Un caso clinico singolare del dott. Claudio Italiano
incidenza 1 caso ogni 1.000.000 di ab CASO CLINICO Viene riportato il caso di un uomo di anni 48, non coniugato, impiegato, giunto alla ns osservazione nel giugno 2001 per una tumefazione in regione scapolare sinistra a rapida crescita, non dolente, non spostabile, di colore rosso-scuro, per la quale era stata posta diagnosi di “cisti sebacea suppurata”. Giunto alla ns osservazione, viene sottoposto a biopsia con referto di “Linfoma cutaneo a cellule T”. Il 3/08/01 una TAC spirale documenta “ampia tumefazione solida delle dimensione di 12X14X7 cm disomogenea con nel contesto areole ipodense, che interessa a tutto spessore la regione scapolare sinistra con infiltrazione dei fasci muscolari e del sottocute.
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PROTOCOLLO CHEMIOTERAPICO SEGUITO DAL DOTT. G. PALUMBO DELLA EMATOLOGIA ONCOLOGICA UNIVERSITA' DI CATANIA NEL 2001:
VCR dose totale 8 mg
Infine, chemioterapia antiblastica sovramassimale con endoxan , come preparazione alla reinfusione di Cellule Staminali Ematopoietiche Autologhe, senza successo. Giugno 2002 nuovo tentativo di prelievo di midollo tramite biopsia ossea.
Si segnalarono problemi connessi insorgenza di infezioni herpetiche, durante la convalescenza, nel post- trapianto.
Nei pazienti con linfoma cutaneo a cellule T che esprimono l’antigene CD30, il
trattamento con il coniugato anticorpo-farmaco anti-CD30 brentuximab vedotin dà
risultati clinici significativamente superiori rispetto alla terapia scelta dallo
sperimentatore (metotressato o bexarotene), migliorando in modo significativo sia
la percentuale di risposta complessiva (ORR) sia la PFS mediana, e non solo.
Questo il risultato dello studio internazionale di fase III ALCANZA, uno dei più
attesi al congresso dell’American Society of Hematology (ASH), terminato pochi giorni
fa a San Diego. Secondo gli autori, l’esito del trial potrebbe portare a un cambiamento
della pratica clinica.
In questo studio, brentuximab vedotin ha indotto risposte della durata di almeno
4 mesi nel 56% dei pazienti contro il 13% nei pazienti trattati con la terapia standard
scelta del medico (P < 0,0001).
"Questi risultati convincenti hanno potenziali implicazioni in termini di cambiamento
della pratica clinica riguardo all'uso di brentuximab vedotin nella gestione dei
pazienti con linfoma cutaneo a cellule T esprimenti l’antigene CD30 che necessitano
di una terapia sistemica" ha detto la prima autrice dello studio Youn H. Kim, della
Stanford University, presentando i risultati al congresso.
Il linfoma cutaneo a cellule T è una malattia cronica che impatta negativamente
sulla qualità della vita e in fase avanzata ha una prognosi infausta. Le terapie
sistemiche attualmente utilizzate raramente forniscono risposte affidabili e durevoli
e, fino ad oggi, nessuna terapia si era dimostrata superiore al trattamento standard,
che comprende metotressato o bexarotene.
In due studi a singolo braccio di fase II, tuttavia, brentuximab vedotin si è dimostrato
fortemente attivo sul linfoma cutaneo a cellule T, portando a un’ORR di circa il
70%. Su questa base, ha detto la Kim, si è passati alla fase III, con lo studio
ALCANZA.
Il trial, in aperto, ha coinvolto 131 pazienti con i due sottotipi più comuni di
linfoma cutaneo a cellule T esprimenti CD30 (≥10% di infiltrato secondo i revisori
centrali), di cui 128 hanno costituito la popolazione intent-to-treat, mentre tre
sono stati esclusi perché il loro livello di espressione di CD30 era troppo basso.
I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale e in rapporto 1:1 al trattamento
con brentuximab vedotin 1,8 mg/kg per via endovenosa una volta ogni 3 settimane
e per un massimo di 48 settimane (16 cicli) o una terapia scelta dal medico fra
metotressato da 5 a 50 mg una volta alla settimana oppure bexarotene 300 mg/m2 per
via orale una volta al giorno per un massimo di 16 cicli di 3 settimane. I trattamenti
sono stati somministrati fino a progressione della malattia o tossicità inaccettabile.
L’endpoint primario era la percentuale di risposta obiettiva della durata di almeno
4 mesi (ORR4), “che è una misura di efficacia clinicamente significativa e combina
la percentuale di risposta e la durata della risposta in un singolo endpoint” ha
spiegato la Kim. Gli endpioint secondari comprendevano, invece, la percentuale di
risposta completa, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la riduzione
del burden dei sintomi durante il trattamento (misurato con l’indice Skindex-29
QoL, uno strumento consolidato e validato per misurare la qualità di vita nelle
malattie dermatologiche).
Le caratteristiche dei pazienti erano generalmente ben bilanciate al basale. L'età
media era di 62 anni (range: 22-83) nel braccio trattato con brentuximab vedotin
e 59 anni (range: 22-83) nel braccio di controllo, e in entrambi i bracci i pazienti
avevano già fatto una mediana di due terapie sistemiche. Inoltre, almeno il 95 %
dei pazienti in entrambi i bracci aveva un performance status ECOG di 0 o 1.
L’incidenza degli eventi avversi è stata del 95% nel braccio trattato con brentuximab
vedotin e 90% nel braccio di controllo, mentre quella degli eventi avversi di grado
≥3 è stata rispettivamente del 41% contro 47% e quella degli eventi avversi gravi
del 29% in ciascun braccio.
Tuttavia, la neuropatia periferica di qualsiasi grado è stata molto più frequente
con brentuximab vedotin che non con la terapia standard (67% contro 6%), ma all’ultimo
follow up il 28% dei pazienti ha mostrato un miglioramento o una risoluzione dei
sintomi.
Gli altri eventi avversi comuni di qualunque grado sono stati nausea (36% contro
13%), diarrea (29% contro 6%), affaticamento (29% contro 27%), vomito (17% contro
5%), alopecia (15% contro 3% ), prurito (17% contro 13%), piressia (17% contro 18%),
diminuzione dell'appetito (15% contro 5%) e ipertrigliceridemia (2% contro 18%).
Sulla base di questi risultati, la Food and Drug Administration americana ha concesso
a brentuximab vedotin la designazione di ‘breakthrough therapy’ per i pazienti con
linfoma cutaneo a cellule T e Seattle Genetics, l’azienda che sta sviluppando il
farmaco in collaborazione con Takeda ha reso noto di essere intenzionata a presentare
all’agenzia americana la richiesta di via libera per quest’indicazione nella prima
metà del 2017.
Eruzione erpetica nello stesso paziente per condizione di immunodepressione acquisita |