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Ipertensione nella gravida, la cura

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Gravidanza ed ipertensione.

Non vi è alcun motivo per ritenere che il trattamento anti-pertensivo svolga benefici differenti nell'uomo rispetto alla donna.

I contraccettivi orali, con differenze consistenti in base alla molecola, possono aumentare modestamente la pressione e favorire l'insorgenza di trombofilia.

La terapia ormonale sostitutiva andrebbe evitata, mentre appare saggio sia trattare l'ipertensione in gravidanza, di qualsiasi tipo, sia seguire nel tempo i casi di ipertensione gestazionale, caratterizzati da un aumentato rischio di manifestare eventi cardiovascolari e/o ipertensione stabile.

E' opportuno ricordare che metildopa, labetalolo e nifedipina siano i soli farmaci sufficientemente testati in gravidanza, mentre da evitare siano ACE-inibitori, ARB ed aliskiren. Nelle emergenze (pre-eclampsia) sono indicati labetalolo i.v. come prima scelta, nitroprussiato o nitroglicerina i.v. come seconda scelta. Nessuna evidenza sembra suggerire che il trattamento antipertensivo eserciti benefici oppure induca eventi avversi differenti nella donna rispetto all'uomo. ACE-inibitori, ARB ed aliskiren, potenzialmente teratogeni, andrebbero però esclusi dal trattamento della donna in età fertile.

Contraccettivi orali

I contraccettivi orali aumentano la pressione arteriosa, sia pure modestamente. Similmente, per quanto in modo apparentemente differente a seconda del principio attivo considerato, i contraccettivi orali favoriscono la comparsa di uno stato trombofilico, con incremento sia dell'infarto miocardico, che della tromboembolia venosa, che degli eventi cerebrovascolari. Lo stesso, forse, può essere detto per le formulazioni di contraccettivi più recenti, somministrate per vie non orali. La sospensione della contraccezione migliora il controllo pressorio, mentre l'uso di contraccettivi nella fumatrice aumenta ulteriormente il rischio cardiovascolare e richiede, pertanto, molta cautela.

Terapia ormonale sostitutiva

Gli effetti pressori sono modesti, ma l'uso di questa terapia andrebbe comunque evitato.

Gravidanza
In merito esistono recenti, specifiche raccomandazioni dell'ESO. In breve, la gravida con pressione sistolica o diastolica >160 > 110 mmHg va trattata, mentre i dubbi per le forme lievi-moderate di elevazione del regime tensivo - sia pre-esistente, che comparsa con la gravidanza - sono tuttora presenti. Pur mancando di dati consistenti, però, gli estensori delle Linee Guida del 2013 confermano che la gravida con valori di pressione al 40/90 mmHg andrebbe trattata se è presente una delle tre condizioni:
1 ) ipertensione gestazionale con o senza proteinuria;
2) ipertensione pre-esistente con sopraggiunta ipertensione gestazionale;
3) ipertensione con danno d'organo subclinico oppure sintomatico, in qualunque fase della gravidanza.

Da trattare comunque può essere, invece, la gravida con pressione arteriosa >150/95 mmHg, anche in assenza di fattori di rischio addizionali.
Tranne i farmaci inibenti il RAAS, da non prescrivere, tutti i farmaci sembrano essere potenzialmente utilizzabili. Tuttavia, dati veri e propri sussistono solo per labetalolo, metildopa e nifedipina. Cautela si deve prestare nei confronti anche dei beta-bloccanti e dei diuretici. Nelle emergenze ipertensive (pre-eclampsia) il farmaco di prima scelta è il labetalolo i.v., quello di seconda scelta il nitroprussiato di sodio o la nitroglicerina, sempre i.v.

L'uso dell'ASA a basso dosaggio (75 mg/die) potrebbe essere prudentemente raccomandato nella donna ad elevato rischio di manifestare pre-eclampsia o con almeno 1 fattore di rischio per pre-eclampsia. Il trattamento potrebbe iniziare con la dodicesima settimana di gravidanza e terminare con il parto. Ciò solo se il rischio emorragico gastrointestinale è comunque ridotto.
L'ipertensione gestazionale va comunque seguita nel tempo, soprattutto nel caso sia stata evidente pre-eclampsia. Si consiglia, pertanto, di monitorare i fattori di rischio cardiovascolare, inclusa la pressione arteriosa, in tutti i casi in cui una forma di ipertensione sia comparsa in gravidanza, anche successivamente al parto.

Labetalolo

Sebbene negli animali non siano stati dimostrati effetti teratogeni, il labetalolo dovrebbe essere usato durante il primo trimestre di gravidanza solo se i benefici prevedibili superano i rischi potenziali. Poichè il labetalolo oltrepassa la barriera placentare vanno tenute presenti le possibili conseguenze a carico del feto e del neonato derivanti dal blocco alfa e beta-adrenergico. Raramente è stata segnalata sofferenza perinatale e neonatale (bradicardia, ipotensione, depressione respiratoria, ipoglicemia, ipotermia). In alcuni casi questi sintomi si sono manifestati a distanza di uno o due giorni dalla nascita.

La risposta a terapie di supporto (p.es. soluzioni per via endovenosa e glucosio) è in genere rapida, ma nella pre-eclampsia grave ed in particolare dopo trattamento prolungato con labetalolo per via endovenosa, la ripresa può essere più lenta.

Questo può essere messo in relazione con un metabolismo epatico diminuito nei prematuri. Sono stati riportati casi di morte intrauterina e neonatale, ma erano implicati altri farmaci (p.es. vasodilatatori, farmaci che deprimono la funzione respiratoria), gli effetti della pre-eclampsia, ritardi della crescita intrauterina e prematurità . Questi dati clinici sconsigliano di prolungare eccessivamente l'uso di dosi elevate di labetalolo, di ritardare il parto, nonché la somministrazione contemporanea di idralazina. La nostra esperienza fino ad oggi, tuttavia, ha mostrato che questo ha avuto un rarissimo riscontro. Il labetalolo viene secreto nel latte materno, ma nessun effetto collaterale è stato riscontrato in bambini allattati naturalmente.

Nitroprussiato

Le sperimentazioni animali hanno dimostrato che il sodio nitroprussiato, anche ai dosaggi più alti, non risulta embriotossico, nè teratogeno. Tuttavia il suo utilizzo nella donna in gravidanza o che allatti deve essere considerato calcolando il rapporto rischio/beneficio. Il nitroprussiato sodico agisce come vasodilatatore su arteriole e, in maniera minore, sulle venule fungendo da donatore di monossido di azoto (NO). Per questa sua attività, come il diazossido, è somministrato per via endovenosa nei casi di emergenze ipertensive.

Il meccanismo d'azione prevede la cessione diretta di NO, al contrario della Nitroglicerina dove la cessione di monossido d'azoto è operata da una reazione di ossidoriduzione con glutatione. L'NO poi attiva nelle cellule muscolari lisce la guanilato ciclasi che ciclizza il GTP a dare GMP ciclico. Il GMP ciclico (cGMP) quindi, tramite la protein chinasi cGMP-dipendente (PKG) stimola il movimento di calcio dal citoplasma al reticolo sarcoplasmatico diminuendo quindi la concentrazione di calcio citosolico a disposizione per la calmodulina e inducendo rilassamento muscolare. Il monossido d'azoto è un gas che, in vivo, presenta un'emivita molto breve, pertanto dopo essersi formato a partire dal nitroprussiato nel torrente circolatorio agisce nelle immediate vicinanze sulla muscolatura liscia vasale.

Nel complesso, quindi, l'attività farmacologica del nitroprussiato è data dalla vasodilatazione a livello periferico di arteriole, vasi di resistenza, e delle venule, vasi di capacitanza. Ne derivano una diminuzione delle resistenze vascolari periferiche, quindi del postcarico, ed un minor ritorno venoso, quindi una riduzione del precarico. La somma di questi effetti comporta una marcata riduzione della pressione arteriosa.

Nitroglicerina

La nitroglicerina rappresenta un farmaco di scelta nel trattamento delle emergenze ipertensive - quando cioè aumenti repentini della pressione arteriosa si accompagnano a danno d'organo - nei pazienti con sindromi coronariche acute o edema polmonare. In queste condizioni alla nitroglicerina può essere associato un beta-bloccante (labetalolo, metoprololo o atenololo) per ridurre ulteriormente la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca e, conseguentemente il consumo di ossigeno del cuore. La nitroglicerina è anche impiegata in associazione a diuretici dell'ansa quando l'emergenza ipertensiva si manifesta in pazienti con insufficienza ventricolare sinistra.

E' impiegata in associazione a beta bloccanti nei pazienti con dissezione aortica, condizione in cui la pressione arteriosa sistolica deve essere assolutamente riportata al di sotto dei 100 mmHg e la frequenza cardiaca a valori di 60 battiti/min per contenere il più possibile lo stress sulla parete dell'aorta. Nel trattamento delle emergenze ipertensive la nitroglicerina può indurre cefalea (effetto collaterale più frequente), ipotensione (responsiva alla somministrazione di liquidi), bradicardia e tachicardia. In presenza di danno miocardico destro (infarto destro), la nitroglicerina è controindicata.

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