Pazienti nella fase che precede il trapianto di fegato ortoptico (OLT)

appunti del dott. Claudio Italiano

L'insufficienza parenchimale epatica di grado severo è una delle principali indicazioni al trapianto ortotopico di fegato (OLT). L'infezione da HCV coinvolge oltre 170 milioni di persone nel mondo;  si tratta di un virus ad RNA, lontano parente dei flavivirus, ossia i virus della febbre gialla; a catena singola con un solo reading frame, provvisto di un capside, di dimensioni 50-60 nm, contiene 3011 aminoacidi e 9033 nucleotidi; presenta un core, un involucro E, e domini non strutturali NS, ed antigene poliproteici codificate , c22, c33, c100. Il virus HCV presenta vari genotipi, che non connotano infezioni di diverso significato clinico o prognosi diversa, ma la cui distribuzione ha importanti implicazioni terapeutiche, in quanto alcuni genotipi sono più sensibili all'Interferone, IFN. Con il test LIPA, è possibile distinguere 6 principali sottotipi: 1, 1a, 1b, 1a/1b, 2, 2a/2c, 3, 4, 5a, 6a.nell'Europa occi­dentale la sua prevalenza è stimata in circa 9 milioni di individui infetti. Nella storia naturale dell'infezione da HCV circa il 4% dei soggetti infetti manifesta una evo­luzione verso una severa insufficienza parenchimale epatica e/o un epatocarcinoma (HCC).

 

Ne consegue che circa 360 mila soggetti sono potenziali pazienti per un trapianto di fegato. Inoltre, nei prossimi 10 anni, per un effetto coorte di una infezione contratta oltre 30 anni fa, si stima che il numero di pazienti con cirrosi epatica ed insufficienza epatica severa si incrementerà del 50%. Tale effetto determinerà di conseguenza un aumento della domanda di OLT a fronte di un non uguale incremento di offerta di organi da trapiantare.

Problematiche connesse con la ripresa di infezione nel post-trapianto.

Ad oggi, la ricorrenza dell'infezione da HCV nel fegato trapiantato avviene nella quasi totalità dei pazienti. Studi di cinetica virale nel post-OLT mostrano che già nella seconda settimana si assiste ad una rapida cresci­ta della replica virale (HCV-RNA) con un picco intorno al quarto mese. I livelli di HCV-RNA ad un anno dal trapianto sono 10-20 volte superiori rispetto i valori della viremia pre-OLT. Degno di nota, per il potenziale risvolto terapeutico, il dato che il livello viremico a 4 mesi dal trapianto è un buon predittore della severità della ricorrenza epatitica istologicamente documentata.La storia naturale dell'infezione da HCV nel soggetto trapiantato si differenzia dalla storia naturale dell'infezione nel paziente immunocompetente per la rapidità di alcuni aspetti evolutivi.Ad un anno dal trapianto una ricorrenza epatitica (RH-C), istologicamente documentata (epatite acuta, lobulare o cronica cfr epatite cronica), si osserva in oltre il 70% dei fegati reinfettati. A 5 anni dal trapianto, l'evoluzione dalla RH-C alla cirrosi si osserva nel 20-44% dei casi. Di contro, nel paziente immunocompetente, la progressione da ECA a cirrosi è più lenta, si osserva nel 20% dei casi e in un periodo di tempo fra i 20 e 30 anni. Nei pazienti trapiantati, ad un anno dalla diagnosi di cir­rosi, il 40% dei pazienti presenta manifestazioni di scompenso della malattia. L'instaurarsi dello scompenso determina una netta riduzione dì sopravvivenza: 25% a 24 mesi. Nel paziente immunocompetente con cirrosi, a 5 anni dalla diagnosi, le manifestazioni di scompenso si osservano nel 15% dei casi. In un 5-10% dei pazienti con RH-C si osserva una forma colestatica particolarmente severa e rapidamente evolutiva verso la cirrosi e l'insufficienza epatica. Tale forma di ricorrenza epatitica si osserva usualmen­te entro i primi mesi dal trapianto. Ad oggi non sono noti né la patogenesi né eventuali fattori di rischio.

Terapia

Due le strategie terapeutiche:

• trattamento antivirale profilattico con l'obiettivo di prevenire la reinfezione dell'organo trapiantato o trat­tamento per ridurre o ritardare l'incidenza e la progressione della recidiva epatitica. Tali tratta­menti vengono iniziati nel pre o peri-OLT ed eventualmente proseguiti nel post-OLT

• trattamento antivirale della ricorrenza epatitica istologicamente documentata.

I criteri per il trattamento prevedono lo studio dei livelli viremici a 4 mesi dal trapianto, il tipo di immusosoppressione (es. la durata del trattamento steroideo o con azatioprina, il trattamento con micofenolato), il genotipo virale e l'età del donatore sono ritenuti i fattori predittivi più affidabili nel predire la severità della ricorrenza epatitica. Questi aspetti andrebbero valutati nella analisi e nel disegno delle strategie terapeutiche volte a ridurre la progressione della recidiva epatitica.

Trattamento profilattico della reinfezione con anticorpi anti-HCV

Dati sperimentali sugli scimpanzè suggeriscono che il trattamento profilattico con anticorpi anti-HCV può avere un ruolo nella prevenzione della ricorrenza virale. Uno studio francese ha mostrato, in maniera indi­retta, l'efficacia della immunizzazione passiva con immunoglobuline anti-epatite B (HBIG) in 218 trapiantati con epatite B e concomitante infezione da HCV. La percentuale di reinfezione da HCV nei soggetti che avevano ricevuto il trapianto e una preparazione di immunoglobulìne antecedente agli anni '90 (prima dell'introduzione dello screening per l'HCV) era significativamente inferiore rispetto a quella osservata nei pazienti trapiantati dopo gli anni '90 e trattati con HBIG sottoposte a screening per HCV ed alla incidenza di reinfezione C riscontrata nel sottogruppo di pazienti che non avevano ricevuto immunoglobuline. Ad oggi, sono in corso studi clinici con differenti preparazioni anticorpali e schedule di trattamento. Un pic­colo studio canadese non ha trovato differenze nella ricorrenza dell'infezione da HCV fra pazienti trattati con HCIG e controlli.

Trattamento profilattico con Interferone alfa ± Ribavirina dei pazienti in lista per OLT

Studi recenti hanno mostrato come l'eradicazione del virus (negatività di HCV-RNA) nel paziente in attesa di trapianto si associ ad una minore probabilità di reinfe­zione nel post-OLT. Forns e coli hanno valutato l'efficacia e la sicurezza del trattamento con interferone alfa-2b (3MUI/die) e ribavirina (800 mg/die) in 30 pazienti. Thomas e coli della Layola University di Chicago hanno valutato l'efficacia e la sicurezza del trattamento con interferone alfa-2b (5MUI/die) in 30 pazienti. Il 26% dei pazienti sottoposti a screening è stato escluso per piastrinopenia. Tutti i pazienti richiesero un trattamento con il fattore di crescita leucocitario (G-CSF 300 mg/settimana) per mantenere la conta leucocitaria > di 1500 leucociti/mmc. Crippin e coli, in uno studio collaborativo di 5 centri americani, hanno arruolato 15 pazienti (50% dei pazienti sottoposti a screening) al trattamento con basse dosi di interferone con o senza ribavirina. Tutti i pazienti presentavano una insufficienza epatica avanzata (score di Child-Pugh 11,9 ± 1,2). Il 33% dei pazien­ti ha ottenuto una clearance virale durante il tratta­mento. Due pazienti sono stati trapiantati ma hanno sviluppato una infezione severa che ha indotto gli autori a sospendere lo studio. Un quarto studio su soggetti in lista trapianto è di Everson e coli su 102 pazienti con Child-Pugh score di 7,1 ± 2 trattati inizialmente con basse dosi di interferone alfa-2b (1,5 MU/ tre volte la settimana) e ribavirina (600 mg/die). Se tollerata la dose dei farmaci veni­va aumentata ogni 2 settimane. Il 40% dei pazienti ha ottenuto una risposta virologica alla fine del trattamento (79% nel genotipo non-1) mentre una risposta virologica sostenuta si è osservata nel 22% dei casi (50% genotipo non-1). 32 pazienti sono andati al trapianto, nei 10 pazienti che avevano negativizzato l'HCV-RNA pre-OLT non si è osservata reinfezione.

I messaggi che emergono da questi 4 studi sul tratta­mento profilattico dei pazienti in lista per trapianto sono:
• i pazienti che al trapianto mostrano una negativizzazione di HCV-RNA dopo trattamento con interferone ± ribavirina presentano una netta riduzione dell'inci­denza di reinfezione nel post-OLT. In particolare, come prevedibile, la percentuale di successo è maggiore in soggetti infettati con genotipo non-1
•  il trattamento antivirale è proponibile in pazienti selezionati. In particolare in pazienti in classe funzionale A o B di Child-Pugh. Tuttavia, oltre il 50% dei pazien­ti valutati per tale trattamento presenta delle con­troindicazioni
•  il trattamento antivirale richiede un stretto monitoraggio  clinico  del   paziente.  La  maggior  parte  dei pazienti trattati può richiedere una riduzione di dosag­gio che, a sua volta, può condizionare la clearance virale. I fattori di crescita come l'eritropoietina ed il G-CSF possono avere un ruolo nel mantenimento delle dosi terapeutiche o nel mantenere i pazienti in trattamento. Tuttavia ad oggi non vi sono studi ad hoc che dimo­strino un loro beneficio in termini di risposta al trattamento
• non è noto quale schedula di trattamento sia più efficace in termini di risposta virologica e di sicurezza.
In conclusione, ad oggi, l'evidenza del possibile beneficio del trattamento antivirale in pazienti in lista andrebbe validata in studi multicentrici controllati. Tuttavia è riconosciuto, in base alla qualità dei dati attualmente disponibili in letteratura, che una popolazione selezionata di pazienti con cirrosi epatica scom­pensata candidati al trapianto di fegato possono avvantaggiarsi del trattamento antivirale.

Trattamento profilattico con Interferone + Ribavirina nelle prime settimane del post-OLT

(terapia pre-emptive). obiettivo del trattamento antivirale nelle prime settimane del post-OLT è quello di ridurre o ritardare la ricorrenza epatitica o ridurre la severità clinica della progressione della malattia. Il razionale si base sul dato che nei pazienti immunocompetenti con bassa carica virale, come si osserva nei primi giorni del post-OLT il trattamento ha una maggiore probabilità di ottenere una clearance virale. Inoltre, sempre nel paziente immunocompetente è noto che il trattamento precoce con interferone alfa di una epatite acuta si associa ad una elevata percentuale di eradicazione virale (> 85%). Anche in assenza di eradicazione virale, possibili bene­fici di una precoce terapia possono esplicarsi sulla riduzione della severità clinica della recidiva epatitica. Tuttavia la fattibilità di una terapia antivirale pre-emptive nelle prime settimane del post-OLT è fortemente condizionata dalla instabilità clinica del paziente spesso correlata al tempo di permanenza in terapia intensiva e/o semi-intensiva. Più promettenti i dati pubblicati in abstract sul Peg-interferone alfa-2a per 48 settimane. In questo studio si è osservata una clearance virale, a 24 settimane di trattamen­to, nel 22% dei casi.

 

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