,
però, che è una macchina perfetta, cerca altre fonti energetiche alternative e mette
mano alla “combustione” dei grassi, che nella loro forma elementare sono i trigliceridi,
che a loro volta si trasformano nei “corpi chetonici” per essere utilizzati nell’organismo.
Ma i corpi chetonici sono delle sostanze anche tossiche per il corpo, specie
se
il loro quantitativo è eccessivo, indice questo di alterato metabolismo e di carenza
assoluta dell’azione insulinica.
Una delle ragioni è la prolungata ipoglicemia, compensata da un'eccessiva gluconeogenesi che sfrutta gli intermedi del ciclo di Krebs, cioè il ciclo degli acidi tricarbossilici, essendo bloccato il metabolismo che porta alla formazione di piruvato. La chetogenesi, principale causa dei segni della chetosi, è dovuta alla formazione dei corpi chetonici, composti derivati dagli acil-coa, i quali non possono proseguire il ciclo di krebs per la mancanza dei suoi intermedi, quali l'ossalacetato. La formazione di corpi chetonici, sintetizzati per reazione di almeno 3 acil-Coenzima A, comporta il risparmio del Coenzima A, necessario all'attivazione degli stessi acidi grassi. I corpi chetonici così formati, viaggiano nel sangue. Uno di questi, l'acetone, molto volatile, si libera a livello degli alveoli e conferisce all'alito del paziente affetto da chetosi il caratteristico odore. Ciò può accadere quando il corpo ha maggiore esigenza di energia:
- nelle infezioni
- nell'abuso di alcool
- nello stress emozionale
- nella pancreatite
- nelle emorragie gastrointestinali
- nella infusione i.v. di destrosioipoglicemia
- in gravidanza
- durante il digiuno prolungato
-in grave carenza di carboidrati, sia per regime alimentare sbagliato che per intenso
consumo (attività fisica prolungata)
- nell'alcolismo.
In queste condizioni, nel paziente diabetico, la bassa concentrazione ematica di
insulina, insieme alla presenza di ormoni controregolatori (glucagone), provoca
un' aumentata gluconeogenesi epatica, un' aumentata proteolisi, una minore utilizzazione
periferica di glucosio. Ne deriva che nonostante la iperglicemia, cioè la presenza
eccessiva di glucosio nel sangue, questo non viene utilizzato perché manca la “chiave”
insulinica che consente il passaggio del glucosio dentro la cellula. Questi eventi
portano alla iperglicemia, con conseguente glicosuria, cioè il rene riassorbe il
glucosio contenuto nel sangue fino ad un certo punto, cioè fino a valori di 160
mg/dl, quindi il glucosio, non essendo riassorbito nel tubulo renale, passa nelle
urine con conseguente diuresi osmotica, perdita di elettroliti e ipovolemia. Una
aumentata lipolisi, con aumento degli acidi grassi, appunto, utilizzati come fonte
energetica alternativa, causa la formazione dei corpi chetonici: acido acetoacetico,
acetone, e acido beta-idrossi-butirrico. La presenza di corpi chetonici comporta
una forte diminuzione della riserva alcalica, che, unita all'insufficienza renale
dovuta all'ipovolemia porta alla acidosi. La triade "chetosi, iperglicemia, acidosi"
viene chiamata nel diabetico Chetoacidosi diabetica o DKA, con conseguente abbassamento
del pH del sangue.
Nel paziente con Chetoacidosi Diabetica , si ha l'abbassamento del pH nel sangue
a seguito dell'aumento di concentrazione di acido acetoacetico, acetone, e acido
beta-idrossi-butirrico; i sintomi sono la stanchezza, malessere generale, poliuria,
sete, polidipsia, crampi, aritmie cardiache, sonnolenza, perdita di peso, bradipnea.
alora, specie nel bambino, si possono avere dolori addominali che vengono scambiati
per attacco di appendicite. Altri segni che compaiono sono la disidratazione, ipotensione,
anomalie ECG, disfunzioni cerebrali, perdita della massa muscolare, Respiro di Kussmaul.
1.Reidratazione, va bene anche con soluzione fisiologica, somministrando piccole
quantità di insulina in infusione lenta o piccoli boli (cfr :
La terapia del diabete
in ospedale La
terapia del diabete in ospedale_2)
2.Somministrazione di insulina (vedi sopra)
3.Somministrazione di potassio, prestando particolare attenzione.
4.Infusione di glucosio, se il paziente è stato in stato soporoso da tempo, se c’è
febbre e digiuno protratto o vomito che non consentano
la rialimentazione.
• Iniziare con soluzione fisiologica alla velocità di 5-10 ml/kg/h per 90-120 min
(massimo 300 ml/h).
• Proseguire dopo la seconda ora con soluzione fisiologica fino ad una discesa della
glicemia a 250-300 mg/dl o superiore a 100 mg/dl/h.
• Aggiungere quindi glucosata al 5-10 % a seconda del calo della glicemia ma mantenendo
una tonicità della soluzione almeno pari alla salina 0,45%.
• Integrare fin dall’inizio dell’idratazione, ma soprattutto con l’inizio dell’infusione
di insulina, il potassio a 20-40 mEq/l, somministrato per il 50% in forma di cloruro
di potassio e per il 50% in forma di potassio fosfato
senza superare 0.5 mEq/kg/h .
• Porre attenzione alla risalita della sodiemia che se non adeguata espone al rischio
di edema cerebrale.
• Iniziare l’infusione di insulina non prima di 90-120 min dall’inizio dell’idratazione,
utilizzando sempre insulina umana regolare, in infusione con pompa siringa e mai
in bolo. Il dosaggio raccomandato è quello di 0,1-0,05 U/kg/h a seconda dell’età
ma dosaggi inferiori di 0.05-0.025 U/kg/h sono sicuri ed efficaci.
• Non usare il bicarbonato tranne che in casi molto gravi, sentito il parere del
rianimatore.
La diagnosi di DKA è immediata, dato il forte odore di aceto dell'alito. Tuttavia un esame dell'urine (anche su stick rapido) è in grado di accertare la presenza della malattia e di valutare la concetrazione dei corpi chetonici e del glucosio. È necessario eseguire l'ECG per valutare la funzionalità cardiaca, spesso compromessa, e analisi approfondite quali azotemia e creatininemia per valutare la funzionalità renale. La chetosi nel bambino, manifesta grazie all'odore di aceto dell'alito o di mele renette, è solitamente accompagnata da febbre; benché questi segni sono sufficienti per un esame obiettivo, l'uso di strisce reattive ai corpi chetonici nell'urine, possono essere utilizzate per la diagnosi certa. In questi casi anche una bevanda zuccherata gradita al bimbo, compresa la cocacola può servire all'uso terapeutico.
Si tratta di una condizione presente nel paziente con diabete di tipo 2, che non era stato fin qui diagnosticato, o di un diabete trascurato, in paziente anziani che hanno attuato da tempo una terapia solamente con antidiabetici orali, essendo il pancreas ormai in fase di esaurimento funzionale della beta-cellula. La presenza, tuttavia, di piccole quantità di insulina endogena fa sì che non si arrivi al quadro conclamato della chetoacidosi. Questo quadro clinico, ad ogni modo, è sempre grave, poiché si caratterizza per grave disidratazione del soggetto e grave iperglicemia, anche maggiore di 600 mg/dl, che può superare anche 1.000 mg/dl, con ipernatremia che spesso aumenta oltre 150 mEq/l, contro i valoridi 140 della norma. Tale condizione può scatenarsi se il paziente fa terapie cortisoniche, in caso di sepsi con febbre, nella stagione estiva perché il paziente anziano suda ed ha un riflesso della sete torpido, oppure perché ha avuto un ictus, oppure perché non riesce a bere da solo, essendo allettato o istituzionalizzato, ed è una condizione più frequente di quanto si creda! In media il deficit di liquidi in questi casi è di 10 litri e più, per cui reinfondendo liquidi sotto forma di soluzioni fisiologiche, si ripristina e si espande il volume intravascolare ed i liquidi extracellulari dell’interstizio e migliora il circolo e riprende una valida diuresi che consente di smaltire il glucosio in eccesso anche con le urine. Si può perfino iniziare con soluzioni di cloruro di sodio iposmolari, allo 0,45%.
Si tratta qui di una condizione un tempo frequente con l’utilizzo dei primi farmaci ipoglicemizzanti orali del tipo delle vecchie biguanidi (fenformina), vietati negli USA . in caso di compromissione renale ( ricordiamoci che anche l’innocua metformina è controindicate nel paziente con insufficienza renale), nello scompenso di cuore, nel paziente alcolista, nelle sepsi con shock tossico, si possono avere quadri di questo tipo. La sintomatologia si caratterizza per nausea, vomito, tachipnea, stupor fino al coma con valori di laboratorio di lattacidemia > di 7 mmol/litro. Prognosi gravissima con mortalità > dell’80%.
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