I traumi della mano

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Il traumatismo della mano

I momenti della pianificazione del trattamento si riassumono in:

• esame clinico; anamnestico e strumentale;
• bilancio lesionale e preparazione della parte lesionata;
• esplorazione chirurgica e trattamento delle lesioni.
 

Esame clinico della mano traumatizzata

L'esame clinico di una mano lesionata può risultare complesso a causa delle condizioni generali del paziente, per altri traumi associati e per le condizioni dei tessuti.

Si devono individuare:

• le principali lesioni vascolari, che portano a devascolarizzazione dei tessuti;
• le lesioni tendinee, sia flessone che estensorie;
• le lesioni nervose, con danno sensitivo e motorio (spesso difficile da valutare a causa del dolore) ;
• il danno osseo e del sistema muscolo-tendineo.
 

 In base alle condizioni di urgenza o di emergenza dovremo considerare quali valutazioni ed esami eseguire.

Nei traumi di maggiore entità che possono accompagnarsi ad importanti perdite ematiche è prioritaria la stabilizzazione del paziente secondo i criteri del life support e, nel caso di politrauma, la successione degli interventi va concordata in equipe secondo le necessità atte a garantire la sopravvivenza del paziente. In condizioni stabilizzate sarà poi fondamentale la raccolta di un'anamnesi quanto più dettagliata possibile sia del paziente (età, comorbidità, allergie, attività lavorative ed esigenze funzionali, mano dominante) sia riguardo alle modalità del trauma.

Nel caso di sospetto di fratture ossee l'esecuzione di radiografie in più proiezioni servirà per accertarne la sede e l'entità o eventuali lussazioni; esame obiettivo con valutazione della vascolarizzazione, dell'apparato tegumentario e della sua vitalità, di parti amputate o sub amputate, valutazione delle ferite (semplici e lineari o complesse e lacero-contuse), delle perdite di sostanza, coinvolgimento del letto ungueale.

Se il paziente è collaborante valutare le sue capacità di flesso-estensione, gli eventuali deficit motori o sensitivi; in assenza di collaborazione l'esame può comunque evidenziare, a seconda della posizione assunta dalla mano e dalle dita in fase neutra, eventuali fratture, lussazioni o lesioni tendinee che si associano a segni patognomonici quali ecchimosi, edema, flogosi. Qualora ve ne sia la possibilità ed il tempo, soprattutto nei casi di maggior dubbio, ci si può avvalere di esami strumentali considerati di II livello in grado di chiarire maggiormente l'entità di eventuali danni quali RMN, ecografia, ecodoppler e in alcuni casi l'elettromiografia (poco utile in urgenza).

Esplorazione chirurgica

 Questa è la fase intra-operatoria che permette di valutare de visu e nel dettaglio l'entità reale del danno e, se necessario, variare il programma operatorio inizialmente deciso. Preliminare a questa fase è il momento dell'anestesia che potrà essere locale o loco-regionale o venire concordata con l'anestesista sulla base di multipli fattori quali entità del danno, durata presunta dell'intervento, età e condizioni generali del paziente variando dalla più semplice a diffusione locale perilesionale, tronculare, plessica (di maggior impiego e continua anche nel post-operatorio a fini antalgici e vasodilatatori), sino alla sedazione (utile nei casi pediatrici) o anestesia generale.

La mano traumatica, risulta spesso danneggiata in contesti caratterizzati da elevata contaminazione esogena, e, pertanto, prima della disinfezione operatoria, andrà preparata in modo adeguato mediante una detersione con soluzioni iodofore, antisettici e soluzione fisiologica, diminuendo la carica batterica che potrebbe inficiare in modo importante il risultato terapeutico. Non di meno il post operatorio dovrà avvalersi di una buona copertura antibiotica e nei casi più gravi anche dell'ausilio offerto dall'ossigenoterapia iperbarica. Imprescindibile dev'essere l'accertamento o il rinnovo della copertura antitetanica.

La fase di riparo delle lesioni prevede un preciso schema di priorità, che vede nell'ordine:

• stabilizzazione dello scheletro;
• riparazioni muscolo tendinee e nervose che verranno effettuate in urgenza (riparazione in un solo tempo operatorio) o differite a seconda della natura della lesione;
•rivascolarizzazione/ reimpianto;
• trattamento - ricostruzione del rivestimento cutaneo e strutture annesse (apici digitali), sia in urgenza che in fasi successive.
 

Stabilizzazione dello scheletro

L'osteosintesi è la prima tappa di trattamento di una mano lesionata e verrà eseguita con modalità differenti a seconda del tipo e della localizzazione della frattura valutata sia attraverso i radiogrammi che con 1' esplorazione chirurgica. I segmenti ossei lesionati possono situarsi in uno o in più livelli contemporaneamente. Le fratture possono essere poi distinte in semplici (fratture composte, minimi distacchi ossei) in cui il trattamento è spesso incruento (immobilizzazione mediante gesso o splint) o complesse (fratture scomposte, pluriframmentarie, intra articolari) ove la corretta guarigione è legata alle manovre di riduzione (apposizione delle parti ossee in modo quanto più simile alla loro naturale posizione) e stabilizzazione con mezzi di sintesi scelti a seconda della tipologia di frattura. L'osteosintesi può essere effettuata mediante:

• fili di Kirschner (maggiormente impiegati per via percutanea);
• cerchiaggio con fili (fratture scomposte e molto instabili);
• placche e/o viti (in particolare per le fratture metacarpali o comminute);
• fissatori esterni. Necessario è sempre il controllo radiologico intra operatorio ai fini di accertare la corretta stabilizzazione della frattura prima di procedere al trattamento delle altre eventuali lesioni.


A seconda del distretto anatomico si rammenta che:

• a livello del carpo la frattura più frequente è quella dello scafoide che potrà essere trattata in modo conservativo con splint o gesso (fratture del corpo, non scomposte) o mediante vite (scomposte, fratture del polo prossimale) ove, se non adeguatamente trattata, il rischio è quello di una necrosi ischemica o pseudoartrosi, che necessiterà in un secondo tempo di interventi più complessi quali gli innesti ossei o sostituzione protesica; a livello metacarpale: a seguito di una frattura scomposta 1' azione dei tendini flessori e dei muscoli interossei sostiene una flessione palmare del frammento osseo distale.

•Il secondo e terzo metacarpo hanno la tendenza alla pronazione, il quarto e quinto alla supinazione (rotazione radiale). Il primo metacarpo si scompone in alto ed indietro per l'azione del tendine abduttore lungo del pollice (frattura di Bennet). Il trattamento più comune sarà mediante placche e viti, ma possono essere impiegati anche fili, laddove la frattura appaia meno frammentata o fissatori esterni (laddove vi siano plurimi frammenti);

•a livello delle falangi: si possono distinguere:

1) fratture diafisarie di FI ove per l'azione degli interossei il frammento prossimale si flette e il distale si mette in estensione, sotto l'azione delle bandelette laterali dell'apparato estensore, realizzando un recurvatum a concavità dorsale della prima falange;

2) fratture diafisarie di F2 quando la linea di frattura prossimale è in rapporto all'inserzione del tendine flessore superficiale, il frammento prossimale è attirato in estensione dalla bandeletta media dell'estensore realizzando una angolazione a concavità palmare. Il trattamento più comune è mediante fili di Kirschner, ma a seconda delle lesioni si possono impiegare anche viti e placche e fissatori disegnati per le falangi. I frammenti ossei comminuti e non utilizzabili vanno rimossi onde evitare processi necrotici ed infettivi, le articolazioni gravemente compromesse avranno giovamento dall'esecuzione di artrodesi (fissazione definitiva delle articolazioni) in posizione funzionale: 60° gradi di flessione per l'interfalangea prossimale e 30° gradi per la distale .

 Laddove la lesione ossea sia irrecuperabile per estrema frammentazione o perdita di segmenti, assieme a grave danneggiamento dei tessuti molli, è consigliabile la rimozione dei tessuti non vitali che, laddove presenti altre dita lesionate con maggiori possibilità di recupero, potranno essere impiegati a fini ricostruttivi (dito banca).

Riparazione lesioni tendinee.

 

Precedono solitamente le riparazioni neurovascolari, in quanto il movimento di tensione e di esecuzione delle suture tendinee potrebbero avere ripercussioni sulle suture microchirurgiche, inficiandone il risultato. Possono altresì presentarsi isolatamente in assenza di altri deficit.

Nell'esame clinico dobbiamo distinguere tra lesioni di tendini flessori e quelle degli estensori. Ulteriore classificazione distingue la natura del danno (taglio, avulsione, contusione) e si deve necessariamente valutare anche l'integrità delle strutture connesse alla biomeccanica tendinea (guaine, pulegge, legamenti). La difficoltà della chirurgia delle lesioni tendinee sta nei delicati processi di guarigione del tendine stesso (via intrinseca ed estrinseca) ove un eccesso di cicatrizzazione può condurre ad un deficit di scorrimento e parimenti un suo deficit alla rottura meccanica.

I tendini flessori delle dita fanno parte del sistema muscoloscheletrico estrinseco.

L'anatomia topografica distingue 5 zone ove la zona 2 (definita storicamente come "no man's land") comincia a livello della piega palmare distale e finisce nella parte media e rappresenta una zona dove il riparo tendineo può andare incontro a notevoli difficoltà funzionali.

Il riparo primario è, ove possibile, sempre preferibile al secondario e consta di tecniche di suture particolari studiate per avere la massima resistenza dei monconi o per riancorare il tendine quando avulso dalla sua inserzione ossea (pull-out transossei o mini-ancore). Quando i monconi non siano suturabili si opterà per una ricostruzione in due tempi con impiego di innesti tendinei. Le pulegge A2 ed A4, fondamentali alla funzionalità tendinea andranno preservate o ricostruite ove necessario. Le lesioni dei tendini estensori sono caratterizzate da un più agevole reperimento dei monconi in quanto minore la forza di rettazione dell'apparato estensorio, ma nondimeno si devono scordare le lesioni associate di questo apparato, come le bandelette laterali alla IFP, che possono esitare anche a distanza in deformità quali il collo di cigno o 1' en boutonniere. In ogni caso la chirurgia tendinea dovrà essere seguita da una attenta ed intensa attività fisiokinesiterapica ai fini di ottenere la migliore mobilità possibile. Possono rendersi necessari, nei casi più complessi, anche interventi di revisione e tenolisi da affidare poi ad un intenso programma riabilitativo.

Rivascolarizzazione.

 Nei traumi che provochino lesioni dell'apporto ematico tali da compromettere la vitalità di patti singole (dita) o amplie (mano) si renderà necessario, qualora sussistano le indicazioni necessarie, procedere al ripristino della vascolarizzazione (rivascolarizzazione mediante anastomosi arteriosa) o alla ricostituzione anatomica stessa di una parte completamente avulsa (reimpianto mediante anastomosi arteriose e venose). La chirurgia dei vasi implica il ricorso alla microchirurgia ovvero l'utilizzo di tecniche e di uno strumentario dedicato, assieme a mezzi ottici di ingrandimento, necessari ad operare strutture di calibro molto piccolo (1-3 mm). Data la complessità del gesto chirurgico e l'imprevedibilità dell'esito si dovrà valutare attentamente le reali indicazioni all'esecuzione di procedure microvascolari. La letteratura ha negli anni fornito varie interpretazioni delle medesime che possiamo brevemente riassumere per quanto concerne le più impiegate:

• indicazioni legate alla lesione: migliore prognosi nel taglio netto, peggiore negli strappamenti, gravi schiacciamenti, lesioni multiple;
• indicazioni legate alla sede: pollice ed età pediatrica (lesioni assolute), distalmente all'inserzione del flessore superficiale (zona I);
• indicazioni legate al paziente: età giovane, lavoratore, professioni (musicista), motivazione.
 

Sono fattori da tenete sempre in considerazione nella raccolta anamnestica il tabagismo, che è fattore negativo, ed il tempo di ischemia (l'ischemia calda non deve superare le 8 ore per un dito, per questo le parti amputate vanno correttamente conservate vicine e senza contatto diretto a fonti di raffreddamento). Per segmenti di maggiori dimensioni come una mano o un arto va sempre considerato l'importante edema post reimpianto che può necessitare di incisioni di scarico al fine di evitare sindromi compartimentali. Lo scopo finale di ogni procedura di rivascolarizzazione-reimpianto è salvare la parte amputata e ripristinare funzionalità e sensibilità, i cui deficit misurano la reale entità del successo della procedura chirurgica al di là della semplice sopravvivenza dei tessuti. Le lesioni vascolari si accompagnano spesso a lesioni nervose le quali vanno trattate contestualmente all'asse vascolare mediante ricorso alla microchirurgia, per garantire la migliore ripresa sensitiva e funzionale possibile. In caso di interruzione della continuità del nervo, le fibre subiscono sempre dei cambiamenti strutturali precoci. Sia a valle che a monte della lesione si assiste all'instaurarsi di un processo di degenerazione progressiva e variabile a seconda dell'entità del danno sino a fasi di recupero irreversibile. I migliori risultati funzionali sono ottenibili mediante riparazione nervosa eseguita contestualmente alla lesione o entro un tempo di differibilità di 72 ore. Non devono essere sottovalutati tutti i fattori capaci di influire negativamente sulla velocità e qualità della rigenerazione nervosa quali l'età del paziente, il livello della lesione (quanto più prossimale tanto è maggiore il percorso che la rigenerazione nervosa deve affrontare), il tipo di nervo interessato. La riparazione può essere eseguita ricorrendo a varie metodiche, in particolare :

 • sutura diretta dei monconi nei casi di taglio netto senza perdita di sostanza nervosa e retrazione della fibra;
• utilizzo di innesti nervosi quando la distanza fra i due capi non permetta l'affrontamento diretto o questo sia in eccessiva tensione. Si utilizzano nervi sensitivi di secondaria importanza minimizzando il danno funzionale per il paziente. Alternative sono i condotti sintetici, il muscolo in vena e l'allograft;
• transfert di un nervo sano quando la funzione motoria o sensitiva che si vuole restituire ne giustifichi il sacrificio.  

La copertura delle strutture nobili quali vasi, nervi, tendini deve essere sempre garantita dal mantello cutaneo il quale può risultare variamente danneggiato a seguito di un trauma. Il corretto approccio terapeutico deve valutare l'entità delle ferite e le condizioni dei tegumenti in relazione ad ecchimosi, lacerazioni, contusioni e contaminazione dei tessuti molli. E' necessaria sempre un'adeguata detersione e disinfezione dei tessuti molli, rimuovendo per quanto più possibile i corpi estranei ed i tessuti devitalizzati (debridment). I tessuti che presentino una dubbia vitalità andranno risparmiati per ottenere quantomeno una copertura temporanea delle strutture nobili, per essere poi rimossi in un secondo tempo.
Le ferite semplici potranno essere riparate mediante suture, mentre le perdite di sostanza, dovute direttamente al trauma o all'asportazione delle parti non vitali, andranno coperte mediante innesti o lembi o, dove possibile, mediante sostituti dermici che potranno essere successivamente sostituiti da innesti. In alcuni casi selezionati l'impiegato di dispositivi a pressione negativa può favorire o coadiuvare le fasi di guarigione. In alcuni casi l'importante contaminazione dei tessuti o l'importante edema successivo al trauma costringono ad una chiusura ritardata delle ferite al fine di favorire i processi di detersione dei tessuti e di risoluzione del quadro edemigeno.

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