Trapianto cardiaco, l'intervento

  1. Gastroepato
  2. Cardiologia
  3. Trapianto di cuore
  4. Trapianto cuore ed intervento
  5. Rischio cardiometabolico
  6. Il diabete 1 e rischio_cardiometabolico
  7. Prevenzione del rischio cardiovascolare
  8. Cardiovascolare, calcolo del rischio
  9. rischio cardiovascolare, la cura con le statine ed i fibrati
  10. Colesterolo trigliceridi
  11. Le carte del rischio cardiovascolare
  12. la placca ateromasica e la stenosi delle coronarie

Il trapianto di cuore rappresenta la terapia chirurgica di scelta per pazienti che non abbiano superato la settima decade di vita, affetti da scompenso congestizio cronico, refrattario alla terapia medica e con spettanza di vita inferiore a sei mesi. Grazie ai mutati stili di vita ed al conseguente incremento della aspettativa media, la prevalenza e l'incidenza dell'insufficienza cardiaca sono progressivamente aumentate nel corso delle ultime tre decadi fino a raggiungere un valore di 1% e 0,15% rispettivamente nei paesi industrializzati. Tra questi casi, il 10% circa, pari a 300.000 persone negli Stati Uniti e a 60.000 nel Regno Unito risultano in condizioni cliniche terminali e  rientrano nel novero dei potenziali candidati alla sostituzione d'organo. Alla luce dei continui miglioramenti ottenuti in termini di controllo del rigetto acuto, delle infezioni e delle altre complicanze a lungo termine il trapianto a pieno titolo rappresenta oggi l'obiettivo terapeutico primario per questa popolazione di pazienti.

Epidemiologia

Il numero dei trapianti di cuore eseguiti nel tempo ha avuto un andamento trifasico. A seguito del primo intervento eseguito da Christian Barnard a Cape Town nel 1967, si verificò una rapida successione di casi, certamente sulla spinta della emulazione: nel solo periodo compreso tra Gennaio 1968 e marzo del 1971 furono eseguiti 170 trapianti in 65 diversi programmi. Tuttavia, la rudimentalità degli strumenti di immunosoppressione non consentiva una accettabile durata del successo, che rimaneva limitato quasi esclusivamente all'immediato postoperatorio. La sopravvivenza ad un anno non superava il limite del 15%. Da ciò ebbe origine un progressivo calo dell'entusiasmo, che condusse nel corso degli anni settanta ad un netto decremento del numero delle procedure, quasi esclusivamente confinate nel centro pioniere di Standford che mantenne sempre attivo un programma di trapianto di cuore. Qui vennero stabiliti i criteri di idoneità del donatore e di selezione del ricevente, fu introdotta la biopsia endomiocardica mediante impiego del bioptomo di Sholten e si classificarono i quadri anatomici di rigetto acuto nei vari sottotipi (classificazionel SHLT). Nel 1980, la introduzione della Ciclosporina A nel trattamento antirigetto rivoluzionò i risultati a lungo termine ed il conseguente miglioramento della sopravvivenza a distanza ripropose il valore del trapianto il cui volume rapidamente si espanse distribuito su di un numero crescente di Centri, raggiungendo un totale di 65.000 casi eseguiti in 200 diversi ospedali nel mondo. Attualmente vengono eseguiti nel mondo circa 4500 trapianti all'anno, dei quali 2.000 negli Stati Uniti, 600 nel Regno Unito e 350 in Italia, con risultati in progressivo miglioramento che hanno visto un aumento della sopravvivenza a 60 mesi dal 74,4% del periodo 1980-1986, all'85,6% del 1996-1999. Negli Stati Uniti la sopravvivenza/ paziente/anno è pari ad 85,6%, nel Regno Unito ad 82% ed in Italia 85%. Nell'ultimo decennio, però, si è andata delineando una situazione del tutto nuova. Da un lato, infatti, il miglioramento della sopravvivenza dei pazienti in attesa, dovuta in larga misura alla rinnovata efficacia di nuovi farmaci anti scompenso, insieme con l'allargamento dei criteri di inclusione a sottopopolazioni prima escluse, ha generato un aumento considerevole del numero dei potenziali candidati. D'altro canto, la disponibilità di potenziali donatori, inizialmente rappresentati in predominante misura da giovani vittime di traumi della strada, non è consensualmente aumentato, anzi si è fortemente contratto, grazie all'adozione di severe norme antinfortunistiche. Nonostante il radicale ampliamento dei criteri di accettazione dei donatori, inteso a colmare questa carenza, esiste oggi una seria discrepanza tra il numero dei candidati e quello dei pazienti effettivamente trapiantati.

Eziologia

Le malattie cardiache congenite o acquisite che trovano soluzione nel trapianto sono molteplici. Nel primo caso, si tratta di eccezionali situazioni malformative congenite, estremamente complesse, non suscettibili di accettabile correzione chirurgica, o che, dopo un trattamento chirurgico palliativo, hanno sviluppato una alterazione funzionale irreversibile, quale ad esempio il caso situazioni nelle quali il ventricolo destro è stato adattato ad una funzione sistemica senza successo. Le cardiopatie acquisite invece si qualificano in base alla presenza o meno di coronaropatia. Si tratta infatti in ogni caso di patologie del miocardio, caratterizzate dalla perdita grave ed irreversibile della funzione diastolica (miocardiopatie restrittive) o, assai più spesso, della funzione sistolica (miocardiopatie dilatative). Tra queste ultime sono incluse quelle che rappresentano la variante più comune, quelle causate da una insufficienza coronaria grave e di lunga durata (miocardiopatie ischemiche). Esiste poi un ristretto novero di pazienti con anomalie valvolari primitive, in genere già sottoposti ad intervento chirurgico, con severo scadimento della funzione contrattile ventricolare. Al momento attuale le patologie più frequenti sono la miocardiopatia ischemica (46% dei casi), la miocardiopatia dilatativa primitiva (45%), le cardiopatie congenite (3,6%). La miocardiopatie dilatative primitiva riconosce un pronunciato andamento familiare, ha una presentazione tendenzialmente giovanile ed è caratterizzata da una marcata dilatazione delle cavità cardiache senza un consensualmente proporzionato incremento nello spessore ventricolare sinistro. È verosimile che in questa diagnosi in passato siano state incluse alcune forme in realtà secondarie a causa identificabile, quale la malattia ipertensiva, il parto o una miocardite acuta, in genere ad eziologia virale. Questi particolari sottotipi possono beneficiare dei più moderni presidi terapeutici di ordine medico ed avviarsi quindi ad un netto miglioramento clinico, contribuendo così a creare qualche equivoco sulla possibilità di regressioni spontanee nella m. primitiva. La miocardiopatia restrittiva, invece, è caratterizzata da una severa disfunzione diastolica, aumento delle pressioni di riempimento e marcatissimo ingrandimento bi-atriale I segni clinici sono legati principalmente alla congestione venosa sistemica e polmonare.

La miocardiopatia ipertrofica è caratterizzata da un grado estremo di ipertrofia ventricolare sinistra e talora destra, con funzione sistolica conservata e presenza o meno di ostruzione all'efflusso ventricolare sinistro. Se la ipertrofia è distribuita in modo asimmetrico, con prevalenza a carico del setto, essa è per lo più resecabile e può essere quindi trattata chirurgicamente in modo conservativo. Invece, in caso di ipertrofia concentrica grave la indicazione al trapianto viene posta in pazienti sintomatici con fattori di rischio associati o in caso di rapida evolutività verso situazioni di adiastolia. La miocardiopatia ischemica, legata alla presenza dei noti fattori di rischio (fumo, diabete, ipertensione, dislipidemie), è il prodotto finale di una lenta progressiva e grave perdita di tessuto contrattile conseguente a necrosi ischemica, subdola o conclamata in chiari, ripetuti episodi di infarto del miocardio. Essa è caratterizzata da un quadro clinico di scompenso assai spesso complicato da aritmie ventricolari maligne. Questi pazienti portano con sé anche attraverso tutta la loro avventura di trapianto il peso dei fattori di rischio cardiovascolare che graveranno sul decorso clinico sia pre- sia post-operatorio con molteplici complicanze.

Indicazioni al trapianto di cuore

L'indicazione conclusiva al trapianto di cuore emerge dall'attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio. La discrepanza tra il numero dei candidati e quello dei donatori disponibili, che si traduce in una relativa carenza di organi utilizzabili, ha indotto diverse Istituzioni ad identificare la classe di pazienti che potrebbero trarre il maggiore beneficio.  Sulla base di uno studio retrospettivo compiuto dalla "Cardiac Transplant Research Database" (C.R.T.D.) imperniato su 7000 pazienti provenienti da 42 Centri nord americani per un totale di 24.000 anni di "follow up", si è constatato come la presenza o meno di fattori di comorbidità condizioni in maniera statisticamente significativa i risultati a lungo termine. Il suggerimento scaturito è quello di indirizzare all'intervento i pazienti in condizioni più favorevoli, avviando i rimanenti verso programmi di assistenza
meccanica a lungo termine

Stratificazione del rischio

 Pazienti a basso rischio:

-Età del ricevente < 65 anni basso rischio
-Età del donatore < 40 anni
-Tempo di ischemia < 240 minuti
- Assenza di fattori di comorbidità
 

Pazienti ad alto rischio

- Diagnosi di fattori di comorbidità alto rischio
- Paziente con supporto ventilatorio meccanico al momento del trapianto
- Anamnesi positiva per abuso di sostanze psicotrope
- Età del donatore > 55 anni
-Tempo di ischemia < 360 minuti
Fattori di Diabete insulino dipendente comorbidità
-Malattia vascolare periferica
-Malattia polmonare cronica Indicazione da patologia congenita
-Pregresso tabagismo «Mismatch» antropometrico importante (es.: donatrice di basso peso in ricevente maschio di peso elevato) l'intervento i pazienti in condizioni più favorevoli, avviando i rimanenti verso programmi di assistenza meccanica a lungo termine.

Controindicazioni al trapianto di cuore

 Le controindicazioni al trapianto di cuore sono al pari oggetto di continue revisioni ed aggiornamento.

In linea di massima esse sono:

Valutazione PRE trapianto di cuore
Valutazione generale
Anamnesi ed esame obiettivo
Profilo ematochimico
Valutazione ematologia
Quadro metabolico
Esame urine con determinazione micro albuminuria
nei pazienti diabetici
Esame emo gas analitico
Scan ventilazione-perfusione
Ricerca sangue occulto nelle feci
Mammografia, PAP test
Prostate specific antibody
Valutazione mediante ECO
Addome di fegato, cistifellea, pancreas, reni
Eco tronchi sovra aortici e arterie periferiche
Valutazione odontoiatrica
Valutazione psichiatrica
Valutazione cardiologica
Elettro cardiogramma
Radiografia del torace
Studio ECO radiografico
Determinazione del consumo di 02
Cateterismo cardiaco destro con valutazione emodinamica
completa a riposo e dopo eventuale somministrazione
di farmaci vaso dilatatori polmonari
Cateterismo cardiaco sinistro e coronarografia
Biopsia endomiocardica
Scintigrafia miocardia
Monitoraggio Holter 24 ore
Valutazione immunologica
Determinazione del gruppo sanguigno
Panel reactive antibodies
Tipizzazione Human leukocyte antigene
Valutazione infettivologica
Sierologia
Epatite A.B.C., herpes Virus, human immuno deficiency
virus, cytomegalo virus, toxoplasma, varicella, rosolia,
Epstein Barr virus, «venerai disease laboratory»,
«Lyme titers», istoplasmosi, e coccidiomicosi
Tampone orale
Urina coltura
Coprocoltura
«Purified proteine derivative skin test»

Tecniche chirurgiche

Tecnica Di Shumway.

È questa la tecnica chirurgica originale, introdotta da Lower e Shumway nel 1960 e collaudata con successo sul cane e poi applicata all'uomo da C.Barnard nel 1967. Essa si fonda sulla preservazione di una cuffia bi-atriale inglobante gli sbocchi delle vene cave e delle vene polmonari, cui viene suturato il massiccio bi-ventricolare del donatore attraverso una limitata striscia di tessuto atriale. La preparazione del cuore del donatore viene effettuata resecando l'atrio sinistro con lo sbocco delle vene polmonari al fine di predisporre la creazione di un unico cercine circolare di tessuto striale. L'atrio destro a sua volta è inciso secondo una linea che origina dall'orifizio della vena cava inferiore per estendersi fino all'appendice auricolare. La cardiectomia sul ricevente prevede un'atriotomia destra che inizia lateralmente alla base dell'appendice auricolare e prosegue caudalmente con andamento parallelo al solco atrio-ventricolare fino alla base del setto interatriale e cranialmente verso il tetto dell'atrio sinistro dove viene completata la sezione del setto in prossimità della giunzione atrioventricolare. Questa tecnica è di semplice realizzazione, richiede un tempo relativamente breve nel confezionamento delle anastomosi ed utilizza tessuti di buona consistenza. La conservazione di gran parte degli atri del ricevente comporta però una distorsione della configurazione geometrica degli atri stessi, in particolar modo per l'atrio destro. A causa del movimento asincrono delle due cavità si verificano alterazioni del flusso ematico con conseguente possibile formazione di trombi e comparsa di insufficienza delle valvole atrio-ventricolari. Inoltre, l'interruzione del tessuto di conduzione ed il possibile trauma chirurgico sul Nodo Seno-Atriale sono spesso responsabili della comparsa di disturbi della conduzione atrio ventricolare.

Trapianto Cardiaco Ortotopico Totale

Per ridurre l'incidenza delle indesiderabili conseguenze sopra descritte della tecnica di Shumway, Dreyfus nel 1991 proponeva il Trapianto di Cuore Totale. Questa tecnica consiste nella resezione completa dell'atrio destro del ricevente sezionando la cava superiore prossimamente alla giunzione seno striale e la cava inferiore al suo ingresso nell'atrio. L'atrio sinistro viene pure completamente rimosso, lasciando in situ due cuffie di tessuto atriale limitate agli osti delle vene polmonari. L'impianto del cuore nel donatore prevede come fase iniziale le suture posteriori di queste due cuffie, quindi le anastomosi termino-terminali della vena cava inferiore, poi delle grandi arterie ed infine, a cuore battente, della vena cava superiore. Il principale ostacolo ad una diffusa accettazione di questa tecnica è rappresentato dalla problematicità, a fine intervento, di controllare un eventuale sanguinamento proveniente dalle suture sulle cuffie atriali sinistre ed inoltre dal non trascurabile l'allungamento del tempo di ischemia fredda.

Tecnica Della "Anastomosi Bicavale". Sarsam nel 1993 proponeva un'ulteriore modifica tecnica, consistente nella completa escissione dell'atrio destro del ricevente, lasciando "in situ" il moncone delle vene cave superiore ed inferiore, unitamente alla conservazione di una sola cuffia atriale sinistra inglobante lo sbocco delle quattro vene polmonari, così raggiungendo di fatto sostanzialmente gli stessi obiettivi attesi dalla tecnica di Dreyfuss, in quanto sia la componente atriale destra che la sinistra risultano così conservate. La mancata o ridotta rotazione in senso antiorario del "graft" evita o quanto meno riduce in maniera significativa l'insufficienza delle valvole atrio ventricolari. La preservazione, poi, della continuità del tessuto di conduzione previene la comparsa di aritmie da alterata conduzione intra-atriale o atrio-ventricolare. Questa tecnica rappresenta, nell'esperienza di chi scrive, l'approccio da preferire e riconosce in sintesi i seguenti tempi:

• Nel donatore il cuore viene preparato accedendo attraverso una sternotomia mediana, e pericardiotomia a T rovesciato. Si isola la vena cava superiore (VCS) fino alla confluenza nella vena anonima, separandola poi posteriormente dall'arteria polmonare destra. La vena cava inferiore viene liberata fino al livello della riflessione pericardica. Anche le grandi arterie sono separate ed isolate il più distalmente possibile, compatibilmente con le necessità imposte da un eventuale contemporaneo trapianto di polmone, rispettivamente fino all'origine dei vasi epiaortici ed alla biforcazione polmonare. L'aorta è poi occlusa ed il cuore arrestato mediante la  infusione di una soluzione cardioplegica fredda. Contemporaneamente il cuore viene decompresso tramite incisione ampia della vena polmonare superiore destra e della vena cava inferiore (VCI). La procedura prosegue con la sezione dell'aorta a livello dell'origine dell'arteria anonima e dell'arteria polmonare alla biforcazione. Infine, la VCS è divisa subito sopra la confluenza della vena azygos, e la VCI a livello della riflessione pericardica. Nel ricevente, eseguita la sternotomia mediana, si cannulano l'aorta ascendente e le vene cave separatamente mediante apposite cannule angolate. Si instaura una circolazione extracorporea totale in ipotermia moderata (28 C°). In caso reintervento, può essere utile utilizzare la arteria femorale per la cannulazione arteriosa. Dopo aver clampato l'aorta, si esegue la cardiectomia, iniziando dalla sezione della vena cava superiore alla giunzione atrio cavale, quindi dei grandi vasi un centimetro al di sopra del piano valvolare, ed infine della VCL Attorno all'orifizio della VCI, viene lasciato una breve striscia di tessuto atriale per facilitare l'esecuzione della sutura. Viene, quindi, preparata e lasciata "in situ" una cuffia atriale sinistra con lo sbocco delle quattro vene polmonari. L'impianto del "graft" inizia quindi dal collegamento delle cuffie atriali sinistre, seguito dall'anastomosi termino terminale della VCI, dell'arteria polmonare e dell'aorta.

Impianto eterotopico.

 Le procedure fin qui descritte ottengono tutte lo stesso risultato finale, cioè la rimozione dell'organo malato e la sua sostituzione del tutto rispettosa di anatomia e funzione originale. Christian Barnard ideò tuttavia anche un ingegnoso sistema di impianto del cuore donato "in parallelo" a quello nativo, con lo scopo di aiutarne la funzione. Si tratta dell'impianto eterotopico per il quale esistono sostanzialmente due indicazioni, vale a dire: a) l'ipertensione polmonare severa (Pressione Sistolica Polmonare superiore a 60 mm Hg., pressione capillare polmonare eccedente i 20 mm Hg., esistenze vascolari polmonari superiori a 6-8 Wood Units non modificabili con somminstrazione di farmaci vasodilatatori polmonari) in quanto causa di sovraccarico di pressione non gestibile da un ventricolo destro non "allenato" ad un simile regime pressorio; b) la disponibilità di organi provenienti da donatori di basso peso in riceventi di dimensioni corporee o nettamente superiori e quindi incompatibili in quanto incapaci di farsi carico in modo esclusivo della portata cardiaca richiesta Controindicazioni al trapianto eterotopico sono, invece, la presenza di protesi valvolari nel ricevente (per il rischio di endocardite), la discrepanza inversa tra le dimensioni del donatore e del ricevente (esempio: donatore di sesso maschile in ricevente femmina di basso peso), la insufficienza valvolare aortica, la trombosi endoventricolare sinistra. Il prelievo dell'organo si diversifica rispetto al trapianto ortotopico, in quanto l'aorta toracica viene prelevata in toto fino all'arco, comprendendo i vasi epiaortici. Gli orifizi delle vene polmonari di destra sono obliterati, così come lo sbocco della vena cava inferiore, avendo cura di preservare l'integrità anatomica del seno coronarico. La vena polmonare superiore ed inferiore sinistra sono invece congiunte da un'incisione prolungata fino alla base della auricola sinistra. Infine, la vena cava superiore è prelevata "in toto" fino alla confluenza della vena anonima sinistra. Nella preparazione del ricevente, al fine di accogliere il cuore del donatore, lo spazio pleurico destro è ampiamente aperto, il pericardio viene inciso longitudinalmente due centimetri al davanti del nervo frenico. Durante l'intervento, che viene eseguito come d'abitudine in arresto cardioplegico, la protezione di entrambi i ventricoli è fondamentale, visto il loro ruolo determinate nel periodo post trapianto. L'intervento inizia con un ampia incisione verticale dell'atrio sinistro lungo il solco interatriale, seguita dal collegamento delle due cavità striali di sinistra del donatore e del ricevente il collegamento del ritorno venoso sistemico che si ottiene anastomizzando in modo termino-laterale le due cave superiori. Infine, anche la aorta del donatore viene collegata in modo termino-laterale alla faccia antero-laterale destra della aorta nativa. A cuore battente, l'arteria polmonare del donatore viene connessa mediante interposizione di un condotto prostetico all'arteria polmonare del ricevente, o, in alternativa, all'atrio destro del ricevente, con ciò evitando l'impiego di una protesi, espone al rischio di infezioni del condotto e quello di confrontare il ventricolo destro con un regime pressorio cui non è adattato e che potrebbe non essere in grado di sostenere. In realtà numerose osservazioni testimoniano la rapida diminuzione postoperatoria della pressione arteriosa polmonare, il che rende possibile al ventricolo destro del donatore di sostenere l'intera circolazione destra, contribuendo in modo più significativo a supportare la attività del cuore nativo. Terapia immunosoppressiva. Peculiarità specifica della chirurgia dei trapianti è rappresentata dalla terapia immunosoppressiva la quale, per le caratteristiche di assoluta indispensabilità di ripresa immediata ed affidabile della funzione cardiaca che non riconosce surrogati temporanei o trattamenti sostitutivi, deve essere iniziata precocemente, addirittura intraoperatoriamente. Essa è basata sulla somministrazione di una dose di Metilprednisolone (500 mg) alla riperfusione del cuore trapiantato, seguita da tre dosi di 125 m. ogni 8 h per 24 h. Ad essa viene associato un trattamento linfolitico con globuline antitimocitiche di coniglio, protratto per tre-cinque giorni. La terapia di mantenimento è imperniata sulla assunzione della cosiddetta "triplice terapia", vale a dire Ciclosporina A, azatioprina e Prednisone. A partire dalla seconda metà degli anni novanta, acquisita l'evidenza di una migliore azione protettiva nei confronti del rigetto cronico e di una ridotta incidenza delle neoplasie insorte "de novo" dopo trapianto, l'uso dell'AZA è stato soppiantato dal Micofenolato Mofetyl. In caso di rigetto acuti di grado severo (III A o superiore) il trattamento consiste nella somministrazione di boli ripetuti di Metilprednisolone.

Eventi post operatori immediati

 Le complicanze post operatorie immediate condizionano il risultato a lungo termine. Anche se nel 30-50% dei casi l'organo trapiantato soffre qualche forma di danno instauratosi prima o durante il prelievo (trauma diretto o indiretto, tempesta neurovegetativa conseguente la morte cerebrale, uso inappropriato ed eccessivo di catecolamine, manovre chirurgiche errate durante il prelievo, danno da ischemia-riperfusione) la disfunzione acuta del grafi si verifica in una percentuale inferiore al 2% dei casi. La valutazione funzionale del cuore trapiantato inizia in sala operatoria mediante uno studio ecocardiografico, trans-esofageo, con particolare attenzione alla verifica della funzione sistolica. Nel corso delle successive 96 ore la pressione atriale destra è monitorizzata in continuo al fine di evidenziare segni di disfunzione del cuore destro. In presenza di segni clinici di bassa portata diviene indispensabile un monitoraggio diretto dei parametri emodinamici attraverso il posizionamento di un catetere di Swan Oanz. Il trattamento abituale di gradi lievi o moderati di disfunzione sistolica ventricolare sinistra consiste nella somministrazione di farmaci inotropi. Gradi superiori o persistenti richiedono il ricorso alla contropulsazione intra- aortica ed i casi estremi all'impianto di un sistema di assistenza ventricolare. La disfunzione diastolica sinistra (elevazione delle pressioni atriali Dx e Sx con funzione sistolica conservata) è secondaria al danno da ischemia-riperfusione e costituisce un fenomeno transitorio che risponde di regola alla somministrazione di farmaci inodilatatori. Complicanza più frequente e spesso difficile da trattare, però, è rappresentata dalla disfunzione ventricolare destra. La comune condizione emodinamica pretrapianto di un elevato regime pressorio in arteria polmonare viene mal tollerata dal ventricolo destro del donatore, la cui parete normalmente sottile e spongiosa fatica ad adeguare la sua erogazione di energia contrattile in modo compatibile con un elevato afterload fino a che non si verifichi l'atteso calo delle resistenze vascolari polmonari che richiede ali'incirca due settimane per tornare nei limiti fisiologici. Di osservazione assai frequente sono anche i disturbi del ritmo, principalmente rappresentati da alterazioni della conduzione atrio ventricolare e dalle aritmie ipercinetiche atriali e ventricolari. Nel 25-50% dei pazienti si osservano disfunzioni del nodo del seno o della conduzione intraatriale verosimilmente dovute ad un prolungato tempo di ischemia. Esse comprendono un ritardato recupero del ritmo sinusale, ed anomalie della conduzione atrioventricolare fino al blocco atrio ventricolare completo. La terapia si basa sull'uso di stimolazione elettrica temporanea e talora di farmaci cronotropi positivi. Eccezionalmente la aritmia permane, e rende necessaria la stimolazione definitiva. L'introduzione della tecnica bicavale ha però ridotto dal 10% al 2% la necessità di questo presidio. Le aritmie ipercinetiche sopraventricolari si osservano nel 25% dei pazienti. Possono essere sintomo clinico di rigetto acuto, ma con specificità molto bassa. La instabilità elettrica ventricolare consegue al danno ischemia-riperfusione e si manifesta con varie tipologie di eventi che vanno dai battiti prematuri (65% dei pazienti), alla tachicardia ventricolare non sostenuta (47%) al ritmo idioventricolare (12%). Non hanno significato clinico di sospetto di rigetto.

Rigetto acuto

Il rigetto acuto non è che la fisiologica, inevitabile risposta del sistema immunitario all'organo trapiantato, per definizione "estraneo", ameno che non provenga da un gemello omozigote. A seguito della esposizione alle cellule T degli antigeni del donatore da parte delle "antigen presenting cell", le cellule T si attivano e proliferano. Contemporaneamente, le molecole adesive dell'endotelio vascolare vengono attivate ed inducono i linfociti circolanti ad aderire all'endotelio medesimo per poi filtrare nell'interstizio. Inoltre, la produzione ed il rilascio delle citochine ad opera dei linfociti T determina l'attivazione delle cellule immunitarie e dei macrofagi. Il risultato finale è l'aggressione del tessuto estraneo e il conseguente danno miocitario. E evidente che scopo della terapia immunosoppressiva è quello di intervenire sulla "quantità" di questa risposta, ai fini di minimizzare quanto più possibile questo danno, in sé ineliminabile in modo completo e quindi di necessità costantemente misurato. La diagnosi e la quantificazione di rigetto acuto viene posta grazie alla biopsia endomiocardica eseguita con bioptomo di Caves, il quale, introdotto per via transvenosa nel ventricolo destro consente il prelievo di minuscoli frammenti di miocardio dal setto interventricolare, dai quali si può ottenere la evidenza di quadri istologici confrontabili con quelli classificati dal ISHLT. Nel corso del 2004 è stata effettuata ad opera della "International Society of Heart Lung Transplantation" una revisione della classificazione sulla base delle nuove conoscenze rese disponibili in tema di rigetto acuto anticorpo-mediato. Infezioni Le infezioni sono una delle più minacciose complicazioni e cause di morte dopo trapianto di cuore. Circa il 40% dei pazienti soffrono uno o più episodi infettivi neì'corso del primo anno, con un caratteristico meccanismo di crescita opportunistica favorita dalla immunosoppressione. L'eziologia più frequente (50%) è batterica, quindi virale (40%), fungina (5%) ed infine protozoaria ( < 5%). I risultati di uno studio retrospettivo multicentrico indicano come i più comuni siti di infezione nei primi 18 mesi siano i polmoni (28%), quindi il sangue (26%), il tratto gastrointestinale (17%), l'apparato uro-genitale (12%), la cute (8%) ed infine le ferite chirurgiche (8%). Nel primo mese, in rapporto con lo stato di ospedalizzazione l'eziologia è quasi esclusivamente batterica. Dopo la dimissione, a partire dal secondo mese, le infezioni virali, soprattutto da CMV o da altri virus afferenti al gruppo HSV, rappresentano la causa principale. Infine, le infezioni fungine e protozoarie raggiungono il loro acme rispettivamente al primo ed al quinto mese.

Malattia vascolare del Graft

Tra gli eventi tardivi emerge la "malattia vascolare cronica ostruttiva del graft" (MVOC) che costituisce la principale causa di morte dopo il primo anno dall'intervento. Essa è una vasculite occlusiva delle piccole arterie coronarie, clinicamente silente almeno nelle fasi non avanzate, per lo più espressa in fase tardiva da segni di disfunzione contrattile del ventricolo sinistro di natura ischemica, caratterizzata angiograficamente da lesioni diffuse e localizzate prevalentemente nei rami coronarici terminali. E' la conseguenza di una risposta immunitaria di natura cellulare al danno endoteliale, seguito dalla risposta riparativa indotte dalle cellule infiammatorie. I linfociti T, i macrofagi ed i neutrofili migrano negli spazi sub-endoteliali interagendo con una varietà di "adhesion molecules" delle cellule endoteliali, venendone così attivati. Dall'attivazione dei linfociti T prende l'avvio la produzione di citochine e di potenti fattori di crescita stimolanti la proliferazione delle cellule muscolari lisce, causa ultima dell'ostruzione del lume arterioso. Cofattori importanti nello scatenare la lesione arteriosa sono sicuramente i comuni fattori di cardiovascolare e le infezioni da CMV. L'aspetto macroscopico del miocardio è generalmente caratterizzato da una profonda ipertrofia con una variabile estensione di aree di necrosi. In sezione trasversale le arterie epicardiche appaiono marcatamente ridotte di lume e con parete ispessita e rigida in modo. Il coinvolgimento di arterie di piccolo calibro si riscontra più frequentemente nei sopravvissuti a lungo termine Infatti, i vasi con un diametro inferiore a 40um senza un strato muscolare parietale organizzato sono generalmente relativamente risparmiati dalla malattia. Le arteriole con una muscolatura della tonaca media tra 50 e l00 μm sono coinvolti in modo variabile e quelle più larghe tra 100 e 150 μm sono precocemente affette. L'osservazione istologica evidenzia una tonaca intima della coronaria ispessita dalla proliferazione delle cellule muscolari lisce con frequente presenza di macrofagi e o linfociti In rapporto all'aspetto della tonaca intima è stato possibile classificare il rigetto cronico in quattro classi:

1 ) Arterie con lieve ispessimento della tonaca intima; questo processo ha inizio già entro sei mesi dal trapianto.
2) Ispessimento fibroso dell'intima limitato alle porzioni prossimali e medie delle arterie, imputabile a fenomeni proliferativi nel contesto dell'intima stessa e dalla moltiplicazione delle cellule miointimali e dalla presenza nello spazio extracellulare di depositi di fibrina frammisti a rari globuli rossi probabilmente migrati attraverso le lesioni endoteliali.
3) Placche ateromasiche fibrose delle regioni prossimali e medie, presenti soltanto nelle artene epicardiche dopo 1 anno. Queste sono composte da uno strato di tessuto fibroso frammisto a depositi lipidici (foam cells). Queste placche determinano stenosi concentriche entro i primi 5 anni post-intervento.
4) Ispessimento fibroso diffuso dell'intima con o senza placche ateromatose: tale quadro anatomo-patologico interessa in larga parte i rami subepicardici di grande e piccolo calibro ma soprattutto i rami intramiocardici.
La progressiva proliferazione intimale determina il restringimento progressivo fino all'occlusione completa dei rami terminali. Più diretto valore diagnostico e rilevanza clinica compete ad una classificazione basata sull'aspetto angiografico. La diagnosi di rigetto cronico viene eseguita mediante coronarografia. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni sono stati considerati anche metodi non invasivi, quali la scintigrafia miocardica e la risonanza magnetica nucleare che potrebbero rendere più flessibile il percorso diagnostico. La malattia vascolare del "graft" trova ovviamente il suo principale meccanismo di intervento nella prevenzione e nella diagnosi precoce. Una volta instaurata, essa è trattabile solo con il ritrapianto, procedura peraltro gravata da morbilità pesante e che suscita problemi di non facile soluzione anche in tema di allocazione dei limitati organi disponibili. Neoplasie "de novo" Le neoplasie possono insorgere dopo trapianto di cuore in conseguenza di riattivazione di neoplasie preesistenti, per trasmissione dal donatore o "de novo". Un accurato screening mediante tomografia assiale computerizzata nella fase di valutazione sia nel candidato potenziale, sia nel donatore ha consentito di eliminare quasi del tutto le prime due cause. I tumori insorti "de novo", invece, rappresentano la principale complicanza della assunzione cronica della terapia immunosoppressiva. Diversamente dalla popolazione generale, però, l'incidenza è tre-quattro volte maggiore nei pazienti sottoposti a trapianto. Sono particolarmente frequente i tumori cutanei, le malattie linfoproliferative ed i tumori del polmone. Statisticamente si nota come sia i tumori cutanei che le malattie linfoproliferative abbiano una comparsa relativamente precoce (12-18 mesi jost trapianto), a differenza dei processi neoformativi localizzati in altre sedi che emergono invece in tempi considerevolmente più lunghi.

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