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Diagnosi per la sifilide

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I sistemi che vengono impiegati per la diagnosi della sifilide sono rappresentati da:

-metodi diretti

-metodi indiretti

I primi consistono nella ricerca diretta del batterio con varie metodiche, come appresso meglio specificato, mentre i metodi indiretti sono rappresentati dalla ricerca degli anticorpi che l'organismo produce nell'intento di difendersi dall'infezione.  

Ricordiamoci che la diffusione della sifilide non è una realtà attuale, dal momento che la prostituzione in atto imperversa come nuova piaga sociale, e ci riferiamo a prostitute che provengono dai paesi del terzo mondo, costrette a rapporti senza protezione, per cui il fenomeno è in continua evoluzione e di grande attualità.

Metodiche dirette

A partire dalla scoperta da parte di Schaudinn e Hoffmann nel 1905 di T. pallidum come agente eziologico della lue, le metodiche diagnostiche per questa infezione si sono costantemente evolute, se pur con alcuni limiti, dovuti alla sua difficile propagazione (non è coltivabile in vitro,ma è possibile mantenerlo in vita solo tramite passaggi nei testicoli del coniglio). Gli esami microbiologici possibili sono l'individuazione diretta del patogeno e le indagini sierologiche (metodiche indirette).

Il metodo diretto più utilizzato per mettere in evidenza i treponemi nei materiali biologici è l'indagine al microscopio a campo oscuro, data la velocità dell'esecuzione e il costo ridotto. Per formulare la diagnosi occorre repertare le spirochete, di morfologia e motilità tipica, nelle lesioni della sifilide di recente acquisizione o congenita. L'esame in campo oscuro risulta spesso positivo nella sifilide primaria, o nelle lesioni mucose umide della sifilide secondaria e congenita.

Talvolta risulta positivo anche utilizzando l'agoaspirato dei linfonodi, nella sifilide secondaria. Una positività al test microscopico è indice certo di infezione; la sensibilità di questo metodo però, anche nei centri di riferimento, non va oltre il 70-80%, a causa della rapida perdita di motilità dei treponemi dovuta alla loro scarsa resistenza all'aria e/o all'esposizione a sostanze applicate sulla lesione (disinfettanti o pomate) e del possibile mascheramento dei treponemi da parte di detriti cellulari o emazie. Per effettuare I'esame in campo oscuro, la superficie delle lesioni ulcerative sospette deve essere pulita con soluzione salina con garza, senza provocare sanguinamento.

La presenza di globuli rossi nel campione rende difficile visualizzare il T. pallidum quando le spirochete sono in numero scarso. La spremitura delle lesioni (indossando i guanti) può servire ad ottenere liquido siero, che viene posto su un vetrino, coperto con un copri oggetti ed esaminato al microscopio in campo oscuro. I T. pallidum viventi mostrano movimenti lenti di va e vieni, movimenti rotatori attorno all'asse longitudinale e improvvisi piegamenti di 90 gradi vicino al centro del microrganismo. Dato che la maggior parte dei medici non possiede I'equipaggiamento adatto né la necessaria familiarità con le tecniche di microscopia in campo oscuro, è possibile richiedere I'assistenza degli specialisti del servizio sanitario nazionale. La presenza di T. pallidum può essere dimostrata anche in prelievi bioptici o in campioni patologici, con tecniche di immunofluorescenza o di impregnazione argentica. Inoltre, la carica minima che si riesce ad identificare con questa metodica è di circa 105 batteri /ml.

Il test che riesce ad identificare il minor numero di batteri possibile è il RIT (Rabbit Infectivity Test), test di non utilizzo pratico,  che prevede l'inoculo nel coniglio del materiale proveniente dalle lesioni sospette. Tale metodica raggiunge un livello massimo di sensibilità (100% di sensibilità con solo 25 batteri inoculati), ma richiede tempi molto lunghi per la risposta e costi elevati. Infatti, il coniglio viene inoculato con il materiale in cui si sospetta la presenza dei batteri e viene monitorato, tramite esami sierologici, settimanalmente per un tempo massimo di 90 giorni. Il test di PCR richiede una presenza minima variabile dai 10 ai 50 batteri, a seconda del materiale in cui vengono ricercati e a seconda del target genico che si vuole amplificare. E' una metodica quindi sensibile, con costi però elevati e deve venire affidata esclusivamente a laboratori abituati ad eseguire esami diagnostici su DNA, al fine di evitare false positività. La diagnosi microbiologica di sifilide, alla luce delle considerazioni sopra riportate, si basa principalmente sull'utilizzo di test sierologici. Questi si dividono in due categorie: test non treponemici e test treponemici. Per una diagnosi corretta, si consiglia di associare entrambe i tipi di indagini, al fine di arrivare alla definizione di un quadro completo del paziente.

I test non treponemici

Test sierologici

Gli anticorpi anti-cardiolipina furono scoperti nel 1907 da Wassermann, il quale impiegò come antigene per un test di fissazione del complemento estratti di fegati con sifilide congenita. Successivamente, si scoprì che sia il fegato normale, sia molti altri tessuti, contenevano gli stessi antigeni; I'antigene impiegato in questo test è ora estratto dal cuore di bue. La reazione di Wassermann è stata ora sostituita da altri test correlati. Il test standard in uso attualmente per evidenziare gli anticorpi anti-cardiolipina è la VDRL (Venereal Disease Resear Laboratories), un test di flocculazione su vetrino, che si può facilmente rendere quantitativo.

Nello screening della sifilide si utilizzano spesso molti test analoghi, compreso l'RPR (Rapid Plasma Reagin) e l'USR (Unheated Serum Reagin). La VDRL falso-positiva "acuta" (di durata < 6 mesi) si verifica con bassa frequenza nella polmonite atipica, nella malaria e infezioni batteriche o virali, e può manifestarsi dopo vaccinazioni contro il vaiolo o altre vaccinazioni. La VDRL falso-positi cronica (di durata > 6 mesi) è relativamente frequente nei disordini immunitari, come il lupus eritematoso sistemico (LES), nella tiroidite, nei tossicodipendenti, nell'infezione da HIV, nella lebbra e nelle persone anziane. Si tratta di test poco costosi e di rapida esecuzione, utilizzabili sia come screening che nel follow-up della terapia, in quanto dopo il trattamento (generalmente generalmente entro 6 mesi, ma questo tempo è variabile anche a seconda dello stadio della lue e alla contemporanea presenza di infezione da virus HIV) si ha una negativizzazione del siero del paziente o comunque una diminuzione del titolo. I limiti dei test non treponemici sono una sensibilità non elevata (70% circa) nella sifilide primaria precoce, nella sifilide latente e nella sifilide congenita tardiva, ed una mancanza di specificità in presenza di particolari condizioni quali: infezioni virali (epatiti, mononucleosi), patologie neoplastiche, malattie autoimmuni (lupus eritematoso), gravidanza, età avanzata. I risultati dei test non treponemici devono essere dunque sempre confermati da un test treponemico.

La VDRL comincia a diventare positiva l-2 settimane dopo comparsa del sifiloma. In studi effettuati su un gran numero di pazienti con sifilide primaria, circa i due terzi presentava VDRL positiva. Ovviamente, però, una VDRL negativa non esclude la sifilide primaria, specialmente se la lesione è comparsa da meno di due settimane. La VDRL è positiva nel 99% dei soggetti con sifilide secondaria; I'unica eccezione è costituita dai soggetti con titoli anticorpali così elevati da risultare in eccesso di anticorpi; la diluizione del siero comporta paradossalmente la conversione del test da negativo a positivo. Nei pazienti con infezione da HIV concomitante, le risposte sierologiche alla sifilide possono essere alterate.

Pertanto nei laboratori si sta abbandonando l'utilizzo di VDRL ed RPR come test di screening, preferendo mantenere queste indagini per il monitoraggio dei pazienti. I test treponemici più utilizzati sono: TPHA (Treponema Pallidum Hemagglutination Assay); EIA; WB (Western Blot); FTA-ABS (Fluorescence Treponemal Antibody Absorption Test).  Sono test sensibili, specifici, utilizzabili come screening, per l'elevata possibilità di automazione (EIA), o conferma. La positività a questi test si mantiene per molti anni (anche per tutta la vita): non sono in grado dunque di indicare l'efficacia del trattamento terapeutico, né una possibile re-infezione. Si assiste negli ultimi anni ad un continuo miglioramento delle metodiche sopra citate, grazie anche all'uso di antigeni ricombinanti e alla standardizzazione dei principi interpretativi del WB9-11. Recentemente è stata sviluppata una metodica innovativa in chemiluminescenza (CLIA): si tratta di un metodo completamente automatizzato in cui un antigene ricombinante di T. pallidum coniugato con isoluminolo viene fatto aderire a particelle magnetiche: durante l'incubazione gli anticorpi anti T. pallidum si legano alle particelle e, dopo l'aggiunta di un reattivo per indurre la reazione chemiluminescente e cicli di lavaggio, il segnale luminoso ottenuto viene analizzato da un fotoluminometro.

La metodica CLIA, in uno studio retrospettivo ha dimostrato una specificità del 99% e in uno studio prospettico una sensibilità del 98%. Un discorso a parte merita la trattazione del significato diagnostico della risposta anticorpale di classe M (IgM) in corso di infezione luetica. Normalmente, nelle infezioni batteriche e virali, durante la fase acuta, si mette in evidenza nel siero dei pazienti una risposta primaria IgM e, solo in un secondo tempo, si trovano anticorpi di classe G (IgG). In corso di sifilide, invece, già nella fase primaria, sono evidenziabili IgG e queste superano di gran lunga la quantità di IgM circolanti. Pertanto, una diagnostica mirata alla ricerca di IgM è di rilevante importanza principalmente nel caso di sifilide congenita. Come è noto, infatti, gli anticorpi di classe M non sono in grado di attraversare la placenta, e un neonato infetto in utero è in grado di produrre IgM a partire dal terzo mese di gestazione: un risultato positivo per la ricerca specifica di IgM è dunque indice di infezione congenita.

I risultati migliori per un'indagine sierologica degli anticorpi di classe M si possono ottenere con la metodica di WB, che è da preferirsi pertanto all'immunofluorescenza FTA-ABS. E' stata apportata una modifica all'FTA-ABS, impiegando lgM anti-immunoglobuline umane marcate con fluorescina (FTA-ABS IgM).

L' FTA-ABS IgM  è di qualche utilità nella diagnosi della sifilide congenita precoce;  L'FTA-ABS è utilizzato essenzialmente come test di conferma. E' alquanto più difficile da realizzare rispetto alla VDRL e non può essere facilmente quantizzato. E' sensibile ed altamente specifico, risultando positivo solo in circa l' 1% degli individui normali. è positivo néll'85% dei casi di sifilide primaria, nel 99% dei casi di sifilide secondaria e almeno nel 95% dei pazienti con sifilide terziaria.

L'FTA-ABS reattivo è generalmente indicativo di sifilide terziaria  o pregressa. Tuttavia, si verifica un'aumentata incidenza di FTA-ABS falsamente positivi nel LES ed in altre affezioni infiammatorie croniche associate ad iperglobulinemia, quali artrite reumatoide, la cirrosi biliare ed altre. FTA-ABS IgM per la sifilide congenita.  Le madri con FTA-ABS positivi partoriscono bambini con VDRL o FTA-ABS positivi, a causa del trasporto passivo degli anticorpi IgG reattivi a questi test. Dato che molti bambini con sifilide congenita sono clinicamente normali alla nascita, ma sviluppano una grave malattia sintomatica alcune settimane dopo, è importante stabilire se un neonato con VDRL o FTA-ABS positivi ha trasportato passivamente anticorpi materni, oppure è attivamente infetto. Poiché gli anticorpi IgM materni non vengono trasferiti passivamente al feto, per la diagnosi di sifilide nel neonato è stato sviluppato un test FTA-ABS lgM. Occorre pertanto trattare adeguatamente la madre per la sifilide durante la gravidanza.Nel bambino anche se clinicamente normale alla nascita, la presenza di una reazione VDRL sempre positiva dopo il secondo mese di vita è indicativa di malattia e ciò necessita di intraprendere la terapia del caso.

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