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La famiglia e la schizofrenia

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Schizofrenia

Numerosi ricercatori ritengono che vi sia una base eredogenetica che predispone alla schizofrenia ma che non conduce ineluttabilmente ad essa.

Soggetti con eredità schizofrenica possono sfuggire alla malattia per circostanze ambientali favorevoli e, per converso, conflittualità intrapsichiche o difficoltà ambientali possono attivare alterazioni metaboliche geneticamente determinante (Tissot).

Essenziale, pertanto, è il ruolo esplicato da altri fattori nel determinismo del fenotipo schizofrenico; legittimo appare ricercare questi fattori nella famiglia e nell'ambiente socioculturale. In altre parole, su un terreno predisposto geneticamente, anche l'ambiente influisce.

La famiglia

Negli ultimi trenta anni notevole attenzione è stata dedicata allo studio dei genitori e delle famiglie dei pazienti schizofrenici nel tentativo di isolare peculiarità personologiche e comportamentali, di uno o di entrambi i genitori, e di individuare specifiche modalità interattive alle quali poter conferire un qualche ruolo nella genesi della schizofrenia. Numerose ricerche hanno documentato che il comportamento dei genitori di un soggetto schizofrenico differisce da quello dei genitori di figli non schizofrenici.

Sulla base dei suddetti rilievi si è ritenuto che in queste strutture familiari si celino situazioni disturbanti e conflittuali e si elaborino modelli cognitivi abnormi. Si è così giunti a teorizzazioni dogmatiche quale quella espressa nella frase di Lidz.

 "I disordini schizofrenici (sono) fondamentalmente una malattia da carenza ... non di una vitamina, bensì della capacità della famiglia di educare, strutturare, inculturare e socializzare il bambino nel corso del suo sviluppo". Vi è ormai accordo nel considerare con cautela simili affermazioni. In questo campo della ricerca antropologica, come sottolinea la PalazzoliSelvini, si è proceduto per "verità parziali, per isolamenti arbitrari e per contrapposizioni".

Gli studi sulla famiglia infatti inizialmente hanno solo ribaltato l'atteggiamento emotivo nei confronti del paziente schizofrenico, che è passato dall'antico "guardate questi poveri genitori afflitti da questo intollerabile schizofrenico", al successivo "guardate questo adorabile schizofrenico ... rovinato dai suoi intollerabili genitori".

Finalmente si è giunti ad una posizione più integrata, quale quella attuale, che considera il soggetto schizofrenico e la sua famiglia come "un'unità paziente e sofferente", nella quale non è lecito ricercare "né un prima né un dopo", "né colpevoli né vittime".  Le famiglie con paziente schizofrenico, inoltre, nel gioco dell'apprendimento, non permettono l'assunzione di alcuna immagine, sono come spugne assorbenti senza possibilità di veri scambi. Esse sono specchi che non riflettono, come "buchi neri" che assorbono immagini ed energia, in modo tale da impedire al bambino la possibilità di una sua immagine.

Caratteristiche dei genitori con un figlio schizofrenico "Dopo aver trascorso una o due ore con uno o ambedue i genitori del paziente, mi sono chiesto quanto a lungo sarebbe durato il mio  equilibrio mentale vivendo con queste persone, figuriamoci di essere cresciuto da loro". In questa frase Lidz esemplifica quello che l'esperienza quotidiana ci propone: i genitori di pazienti schizofrenici presentano assai spesso peculiarità cognitivo-affettive e relazionali o sono chiaramente disturbati dal punto di vista psichico. Non è agevole tuttavia stabilire se le loro distorsioni psicologiche e comportamentali siano conseguenti ai problemi determinati da un figlio con difficoltà di sviluppo affettivo e cognitivo o francamente psicotico, o ne siano invece causa.

Come si è sopra detto l'essere passati ad una visione sistemica della famiglia, ha deprivato di significato, soprattutto sul piano operativo, stabilire se i genitori o il figlio debbano avere la responsabilità primaria della distorsione del rapporto che li lega, più importante è infatti definire la struttura del loro rapporto transazionale. Nello studio dei genitori particolare attenzione è stata dedicata alla figura materna il cui ruolo primario nello sviluppo del bambino è ben noto ("madre come destino"; Schottlaender).

Premessa fondamentale per un normale succedersi delle prime fasi evolutive, che includono la formazione del rapporto duale madrebambino e il suo successivo superamento, è il senso primario della maternità, la capacità cioè della madre di mantenere la giusta distanza dal bambino. Un rapporto patologico (tra madre e figlio si instaura allorché la madre, inconsapevolmente, "abusa del bambino" per i suoi propri scopi; il bambino può così acquisire il ruolo di alleato contro il marito o di sostituto del coniuge, o di un aspetto del proprio sé. Madri di questo tipo amano il figlio solo a condizione che egli soddisfi i loro inconsci bisogni, mentre non lo percepiscono, né lo riconoscono come essere autonomo con bisogni propri. Kauffmann ha descritto le relazioni "incestuose" tra madri e figli schizofrenici, relazioni che non consentono ai figli di "avere uno spazio in cui collocare i loro fantasmi", e "di elaborare nel profondo della loro mente i loro desideri", condannandoli ad essere "privati del loro destino" (Carta e Infante).

Madre schizofrenogena

Il riscontro di queste modalità interattive in un'alta percentuale di madri di pazienti schizofrenici ha portato alla definizione del concetto di "madre perversa" (Rosen) o di "madre schizofrenogena" (FrommReichmann). Il termine di "madre schizofrenogena" (fredda, dominante, che esercita un controllo continuo), divenuto popolare non ha ricevuto prove attendibili a supporto ed è attualmente abbandonato. Sulla base degli studi metodologicamente più corretti si può sostenere che le madri degli schizofrenici sono più protettive ed intrusive delle altre madri, non solo dopo che la malattia si è manifestata, ma anche prima del suo esordio. Questa intrusività ed iperprotettività non possono tuttavia essere considerati fattori etiologici della schizofrenia.
Già prima di FrommReichmann, Levy aveva focalizzato l'attenzione sulla iperprotettività materna ricondotta alle carenze affettive sofferte da questi madri durante l'infanzia e che le spingeva a "cercare di ottenere dai figli ciò che non avevano ottenuto dalle proprie madri"; impenetrabili ai bisogni dei figli, ad essi continuamente propongono la mancanza di significato della loro vita (Lidz). Questo abnorme atteggiamento materno, espresso con comportamenti dominanti o indulgenti, sarebbe responsabile di una disarmonica integrazione della personalità del figlio.
In contrasto a madri apertamente rifiutanti sono state descritte anche madri noiose, adesive, che si calano nel ruolo della martire o della malata per controllare la libertà del figlio ed impedirgli l'autonomia e l'espressione della sua aggressività.

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