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Le infezioni urinarie nelle donne

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Infezioni delle vie urinarie

Le infezioni delle vie urinarie nella donna rappresentano un problema non indifferente per il rischio che l'antibioticoterapia prolungata possa determinare il fenomeno dell'antibioticoresistenza.

Estrapolare dati accurati circa la reale incidenza delle infezioni delle vie urinarie (IVU) è alquanto difficile dato il riscontro comune della patologia. Tuttavia si stima che esse rappresentino oggi una delle patologie infettive più frequenti nelle donne, con un rischio tre volte superiore nei confronti degli uomini nel contrarre questa malattia.

Una donna su tre avrà avuto almeno un episodio di IVU prima dei suoi ventiquattro anni, e almeno la metà delle donne soffrirà di un IVU nel corso della vita. Un altro serio problema è la ricorrenza di questa condizione nelle giovani donne: infatti, nel 25 per cento dei casi le infezioni ricorrono entro sei mesi dal primo episodio.

Epidemiologia ed infezioni nella donna

Le IVU ricorrenti sono definite dalla presenza di sintomi urinari irritativi, quali  elevata frequenza minzionale, urgenza o disuria, e dal riscontro di almeno tre urinocolture positive (>103 colonie/ml di urina) durante gli ultimi 12 mesi. Più del 5 per cento delle donne sarà affetto, nel corso della propria vita. Esistono fattori di rischio generici quali diabete o immunodeficienze in grado di aumentarne il rischio, ma soprattutto specifiche condizioni che possono facilitarne l'insorgenza.
Tra il 75 per cento e il 90 per cento di episodi di cistite in giovani donne sessualmente attive sono correlabili con i rapporti sessuali e uso di creme spermicide oppure all'impiego del diaframma anticoncezionale.

Anche le alterazioni dell'alvo possono essere considerate un fattore di rischio, facilitando un circolo entero-urinario dei batteri stessi. Nelle donne in menopausa, i rapporti sessuali non sembrano più rappresentare un fattore di rischio mentre una storia di infezioni urinarie in giovane età risulta il più consistente fattore di rischio epidemiologico. Circa l'80 per cento delle cistiti sono sostenute da E. Coli grazie a particolari fattori di virulenza come la presenza di fimbrie che, facilitando l'adesività alla mucosa delle vie urinarie, ne aumentano la capacità infettiva. In questa rassegna descriveremo brevemente le recenti evidenze cliniche che supportano i trattamenti terapeutici in uso comune tra i Medici di Medicina generale, e gli specialisti urologi e ginecologi.

Diagnosi

Le linee guida della Società Europea di Urologia (EAU Guidelines 2014) sottolineano come la cistite possa essere diagnosticata con alta probabilità in presenza di sintomatologia irritativa delle basse vie urinarie (disuria aumento della frequenza urinaria e urgenza minzionale) in assenza di segni di flogosi vaginale. L'infezione può inoltre associarsi a macroematuria o a un peggioramento dell'incontinenza urinaria nelle pazienti che ne sono affette. Il quadro sintomatologico descritto è così caratteristico che le donne con una storia di cistiti ricorrenti riescono a fare autodiagnosi con un'accuratezza del 90 per cento. La conferma di laboratorio avviene mediante il riscontro di una conta batterica a 103 cfu/ml di uropatogeni sull'urinocoltura in donne sintomatiche. Sebbene il dipstick urinario possa rappresentare una valida alternativa all'esame culturale delle urine nelle infezioni non complicate, questo si rende doveroso in caso di sospetta pielonefrite (dolore al fianco, nausea, vomito e febbre >38°C), mancata risoluzione o ricorrenza (dopo 2-4 settimane) dei sintomi alla conclusione del trattamento. In questi casi è inoltre indicato un approfondimento diagnostico specialistico mediante valutazione ecografica del residuo post-minzionale ed ecografia dell' apparato urinario.

La terapia antibiotica delle infezioni urinarie nella donna

Gli antibiotici sono generalmente prescritti con la finalità di una rapida risoluzione dei sintomi, di solito per un periodo di 3-7 giorni. Quando possibile, il trattamento dovrebbe essere guidato dai risultati dell'urinocoltura e antibiogramma, per evitare di indurre ceppi resistenti.

 

Trattamenti antibiotici
per la cistite batterica acuta.

Fosfomicina 3 g SD x 1 giorno
Nitrofurantoina 50 mg /ogni 6h x 7 giorni
Nitrofurantoina 100 mg x2/die x 5-7 giorni
Alternative
Ciprofloxacina 250 mg x2/die x3 giorni
Levofloxacina 250 mg/die x 3 giorni
Norfloxacina 400 mg x2/die x 3 giorni
Ofloxacina 200 mg x2/die x 3 giorni

Tuttavia in caso di cistite ricorrente, un antibiotico profilassi per sei mesi consecutivi è indicata dalle linee guida europee come possibile opzione terapeutica quando le modifiche comportamentali (regolarizzazione dell'alvo e alimentazione ricca di fibre, bere almeno due litri di acqua al giorno) e l'utilizzo di fitoterapia (quali estratti di cranberry, acidificanti urinali o probiotici) siano risultati inefficaci nel prevenire gli episodi di infezione ricorrente. In accordo con una revisione della letteratura effettuata dalla Cochrane, la somministrazione continua di una bassa dose di antibiotici risulta efficace nel prevenire le IVU ricorrenti, con una riduzione del rischio di ricorrenza clinica per paziente/ anno fino a 0,15 (RR), mentre presenta un rischio elevato fino a 1,58 (RR) di effetti collaterali severi che richiedono la sospensione del trattamento.


Limiti dell'antibioticoterapia

Sebbene efficaci nel ridurre le ricorrenze, l'effetto degli antibiotici si manifesta esclusivamente durante il periodo di assunzione. Alla discontinuazione della profilassi le pazienti ritornano alla loro precedente frequenza di IVU con un rischio di ricorrenza microbiologica pari allo 0,82 (RR), non essendo la profilassi antibiotica in grado di modificare la storia naturale delle IVU ricorrenti.
Continuare l'antibioticoterapia per periodi molto lunghi è molto rischioso, non abbiamo dati di sicurezza su antìbioticoterapia a lungo termine mentre vi è la possibilità di severi eventi avversi e infezioni da batteri resistenti agli antibiotici. Inoltre l'uso prolungato di antibiotici non è privo di complicanze poiché interferisce con la contraccezione orale, causa sintomi gastrointestinali, tra cui un incremento del rischio di diarrea da Clostridium difficile, e determina episodi di candidosi, oltre cheprevenire episodi d'infezione in donne che riferiscono IVU ricorrenti. Lo studio ha anche evidenziato come i migliori risultati dopo la terapia con HACS sono da attendersi in pazienti con età <50 anni, con numero di episodi di IVU/anno <4, con BMI nella norma e anamnesi alvina regolare.

Conclusioni

Il frequente riscontro di cistite urinaria nelle donne richiede spesso un uso ripetuto di antibiotici. Sebbene l'utilizzo degli antibiotici sia stato indicato come possibile scelta terapeutica valida per prevenire l'insorgenza dell'infezione, questo è gravato da un elevato rischio di effetti collaterali e dalla possibilità di indurre e aumentare lo sviluppo di microrganismi antibiotico-resistenti. Questa paradossale azione antibiotica indica pertanto di ricercare nuove strategie di profilassi. A oggi, una crescente quantità di studi clinici e sperimentali ha proposto come valida scelta l'utilizzo dei glicosaminoglicani, dimostrando almeno un potenziale ruolo benefico di queste sostanze nella patogenesi delle infezioni. Nonostante non si possano ancora trarre definitive indicazioni su queste sostanze, il  loro impiego nella pratica clinica per la prevenzione delle cistiti urinarie sembra comunque supportato da un razionale fisiologico, da dati clinici di provata evidenza e dall'assenza d'importanti effetti collaterali. Oggi è importante che i Medici di Medicina generale e i diversi specialisti coinvolti siano a conoscenza che questo innovativo trattamento rappresenta un nuovo paradigma per trattare, con una strategia priva di antibiotici, una patologia ricorrente con un forte impatto negativo sulla qualità di vita delle pazienti.


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