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Febbre ed ipertermia, meccanismi d'azione dei farmaci antipiretici

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La febbre

La riduzione della febbre mediante l'abbassamento del livello di regolazione ipotalamico è una funzione diretta della riduzione dei livelli di PGE2 nel centro termoregolatore. La sintesi della PGE2 dipende dall'enzima ciclossigenasi, espresso costitutivamente. Il substrato per la ciclossigenasi è l'acido arachidonico rilasciato dalla membrana cellulare e questo rilascio è una tappa rate-limiting, cioè condizionante la velocità di sintesi della PGE2.

Gli inibitori della ciclossigenasi sono, pertanto, potenti antipiretici. La potenza antipiretica dei vari farmaci è direttamente correlata all'inibizione della ciclossigenasi cerebrale. Il paracetamolo è un debole inibitore della ciclossigenasi nei tessuti periferici e non ha una significativa attività antinfiammatoria; nel cervello, comunque, il paracetamolo è ossidato dal sistema citocromiale P450 e la forma ossidata inibisce l'attività ciclossigenasica.

Nel cervello, inoltre, l'inibizione di un altro enzima (COX-3) da parte del paracetamolo può contribuire a spiegare l'effetto antipiretico di questo farmaco. COX-3 non si ritrova al di fuori del SNC. L'acido acetilsalicilico orale e il paracetamolo sono egualmente efficaci nel ridurre la febbre nell'essere umano. Sono eccellenti antipiretici anche i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), come l'ibuprofene e gli inibitori specifici della COX-2. La terapia cronica a base di antipiretici (come l'acido acetilsalicilico o i FANS) ad alte dosi non riduce la normale temperatura corporea centrale.

Perciò, la PGE2 non sembra rivestire alcun ruolo nella termoregolazione normale. Come antipiretici efficaci, i glucocorticoidi agiscono a due livelli. In primo luogo, analogamente agli inibitori della ciclossigenasi, i glucocorticoidi riducono la sintesi di PGE2 mediante l'inibizione dell'attività della fosfolipasi A2, che è necessaria per il rilascio dell'acido arachidonico dalla membrana cellulare. In secondo luogo, i glucocorticoidi bloccano la trascrizione dell'mRNA per le citochine pirogene. Alcune limitate evidenze sperimentali suggeriscono che l'ibuprofene e gli inibitori della COX-2 possano ridurre la produzione di IL-6 indotta da IL-1 e contribuire all'attività antipiretica dei FANS.

Terapia della febbre

Obiettivi nel trattamento della febbre sono: 1) ridurre l'elevata soglia ipotalamica; 2) facilitare la dispersione di calore. La terapia della febbre con antipiretici riduce anche i sintomi sistemici associati, come cefalea, mialgie e artralgie. L'acido acetilsalicilico e i FANS somministrati per via orale riducono efficacemente la febbre, ma possono influenzare negativamente i livelli di piastrine e la funzione gastrointestinale. Perciò, il paracetamolo è preferito a tutti questi agenti come antipiretico. Nei bambini il paracetamolo può essere usato con sicurezza, mentre l'acido acetilsalicilico accresce il rischio di sindrome di Reye. Se il paziente non può assumere antipiretici orali, possono essere usate preparazioni parenterali di FANS e supposte rettali di vari antipiretici. In alcuni pazienti, il trattamento della febbre è altamente raccomandato. La febbre aumenta la richiesta di ossigeno (per ogni grado di aumento oltre i 37 °C si verifica un aumento del 13% del consumo di ossigeno) e può dunque aggravare una preesistente insufficienza cardiaca, cerebrovascolare o polmonare. Una temperatura elevata può indurre alterazioni mentali nei pazienti con malattia cerebrale organica.

I bambini con anamnesi di convulsioni febbrili e non febbrili dovrebbero essere trattati incisivamente per ridurre la febbre, sebbene non sia chiaro quale fattore stimoli le convulsioni febbrili e non vi sia una correlazione certa tra elevazione assoluta della temperatura e inizio delle convulsioni febbrili nei bambini suscettibili. Nell'iperpiressia l'uso di coperte di raffreddamento facilita la riduzione della temperatura; comunque, le coperte di raffreddamento non dovrebbero essere usate senza somministrare antipiretici orali. Nei pazienti con iperpiressia e malattie o traumi del SNC, la riduzione della temperatura centrale mitiga gli effetti dannosi delle alte temperature sul cervello.

Doccia in rianimazione: se necessario,
il paziente può essere raffreddato con
bagno, spugnature o coperte per raffreddamento
per abbassarne la temperatura corporea
repentinamente

Trattamento dell'ipertermia

Un'elevata temperatura centrale in un paziente con anamnesi suggestiva (per es., esposizione al calore ambientale o trattamento con anticolinergici o tarmaci neurolettici, antidepressivi triciclici, succinilcolina o alotano) e reperti clinici indicativi (cute secca, allucinazioni, delirium, dilatazione pupillare, rigidità muscolare e/o elevati livelli di creatinfosfochinasi) deve indurre il sospetto di ipertermia. I tentativi di abbassare la soglia ipotalamica, che è normale, risultano di scarsa utilità. Il raffreddamento fisico con spugnature, ventilatori, coperte di raffreddamento e anche bagni freddi dovrebbe essere iniziato immediatamente, in associazione con la somministrazione di liquidi per via endovenosa e appropriati agenti farmacologici. Se non si ottiene un sufficiente raffreddamento dall'esterno, il raffreddamento interno si può ottenere con lavaggio gastrico o peritoneale mediante soluzione fisiologica fredda. In circostanze estreme si può mettere in atto l'emodialisi o anche la circolazione extracorporea con perfrigerazione sanguigna.

L'ipertermia maligna dovrebbe essere trattata immediatamente con la cessazione dell'anestesia e la somministrazione endovenosa di dantrolene sodico. La dose raccomandata di dantrolene è 1-2,5 mg/kg di peso corporeo per via endovenosa ogni 6 ore per almeno 24-48 ore o, finché si può passare alla somministrazione orale, se necessario. Si dovrebbe anche somministrare procainamide per ridurre la probabilità di fibrillazione ventricolare in questa sindrome.

Il dantrolene a dosi analoghe è indicato nella sindrome maligna da neurolettici e nell'ipertermia indotta da farmaci e può essere utile anche nell'ipertermia della sindrome serotoninergica e in quella da tireotossicosi. La sindrome maligna da neurolettici può anche essere trattata con bromocriptina, l-dopa (levodopa), amantadina o nifedipina, oppure mediante l'induzione della paralisi muscolare con curare e pancuronio. L'intossicazione da antidepressivi triciclici può essere trattata con fisostigmina.
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