Terapia del carcinoma epatocellulare

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  7. La cirrosi epatica cura
  8. La cirrosi biliare primitiva
  9. Stato di coma e perche'
  10. Sindrome epatorenale

Epidemiologia e storia naturale

 

TAC ADDOME : epatocarcinoma diffuso Il carcinoma epatocellulare è la settima neoplasia, per frequenza, nel sesso maschile e rappresenta il 4% delle cause di morte per tumore. La maggiore incidenza si riscontra nelle aree in cui i virus B e C dell'epatite sono endemici. Si possono distinguere zone ad alto rischio (Africa sub-sahariana, Sud-Est asiatico e zone costali della Cina) con oltre 20 casi per 100 000 abitanti/anno, zone a medio rischio (Giappone e Sud Europa) con 10-20 casi per 100 000 abitanti/anno e zone a basso rischio (Gran Bretagna, Nord e Sud America, Scandinavia, India e Australia) con meno di 5 casi per 100 000 abitanti/anno. In Italia il tasso d'incidenza è di circa 10-13 casi per 100 000 abitanti/anno. Studi epidemiologici hanno evidenziato una tendenza all'aumento di incidenza del carcinoma epatocellulare che dipende sia dalla diffusione delle condizioni predisponenti, sia dall'affinamento delle tecniche diagnostiche.  Oltre alla diagnosi precoce  le tecniche di imaging attualmente utilizzate per lo screening dei pazienti cirrotici hanno consentito di delineare la storta naturale della malattia. Grazie all'impiego dell'ultrasonografia, vari studi hanno dimostrato un'ampia variabilità nel ritmo di crescita dell'epatocarcinoma (1-9 mesi), sia in pazienti diversi che nello stesso paziente: in alcuni casi la crescita è inizialmente molto lenta; in altri, l'incremento volumetrico delle prime fasi è seguito da una fase di rallentamento; in altri casi ancora il tumore ha una velocità di crescita costante. Numerosi studi hanno esaminato il significato prognostico di fattori clinici e laboratoristici in termini di sopravvivenza in pazienti con epatocarcinoma. Nella nostra casistica 4 di epatocarcinomi singoli, di dimensioni inferiori a 5 centimetri, il grado di insufficienza epatica (classificato secondo lo score di Child-Pugh), le dimensioni del tumore, il tempo di protrombina e la positività per l'HBsAg hanno dimostrato un significato prognostico negativo. Altri studi hanno evidenziato come significativi in termini prognostici l'incremento della bilirubina, la presenza di ascite, il grado di encefalopatia; tuttavia la maggior parte dei fattori identificati riflette il grado di scompenso funzionale epatico. Questi dati non possono essere trascurati quando venga messa a confronto l'efficacia delle diverse opzioni terapeutiche proposte per il carcinoma epatocellulare.

Diagnosi e stadiazione

L'ecografia è la tecnica più utilizzata nello screening dei pazienti cirrotici, grazie alla sua alta sensibilità, specificità, assenza di effetti collaterali e bassi costi. La diagnosi definitiva di natura, particolarmente nel caso di piccola lesione, singola, si può ottenere solo mediante biopsia ecoguidata. Una stadiazione precoce ed accurata è il presupposto per ogni approccio terapeutico. Nella pratica clinica la stadiazione è basata usualmente sui seguenti elementi: dimensione del tumore, numero dei noduli, presenza di una capsula, invasione vascolare, presenza di metastasi linfonodali e a distanza. Il riscontro ultrasonografico di carcinoma, epatocellulare multifocale o con segni di invasione vascolare non richiede ulteriori approfondimenti. Al contrario, l'identificazione di un numero di lesioni inferiore a tre in assenza di infiltrazione vascolare impone la prosecuzione diagnostica mediante lipiodol TC, più sensibile nel rilevare piccoli noduli di carcinoma epatocellulare. In un recente studio la sensibilità delle diverse tecniche di immagine nell'individuare piccoli noduli di carcinoma epatocellulare era la seguente: 86% lipiodol TC, 73% angiografia, 70% ecografia, 68% RNM, 65% TC. Studi su fegati espiantati per trapianto hanno tuttavia dimostrato che il 30% dei carcinomi epatocellulari risultati multifocali alla lipiodol TC era in realtà falso positivo.

Negli ultimi anni sono state messe a punto diverse modalità terapeutiche nel trattamento dell'HCC:

a) chemioterapia,

b) alcolizzazione percutanea (PEI), c) chemioembolizzazione (TACE),

d) resezione chirurgica,

e)trapianto di fegato.

Inoltre sono state recentemente introdotte nuove modalità terapeutiche, come la laserterapia, la termoterapia, o l'iniezione arteriosa di radionuclidi, sul cui utilizzo sono in corso diversi studi. Al momento attuale, comunque, non ci sono dati conclusivi per definire il miglior trattamento o la migliore combinazione di trattamenti. La scelta terapeutica deIl’HCC è notevolmente influenzata dalla severità della cirrosi, che si associa alla neoplasia nella maggior parte dei pazienti

Chemioterapia

 

I risultati della chemioterapia sistemica nel trattamento dell'HCC sono stati deludenti. Sono stati testati numerosi farmaci (doxorubicina, epirubicina, mitoxantrone, egatur, cisplatino), ma nessuno di questi ha dimostrato efficacia nel ridurre la massa del tumore o nell'aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Ciò è stato imputato all'espressione da parte delle cellule tumorali del gene della resistenza ai farmaci antineoplastici (multi drug resistance gene). I dati riguardanti la terapia antiestrogenica con tamoxifen, un bloccante il recettore degli estrogeni, sono tuttora controversi. Alcuni studi condotti in pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza'nel gruppo dei pazienti trattati con tamoxifen rispetto ai controlli: Farinati et al riportano una percentuale di sopravvivenza del 22% ad un anno nei pazienti trattati rispetto al 5% nei controlli. In uno studio controllato, Martinez-Cerezo ha dimostrato una sopravvivenza media ad un anno del 53% nei pazienti trattati con tamoxifen rispetto al 15.807o nei controlli. Altri ne hanno negato l'efficacia terapeutica: Melia et al riportano una sopravvivenza pari al 16% nei pazienti trattati con doxorubicina più tamoxifen, verso  1 % nel gruppo di pazienti trattati con la sola doxorubicina. Sono tuttora in discussione sia il dosaggio più efficace che l'eventuale ruolo di mutazioni genetiche a carico del gene del recettore per gli estrogeni sull'efficacia terapeutica del tamoxifen. Attualmente, sono in corso studi clinici sull'utilizzo del tamoxifen in pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato non suscettibile di altre terapie.

L'alcolizzazione percutanca consiste nell'iniezione mediante ago sottile di etanolo assoluto a livello del nodulo di carcinoma epatocellulare, sotto guida ecografica. t una tecnica terapeutica poco costosa, di relativa facile esecuzione e di elevata efficacia. L'induzione della necrosi può essere valutata mediante TC o angiografia e viene evidenziata dall'assenza di captazione di mezzo di contrasto. Il razionale del trattamento dell'HCC con PEI è così riassumibile: 1) FHCC presenta una fase iniziale di crescita espansiva locoregionale; 2) lo screening ecografico dei pazienti cirrotici permette il riconoscimento di HCC anche in fase precoce; 3) l'etanolo ha una diffusione selettiva all'interno dell'HCC, a causa della minor consistenza del tessuto neoplastico rispetto al tessuto cirrotico; 4) la PEI non coinvolge il tessuto cirrotico circostante il nodulo, così da non peggiorare la funzionalità epatica già compromessa nella maggior parte di questi pazienti; 5) la PEI non presenta le complicanze della resezio,ne chirurgica, responsabili della morbilità e mortalità perioperatoria; 6) la maggior parte dei pazienti cirrotici con FICC trattati con qualsiasi tipo di terapia sviluppa altre lesioni a cinque anni `. L'etanolo viene iniettato in dosi che variano da 1 a 8 cc per seduta; di norma, vengono effettuate da una a tre sedute la settimana. Si eseguono da un minimo di 3 ad un massimo di 15 sedute, in rapporto alle dimensioni della lesione ed alla risposta al trattamento. Normalmente, la PEI viene eseguita in pazienti non ospedalizzati, in via ambulatoriale; è ben tollerata, essendo i più frequenti effetti collaterali rappresentati da dolore durante la manovra e modica iperpiressia conseguente alla necrosi della massa tumorale. Le possibili complicanze connesse a questa metodica sono la trombosi vascolare, l’emoperitoneo e la disseminazione neoplastica lungo il percorso dell'ago. Secondo uno studio italiano multicentrico 13 condotto su 746 pazienti con carcinoma epatocellulare di dimensioni inferiori ai 5 cm, i fattori che influenzano la sopravvivenza del paziente trattato con PEI sono le dimensioni del tumore, il numero delle lesioni e lo stadio funzionale della cirrosi epatica secondo lo score di Child-Pugh. La sopravvivenza a tre anni dei pazienti con tumore solitario è significativamente superiore a quella dei pazienti con carcinoma epato~ cellulare multiplo (63 vs 31%). Nella stessa casisitica la percentuale di sopravvivenza a 5 anni nei pazienti in stadio A di Child era del 4707o rispetto al 29% nei pazienti in stadio B.  Uno studio retrospettivo condotto su 391 pazienti cirrotici in stadio A e B di Child, portatori di un nodulo singolo di epatocarcinoma inferiore a 5 centimetri  pone a confronto la resezione chirurgica, la PEI e l'astensione dal trattamento. A distanza di tre anni, i pazienti in stadio A di Child non presentavano significative differenze di sopravvivenza nel gruppo trattato chirurgicamente (79%) rispetto a quello trattato con PEI (71%). Analogamente nel gruppo di pazienti in stadio B di Child le curve di sopravvivenza non differivano fra il gruppo dei pazienti resecati (40%) e quello dei pazienti trattati con PEI (41%). Percentuali di sopravvivenza significativamente inferiori erano invece osservate nel gruppo di pazienti non trattati. Analoghi risultati 13 sono stati riscontrati, in termini di sopravvivenza, confrontando nell'ambito di una popolazione di pazienti cirrotici in stadio A di Child con nodulo singolo inferiore ai 5 centimetri le tre opzioni terapeutiche più frequentemente impiegate nella terapia dell'epatocarcinoma: resezione chirurgica, PEI e chemioembolizzazione segmentaria. Recentemente, è stata proposta l'iniezione locoregionale di acido acetico 15 e di soluzione fisiologica ad alta temperatura. Queste sostanze presentano una migliore diffusione a livello del nodulo neoplastico, non causano problemi in caso di iniezione intravascolare, non provocano dolore e richiedono volumi inferiori rispetto all'etanolo.  La chemioembolizzazione (TACE) è una tecnica terapeutica che combina l'iniezione di un agente chemioterapico (adriamicina, epirubicina, cisplatino, mitomocina, mitoxantrone, doxorubicina, etc.) sospeso in lipiodol, alla embolizzazione selettiva del ramo dell'arteria epatica che irrora il nodulo di carcinoma epatocellulare. La TACE ha un buon effetto antitumorale grazie all'alta concentrazione di farmaco chemioterapico che raggiunge la lesione e grazie al lungo tempo di permanenza a contatto con le cellule neoplastiche, assicurato dalla embolizzazione. Il flusso arterioso viene infatti bloccato mediante l'iniezione di particelle di gelfoam, causando una necrosi ischemica di più dell'8007o del carcinoma epatocellulare nella maggior parte dei pazienti. La seduta di chemioembolizzazione è spesso seguita dalla «sindrome post-embolizzazione» caratterizzata da febbre, dolore addominale di entità moderata, talora ileo paralitico, ad andamento autolimitantesi. Questa tecnica può essere utilizzata sia nei carcinomi epatocellulari non passibili di terapia chirurgica che in fase preoperatoria.  I protocolli di trattamento nei pazienti non passibili di terapia chirurgica generalmente includono ripetute sedute a tre mesi di intervallo sulla base del follow-up eseguito mediante TC addominale dopo 2-3 settimane dalla seduta.

Resezione epatica chirurgica.

E’ stata la prima terapia ad essere usata per questa malattia, consente spesso, in casi accuratamente selezionati, l’ asportazione della malattia in modo oncologicamente radicale con remissioni a lungo termine e prolungato intervallo libero. È indicata per i pazienti con noduli singoli e comunque non superiore a tre, in classe di Child A5, A6 e B7, ed in assenza di ipertensione portale. I vantaggi risiedono nell'asportazione completa del tumore e del tessuto circostante. Gli svantaggi sono legati alla possibilità di insorgenza di insufficienza epatica dopo l'intervento. I risultati oggi prevedono un rischio peroperatorio intorno all'1% ed una sopravvivenza dei pazienti dopo 5 anni dall'intervento a circa il 60%.

 

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