Una patologia vascolare cronica e disabilitante che richiede un approccio diagnostico
approfondito, una gestione terapeutica multidisciplinare e un follow-up clinico-strumentale
protratto nel tempo poiché solo un'integrazione rigorosa delle varie opzioni terapeutiche
attualmente disponibili è in grado di assicurare a questi pazienti una migliore
qualità di vita. Il linfedema, comunemente classificato come primario o secondario,
è un edema a elevata concentrazione proteica interstiziale determinato da una ridotta
capacità di trasporto linfatico, congenita o acquisita'. Dal punto di vista fisiopatologico,
i meccanismi implicati nel determinismo di questa condizione sono essenzialmente
tre:
aumentata produzione della linfa negli spazi interstiziali, nell'unità di tempo
considerata, a parità di "capacità di trasporto" del sistema linfatico;
produzione di linfa costante, ma ridotta "capacità di trasporto" del sistema linfatico,
per motivi congeniti (ridotto sviluppo di parte del sistema linfatico locale o alterato
funzionamento dei sistemi valvolari, tipici dei linfedemi primari), o acquisiti
(distruzione o ablazione chirurgica, radioterapica o traumatica di vie e/o stazioni
Iinfo-ghiandolari per infestazione parassitaria, radicalità del trattamento chirurgico
e/o radioterapico oncologico, traumi);
sovraccarico funzionale del sistema linfatico regionale per motivi legati ad altri
organi o sistemi (per esempio, sindrome post-flebo-trombotica, ascite chilosa o
chilotorace).
I linfedemi primario: può essere presente alla nascita. oppure manifestarsi
entro la seconda decade di vita (precoce) o successivamente (tardivo).
Linfedema secondario: può intervenire per asportazione o distruzione di
vie e stazioni linfatiche in seguito a chirurgia oncologica, radioterapia, infestazione
parassitaria (soprattutto da Filaria bancrofti nelle popolazioni del medio ed estremo
oriente e in America latina), traumi, "disuso" (soprattutto nella tarda età), lesioni
iatrogene o sovraccarico funzionale (sindrome postflebotrombotica degli arti). Secondo
i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dei circa 300 milioni di
casi di linfedema riportati annualmente 150.000.000 sono primari, 50.000.000 secondari
a intervento chirurgico, 70.000.000 conseguenti a infestazione parassitaria e circa
30.000.000 rientrano nelle forme cosiddette funzionali.
Secondo quanto emerso da studi recenti, il linfedema primario non sarebbe una patologia autosomica dominante "a penetranza incompleta" in cui più membri della stessa famiglia possono essere portatori della mutazione - in genere per i geni FOXC2 e VEGFR3 - pur non mostrando alterazioni anatomiche, ma piuttosto "ad espressività variabile", condizione in cui tutti i soggetti della stessa famiglia portatori della mutazione presentano anche un'alterazione anatomica, evidenziabile mediante esame linfoscintigrafico; in alcuni di questi soggetti il difetto anatomico si manifesta clinicamente nel corso della vita, mentre in altri resta clinicamente silente (figura 3). Questo aspetto è molto importante ai fini della prevenzione primaria. Esistono tuttavia forme di linfedema primario sporadiche nelle quali la mutazione genetica responsabile della la malattia non è riscontrabile in altri soggetti della stessa famiglia; in questi casi, in genere, vengono chiamati in causa anche altri geni.
Stadio 0: assenza di edema in soggetti predisposti (per esempio, donna mastectomizzata
con arti coincidenti per volume e consistenza, consanguineo di soggetto con linfedema
prima-rio con positività dell'esame linfoscintigrafico).
Stadio l: edema persistente che regredisce spontaneamente con il riposo notturno
o con la posizione declive.
Stadio 2: edema permanente che regredisce solo parzialmente con il trattamento
(con possibili complicanze infettive e distrofiche).
Stadio 3: elefantiasi con scomparsa delle salienze ossee e tendinee e possibili
complicanze infettive (batteriche e/o micotiche), ulcerative e degenerative neoplastiche
(sarcoma di Stewart-Treves. Poiché gli errori non sono infrequenti, è necessario
procedere con estrema accuratezza attraverso ogni step dell'iter diagnostico.
Riveste un ruolo di fondamentale importanza: basti pensare, per esempio, alla significatività
di informazioni come la coesistenza di altri casi nel contesto famigliare oppure
la presenza di un trauma pregresso o di un altro fattore "scatenante" per le forme
primarie, oppure il dato anamnestico di un intervento, di un trauma, di una radioterapia
o di un'infestazione per le secondarie.
Ta progressione dell'edema lungo l'arto è disto-prossimale nelle forme primarie, prossimo-distale in quelle secondarie. Spesso si associano termotatto positivo (riduzione della temperatura cutanea) e incremento della consistenza tissutale (con segno della fovea fugace o assente). Nel linfedema primario degli arti inferiori, il segno di Stemmer, ossia l'impossibilità di "pinzettare" la cute del dito del piede rispetto alla falange ossea sottostante, è patognomonico. In caso di complicanze è possibile osservare distrofie cutanee, pa-chidermia, verrucosi e ulcerazioni.
Il gold standard diagnostico per il linfedema è la linfoscintigrafia. La tecnica
d'esecuzione dell'in-dagine prevede l'inoculazione sottocutanea di na-nocolloidi
marcati con tecnezio radioattivo negli spazi interdigitali delle mani e/o dei piedi,
seguita da alcuni esercizi muscolari che facilitano lo scorri-mento del tracciante
radioattivo attraverso il siste-ma canalicolare linfatico. Una gamma camera capta
successivamente il tracciante che, nel frattempo (mediamente 20-30'), si è spinto
fino alla radice dell'arto e oltre. Da un esame morfo-funzionale (tempi di comparsa)
dei tre segmenti dell'arto è possibile stabilire il livello e il grado del deficit
del trasporto linfatico. Uno dei segni linfoscintigrafici tipici è il dermal back
flow che testimonia il ristagno di tracciante in corrispondenza della zona edematosa.
Un'altra indagine impiegata è l'ecografia ad alta risoluzione dei tessuti sopra
e sottofasciali che consente di evidenziare il grado di ispessimento dell'epidermide,
l'incremento dello spessore soprafasciale (spessore cute-fascia muscolare) nel lato
affetto, la prevalente quota idrica o fibrotica del tessuto e la presenza o meno
di "lacune" e "laghi" linfatici; l'esame è utile anche nel monitoraggio del trattamento.
Presso Centri specializzati è possibile effettuare indagini come la tomografia computerizzata
e la linfangiorisonanza la cui standardizzazione è ancora in corso. Altre metodiche,
come la linfografia indiretta, la microlinfografia fluoresceinica, il test linfocromico
di Houdack-Mc Master, la misurazione del flusso e delle pressioni linfatiche e il
laser-Doppler possono fornire utili informazioni sulle condizioni anatomiche e funzionali,
oltre che della microcircolazione sanguigna (laser-Doppler) anche dei linfatici
iniziali e dei collettori linfatici, ma laloro utilità clinica è limitata. La linfografia,
superata per molti tipi di quadri clinici, rimane valida nell'ottica di interventi
demolitivi o riservati ad aree anatomiche profonde, addominali e toraciche.
... e la valutazione funzionale
A seconda della disabilità complessiva rilevabile nel paziente affetto da linfedemi
degli arti (incluse le voci dell'lntemational Classification of Functioning, Disability
and Health - ICF, relative alle sfere psichica, sessuale, sociale ecc.) è possibile
distinguere cinque diversi gradi di impegno funzionale.
Grado 0 - Assenza di disabilità: il paziente svol-ge le sue attività senza restrizioni
nelle sue scelte e/o funzioni, anche se con ortesi.
Grado 1 - Disabilità lieve: il paziente presenta un valore di difficoltà qualificato
come lieve in almeno una delle attività/partecipazioni codificate dall'ICF.''
Grado 2 - Disabilità moderata: il paziente pre-senta un valore di difficoltà qualificato
come moderato in almeno una delle attività/parteci-pazioni codificate dall'ICF.
Grado 3 - Disabilità grave: il paziente presenta un valore di difficoltà qualificato
come grave in almeno una delle attività/partecipazioni codificate dall'ICF.
Grado 4 - Disabilità completa: il paziente pre-senta un valore di difficoltà qualificato
come completo in almeno una delle attività/partecipazioni codificate dall'ICF.
Bendaggio elastocomprressivo: iniziare il bendaggio dal piede procedendo verso la gamba e la coscia, con arto in scarico, meglio al mattino dopo una notte di riposo, con arto detumefatto. Si impiegano bendaggi con fasce alla crema di zinco e poi su queste bende, si posiziona la benda elastica, es. varimed |
La diagnosi di linfedema non comporta, in genere, particolari problemi in quanto questa patologia presenta solitamente caratteristiche anamne-stiche, cliniche e obiettive molto peculiari; tuttavia
I linfedemi si avvalgono del concorso di più tipi di trattamento con il rispetto
delle singole indicazioni e controindicazioni.
Prima fase: prevede la cura della pelle, il lin-fodrenaggio manuale, una serie di
esercizi di ginnastica e la compressione elastica, normalmente applicata con bendaggi
multistrato anelastici. Utili anche gli ultrasuoni, le onde d'urto e la depressoterapia
(vacuumterapia) nelle aree anatomiche maggiormente interessate dalla fibrosi tissutale.
Seconda fase: va iniziata non appena completata la prima fase, con l'obiettivo di
mantenere e ottimizzare i risultati ottenuti; comprende la cura della pelle, la
compressione elastica per mezzo di tutore (calza o bracciale a "maglia piatta",
standard o su misura - classi di com-pressione tra I e IV secondo il sistema RAL),
la ginnastica per il recupero funzionale dell'arto/i. Condizioni essenziali per
la riuscita del protocollo fisico combinato sono la disponibilità del paziente e
la sua piena partecipazione al protocollo terapeutico in entrambe le fasi, nonché
la preparazione del personale medico (linfologi clinici), infermieristico e fisioterapico.
La compressione elastica, se non applicata adeguatamente, può essere non solo inutile,
ma anche dannosa. L'indosso diuturno dell'indumento elastico definitivo, prescritto
e collaudato con esito positivo, costituisce il fattore prognostico predittivo più
importante.
La pressoterapia sequenziale, sempre preceduta dalla preparazione manuale delle
stazioni linfatiche alla radice dell'arto, viene oggi riservata a pazienti suscettibili
di prevalente terapia fisica passiva (allettati, ipomobili per motivi neurologici
o osteoartropatici). Dato l'incremento volemico in tempi rapidi, quest'opzione deve
essere impiegata con prudenza nei soggetti con ipertensione arteriosa e insufficienza
cardiaca'.
Benzopironi: comprendono la cumarina e derivati (alfa-benzopironi) e i bioflavonoidi
e derivati (gamma-benzopironi, ossia diosmina, rutina, esperidina, quercitina ecc.).
Gli alfa-benzopironi incrementano il tono capillare, con conseguente riduzione della
permeabilità, aumentano e attivano i macrofagi, stimolano la contrattilità dei collettori
linfatici (azione prolinfocinetica) e inibiscono la sintesi di prostaglandine e
leucotrieni. Promuovono quindi il riassorbimento interstiziale e favoriscono una
parziale regressione della fibrosi. I migliori risultati vengono raggiunti nei primi
stadi clinici nello specifico i benzopironi sono in grado di migliorare la sintomatologia
soggettiva e il recupero funzionale dell'arto linfedematoso. Le attività svolte
dai gamma-benzopironi comprendono la riduzione della permeabilità dell'endotelio
alle macromolecole proteiche e della filtrazione capillare, nonché un aumento del
tono venulare; di conseguenza, i composti appartenenti a questa classe terapeutica
esercitano un'azione stabilizzante sul connettivo in-terstiziale e sulla parete
capillare e inibiscono la produzione di prostaglandine e leucotrieni.
Mesoglicano: grazie, soprattutto, alla presenza di eparansolfato e dermatansolfato,
costituenti fondamentali della parete vasale, esplica la sua attività farmacologica
a livello endoteliale e sot-toendoteliale, antitrombotico (attivazione di antitrombina
III e cofattore eparinico II) e profibrinolitico (stimolazione dell'attivatore tissutale
del plasminogeno). Nello specifico sul versante venoso del sistema circolatorio,
oltre ad intervenire in senso antitrombotico è in grado di ripristinare le fisiologiche
proprietà di barriera selettiva esplicate dagli endoteli capillari svolgendo, così,
una efficace attività antiedemigena. In uno studio di Lillo et al che si prefiggeva
di valutare l'effetto del mesoglicano nel trattamento di linfedema agli arti inferiori,
in un gruppo di pazienti al 2°/3° stadio e seguiti per un follow-up 12 mesi, i risultati
principali sono stati: riduzione della pressione venosa del 12,4% in ortostatismo,
un miglioramento della consistenza dell'edema, e un soddisfacente recupero funzionale
ed estetico, una riduzione volumetrica dell'arto del 23,94%15.
Antibiotici: in fase acuta per il trattamento delle dermato-linfangio-adeniti
(terapia per lo strep-tococco beta-emolitico) e a scopo preventivo per la profilassi
degli episodi di linfangite acuta (penicillina ad azione protratta).
Antimicotici: per le infezioni fungine delle estremità (fluconazolo ecc.).
Dietilcarbamazina: per eliminare la microfilaria dal circolo sanguigno nei pazienti
affetti da linfedema su base parassitaria e nei portatori sani.
Diuretici: vengono solitamente utilizzati a basso dosaggio e per brevi periodi
di trattamento, in particolare nei quadri di linfedema associato a flebedema o in
altre patologie, quali cardiopatie, nefropatie, ascite, patologie dei vasi chiliferi
ecc. Non rimuovendo la componente proteica interstiziale dell'edema, sono esclusivamente
sintomatici.
Proteasi: in grado di ridurre le macromolecole pro-teiche interstiziali a micromolecole,
più facilmente riassorbibili e trasportabili dal sistema linfatico.
Vaccini contro i germi comunemente respon-sabili di infezioni della pelle e respiratorie:
impiegati da varie scuole, riducono la frequenza e l'intensità dei nuovi episodi,
riducendo, tra l'altro, il consumo di antibiotici.
Dieta: nei pazienti obesi, la restrizione dell'apporto calorico, in associazione
a un idoneo programma di attività fisica, ha una sua specifica efficacia nella riduzione
del volume dell'arto linfedematoso. Non è stata dimostrata la validità di un apporto
limitato di liquidi. Nelle sindromi con reflusso chiloso, una dieta a basso contenuto
lipidico che contempli l'assunzione di soli trigliceridi a catena media (medium
chain triglicerides o MCT), assorbiti attraverso il circolo portale e quindi senza
sovraccaricare il sistema dei vasi chiliferi, è risultata estremamente efficace
anche in età pediatrica.
Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano alla riduzione volumetrica degli arti mediante interventi di tipo de-molitivo-resettivo (cutolipofascectomia, linfangectomia totale superficiale, intervento di Thompson, debulking ecc.). L'avvento della microchirurgia ha invece consentito di studiare e realizzare soluzioni terapeutiche funzionali e causali finalizzate al drenaggio del flusso linfatico o alla ricostruzione delle vie linfatiche ostruite o mancanti. Le tecniche derivative mirano al ripristino del flusso linfatico nella sede dell'ostruzione mediante la realizzazione di un drenaggio linfo-venoso, con l'impiego dei linfonodi o direttamente dei linfatici. Quelle più recentemente e comunemente utilizzate sono le anastomosi linfatico-venose multiple. Tali tecniche ricostruttive consentono di ripristinare una continuità di flusso del circolo linfatico, superando la sede del blocco mediante anastomosi diretta dei vasi linfatici afferenti ed efferenti o mediante l'impianto di segmenti autologhi linfatici o venosi tra i collettori a valle e a monte. Il trapianto linfonodale autologo, di recente introduzione, trova particolari indicazioni nelle forme secondarie (ma anche primarie) e nelle regioni anatomiche con particolare fibrosi (per esempio, dopo radioterapia). La super-microchirurgia, ancora più innovativa, comprende interventi periferici adottabili nei linfedemi sia primari che secondari ed effettuabili su vasi da 0,3 a 0,8 mm19. Le indicazioni alle varie tecniche di microchirurgia linfatica si basano sulla presenza di un valido gradiente pressorio linfatico-venoso nell'arto interessato. Nei casi in cui la patologia linfostatica è associata a un'insufficienza venosa (situazione di prevalente riscontro agli arti inferiori: varici, ipertensione venosa, incontinenza valvolare), le metodiche derivative sono con-troindicate, mentre devono essere impiegate quelle ricostruttive. Quando l'edema non risponde ai trattamenti fisici (prevalenza della componente neolipogenetica, presente soprattutto in alcune forme secondarie) e all'esame obiettivo il segno della fovea risulta assente, può essere eseguita con successo la liposuzione.
Il sostegno psicosociale accompagnato da un programma di valutazione e miglioramento
della qualità di vita dei malati affetti da linfedema, rappresenta una componente
integrante fondamentale di qualsiasi tipo di trattamento. Il paziente spesso avverte
la malattia come una grave alterazione della propria immagine corporea che, associata
al deficit funzionale e alla cronicità tipici di questa patologia, nonché all'osservanza
in maniera diuturna dell'indumento elastico definitivo, contribuisce a turbare il
suo equilibrio psicofisico con importanti ripercussioni negative nella sfera psico-sociale.
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