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Prestazione medica in urgenza e responsabilità medica

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  4. Management del rischio clinico
  5. La gestione del rischio clinico
  6. Gestione rischio clinico

appunti del dott. Claudio Italiano

Nei casi di urgenza, fermo restando il dovere giuridico ed etico di non rifiutare e di assicurare l'assistenza necessaria, il medico gode di un'autonomia certamente maggiore in materia di facoltà di curare, rispetto a quella propria per le situazioni ordinarie. Peraltro in tali circostanze possono valere più frequentemente le cosiddette cause di giustificazione che, entro certi limiti, rendono esente la sua condotta rie eventuali censure. Basti ricordare l'art. 54 del codice penale che stabilisce la non punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare c persona assistita dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, o l'art. 51 c.p. per il quale l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Lo stesso orientamento giurisprudenziale è favorevole ad accertare la colpe professionale del medico con larghezza di vedute e comprensione per le particolari condizioni, anche ambientali, nelle quali l'esercizio della professione medica viene svolto, soprattutto quando si tratti di situazioni d'urgenza. Tale larghezza di vedute e tale maggiore comprensione trovano spiegazione nelle due opposte esigenze che sono da un lato quella di non mortificare l'iniziativa dei professionista col timore di ingiuste rappresaglie o rivendicazioni da parte de cliente in caso di insuccesso, dall'altro quella comunque di non indulgere verso imprudenti o negligenti decisioni o riprovevoli inerzie o attendismi eccessivi del professionista stesso nel caso di situazioni di urgenza-emergenza.

Ma la ricordata larghezza di vedute e la maggior comprensione di cui s'è detto non pregiudica la severità del giudizio del Magistrato su eventuali condotte erronee. Maggiori infatti dovranno essere nelle condizioni indicate il senso di responsabilità e soprattutto la prudenza, la diligenza del professionista e la perizia che gli vengono richieste. Si capisce ad esempio che un eventuale errore di valutazione della gravità clinica può comportare seri problemi per l'incolumità dell'assistito, con risvolti di responsabilità per il medico, talora inevitabili e gravi.

Dovere di prestare un soccorso adeguato

Va ribadito che il medico sia sul piano giuridico che deontologico ed etico ha il dovere categorico di intervenire prontamente e cioè di soccorrere tempestivamente la persona che si trovi in una situazione di pericolo per la propria vita o la propria salute. L'assistenza e le cure prestate devono essere in ogni caso adeguate alla condizione di urgenza e alle circostanze, anche ambientali, nella quale il soccorso viene effettuato. Prestare cure inadeguate o ritardare l'assistenza necessaria costituisce motivo di censura al verificarsi del danno, del quale quindi si dovrà rispondere a titolo di colpa professionale. Non è escluso che il ritardo o l'inadeguatezza delle cure prestate ricada, in misura diversa, sui diversi operatori addetti al sistema di assistenza in urgenza-emergenza, piuttosto che sul singolo professionista. In sede penale la responsabilità è sempre personale. In sede civile può essere stabilita la responsabilità solidale dei vari operatori intervenuti o della stessa struttura (Centrale operativa, ASL, Azienda ospedaliera). L'adeguatezza del soccorso presuppone in primo luogo che si sia capaci di formulare una corretta diagnosi e ciò anche al fine di valutare la necessità e l'urgenza di un eventuale ricovero e di specifiche competenze.

A tal proposito si deve ammettere che vi sono quadri patologici così vistosi che il non rilevarli costituisce di per se stesso segno evidente di imperizia o di negligenza professionali: ad es. una emorragia esterna, un addome acuto, un'occlusione intestinale, una condizione di shock, ecc. Non è escluso tuttavia che possano sussistere perplessità in ordine al comportamento da tenere di fronte a quadri clinici incerti o complessi o che necessitino di un intervento plurispecialistico (ad esempio: miocarditi, pericarditi o endocarditi acute, infarto, dissecazione aortica, malattie o insulti cerebro-vascolari, ecc.). In generale, lo si ripete, il medico deve saper valutare in modo corretto quando la scelta di ricoverare l'assistito si ponga in termini di mera necessità o di vera e propria urgenza. In entrambi i casi sussiste la indispensabilità del provvedimento; ma di regola solo nel secondo il ricovero si giudica improcrastinabile. In tal senso i termini di urgenza ed emergenza finiscono coll'acquistare uno stesso significato dal punto di vista clinico.
Talora l'indifferibilità del ricovero può sussistere anche nell'ipotesi di processi morbosi di per sé lievi, ma che necessitano di assistenza adeguata in ambiente idoneo, magari anche in rapporto a particolari condizioni dell'assistito con l'età avanzata, lo stato di gravidanza, ecc. Da segnalare che ove si accenda uni contenzioso in materia di responsabilità professionale, è sempre fonte di discussione e di perplessità distinguere tra casi di "urgenza differibile" e "urgenza non differibile". Rientrano nel quadro della cosiddetta "medicina difensive oltre che costituire precisi doveri giuridici, il monito di scrivere in modo esauriente l'obiettività rilevata nel singolo caso su apposita scheda o cartella, la regola di registrare la prestazione di valido consenso dell'assistito, l'avvertenza di annotare le prescrizioni impartite. Quanto sopra serve anche, specie nel caso di eventuale contenzioso in materia di responsabilità professionale, per valutare la effettiva fondatezza delle ragioni del sanitario, su cui è stata decisa una ceri condotta.

ART. 328 C.P. "Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione"

Il rifiuto da parte del medico addetto al servizio di guardia medica o dei medico di pronto soccorso di effettuare la visita medica e di porre in essere provvedimenti o l'assistenza necessaria ad una persona che versi in pericolo di vita o di danno grave alla propria salute, può integrare gli estremi del delitto in questione che prevede pene più gravi (sino a due anni ai reclusione) rispetto a quelle stabilite dall'art. 593 c.p. (Omissione di soccorso). Dunque risponderà dei danni eventualmente cagionati il medico che rifiuti di assistere una persona a causa delle sue origine etniche o per il fatto che si tratti di un immigrato o di soggetto non convenzionato o che non potrà pagare la prestazione effettuata, sebbene certamente o probabilmente idonea a scongiurare quella situazione di pericolo.

Risponde egualmente in sede penale (omissione di atti d'ufficio, lesione personale colposa, ecc.) il medico di guardia che pur essendo stato chiamato, ometta di intervenire sostenendo a sua giustificazione l'inesistenza, rivelatasi poi palesemente infondata, di una condizione d'urgenza. Non è stata invece considerata colpevole la condotta del medico che ha rifiutato di effettuare una visita domiciliare "urgente" avendo ritenuto in buona fede l'inesistenza dell'urgenza, ciò in base alla precedente conoscenza del caso e all'anamnesi raccolta per telefono (sentenza n. 2892 del 12 aprile 1986 della VI sez. Cass. Penale e sentenza n. 4168 del 19 aprile 1995 sez. VI Cass. Pen.). A tale riguardo si segnala che l'attività del medico di famiglia, a meno che non si tratti di un caso di accertata urgenza, è considerata, secondo quanto stabilisce lo stesso art. 22 comma 7 del DPR 484/1996: attività programmata. Ciò significa in definitiva che il medico di medicina generale (medico di famiglia) può legittimamente rifiutare di effettuare una visita indebitamente chiesta come urgente, se ha elementi obiettivi e certi per ritenere fondatamente inesistenti i moti-vi dell'urgenza stessa.

E' invece più difficile che tali elementi obiettivi possano essere sempre a disposizione anche del medico di guardia, che si presume abbia conoscenza solo episodica dell'assistito. In sostanza, il medico di guardia, che assume peraltro obblighi specifici proprio in relazione a condizioni di allarme, può incorrere più facilmente nei rigori dell'art. 328 c.p. nel caso di rifiuto della prestazione. Infine, sebbene la normativa vigente in materia di omissione di atti d'ufficio prevede che la fattispecie delittuosa si realizzi solo in caso di indebito rifiuto, è evidente che l'omissione della prestazione necessaria o la sua tardiva effettuazione finiscono nella pratica col considerarsi equivalenti al rifiuto. E certo che il medico sarà chiamato a rispondere del danno prodotto, qualora rifiutando o tardando ad intervenire o abbandonando l'assistito prima del termine delle cure o prima ancora di essere sostituito da personale idoneo, ne cagioni il peggioramento delle condizioni cliniche o la morte. Né rileva come causa di giustificazione dell'eventuale condotta omissiva o intempestiva la scarsa probabilità di successo della prestazione. In sede medico-legale, ai fini dell'attribuzione di eventuali responsabilità, deve essere comunque sempre dimostrata la sussistenza del nesso di causalità giuridico-materiale (artt. 40 e 41 cp) con sufficiente grado di certezza fra condotta (attiva od omissiva) e danno cagionato, oltre alla illiceità e colpevolezza della condotta stessa (art. 43 cp).

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