appunti del dott. Claudio Italiano
Una delle prime teorie concernenti l'emopoiesi consiste nel fatto che le cellule del sangue
sarebbero derivate da un unico elemento progenitore, l'emocitoblasto.
Questo è stato descritto come una cellula del diametro di circa 16 micron con
grande nucleo con struttura cromatinica costituita da filamenti finemente
intrecciati, 1-2 nucleoli, citoplasma omogeneo debolmente basofilo sprovvisto di
granulazioni. A sua volta l'emocitoblasto, derivato da un elemento mesenchimale
indifferenziato, l''emoistioblasto, è cellula in grado di dar origine a tutte le
cellule del sangue e del connettivo. Questa teoria è stata rivisitata nei
decenni successivi, ma mantiene tutt'ora una sua validità, anche se la
terminologia, a cui si fa oggi riferimento non parla più di emocitoblasto ma di
''cellula staminale multipotente'' o ''uncommitted Stem cell'' a cui seguono
cellule staminali differenziate o (committed).
La nomenclatura attuale è basata su criteri funzionali più che morfologici. Molto utili a questo riguardo si sono dimostrati gli esperimenti di innesto di cellule emopoietiche in animali (principalmente topi nudi atimici, cosiddetti NOD-SCID) il cui parenchima emocitoformativo era stato precedentemente distrutto dalle radiazioni ionizzanti. Le cellule inoculate sono in grado di ripopolare completamente i tessuti emopoietici dell'ospite, dimostrando così che tra esse vi sono elementi capaci di dar origine a tutte le cellule del sangue. Le proprietà funzionali delle cellule del sangue si sono potute studiare in modo più completo sfruttando il metodo dell'innesto di cellule emopoietiche nella milza di roditori: in queste condizioni si può osservare la comparsa di colonie cellulari composte da tutte le cellule del sangue e da elementi a loro volta in grado di dar origine a nuove colonie.
Le cellule formanti colonie (C.F.U. Colony Forming Units) per la loro dimostrata
pluripotenza evolutiva e capacità di autoriprodursi vengono attualmente
identificate con gli elementi precursori primitivi delle cellule del sangue e
definite cellule staminali (stem cells). Nell'organismo adulto le cellule del
sangue vengono prodotte a livello del midollo osseo a partire da una cellula
progenitrice denomina: "stem cell" (cellula staminale), la quale è dotata
di 2 caratteristiche fondamentali, l'automantenimento ("self-renewal") e la
capacità di differenziarsi lungo le due principali filiere proliferative
ematopoietiche: mieloide (inteso nell'eccezione panmieloide,
includente sia la serie granulo-monocitaria che eritroide e
megacariocitaria) e linfoide. La necessità di un rifornimento continuo
di cellule ematopoietiche deriva dal fatto che le cellule ematiche hanno una
durata di vita limitata e quindi devono essere continuativamente sostituite
durante l'intero arco della vita. Recenti studi di misurazione della lunghezza
dei telomeri hanno però evidenziato in modelli murini che la capacità di
autoreplicazione delle cellule staminali di midollo osseo non è infinita ma
limitata a circa 50 cicli replicativi. Il midollo osseo ematopoietico
rappresenta circa il 5% del peso corporeo totale, ed è distribuito
prevalentemente nelle ossa piatte e lunghe in età pediatrica e giovanile, mentre
in età adulta si dispone a livello delle costole, vertebre sterno, bacino.
Le cellule staminali multipotenti si annidano in nicchie delimitate dalle
trabecole della spongiosa ove trovano un microambiente ideale per la loro
crescita e maturazione. Il microambiente midollare (stroma) è costituito da
cellule reticolari, sinusoidi (privi di membrana basale e delimitati da cellule
endoteliali), adipociti parasinusoidali, fibre reticolari, e matrice
extracellulare costituita da proteoglicani, collageno, vitronectina,
trombo-spondina, emonectina, ialuronato, fibronectina e laminina (proteine
adesive). Il processo dell'emopoiesi è inoltre sotto il controllo di diversi
fattori di crescita prodotti da cellule midollari appartenenti per lo più
allo stroma o al sistema immunitario (linfociti T, monociti-macrofagi ed in
minor misura linfociti B). Tra questi citiamo innanzitutt i cosidetti CSF
("colony stimulating factors"): multi-CSF (anche nota come interleuchina
3, stimolante la crescita di progenitori di tipo GEMM: granulo-
eritroide- monocita- megacariocitario), GM-CSF (che stimola la
maturazione dei progenitori "committed" di tipo granulo-monocitario), G-CSF
(specifico per i precursori granulocitari), M-C5F (progenitori monocitari),
CSF- MEG (precursori megacariocitari), eritropoietina (specifica
per la differenziazione di progenitori commissionati in senso eritroide),
trombopoietina (specifica per i progenitori megacariocitari), "stem cell
factor" anche denominato c-kit receptor), interleuchine IL) di diverso tipo:
IL6, ILI, IL4, IL7, IL5, IL2, IL9, IL 11, e altre ancora.
Esistono tutt'ora difficoltà per il riconoscimento morfologico di questa presunta cellula staminale, la cui identificazione è ancora basata su osservazioni di ordine embriologico, cinetico- funzionale e citofluorimetrico. Si ritiene che le cellule staminali più indifferenziate siano morfologicamente simili al piccolo linfocita, dal quale si discosterebbero per la presenza di una trama cromatinica leggermente più lassa che talora lascia intravedere un piccolo nucleolo. Il citoplasma è povero in organuli, per effetto della ridotta sintesi proteica e del basso indice mitotico di questi elementi. Il 90% circa di queste cellule risiede stabilmente in fase di quiescenza (G0/G1), al di fuori del ciclo riproduttivo, e non rispondono agli stimoli differenziativi delle sostanze regolatrici dell'emopoiesi del tipo eitropoietina, GM-CSF, CFS-Meg ecc. A questi fattori regolativi rispondono invece altre cellule, non più totipotenti ma già differenziate denominate cellule progenitrici "committed" o commissionati, "committed CFU", progenitori oligo- uni-potenti. Da questi elementi, riconoscibili solamente in sistemi di crescita in vitro (le cosidette "colony forming units"- CFU), deriverebbero cellule già differenziate e riconoscibili morfologicamente come precursori immediati degli elementi circolanti (megacarioblasto, proeritroblasto, mieloblasto, monoblasto). Le cellule del pool staminale già differenziate hanno dimensioni maggiori rispetto alla vera cellula staminale multipotente, citoplasma più abbondante e basofilo (ricco in organuli), cromatina lassa, 1-2 nucleoli, e sono in fase attive del ciclo cellulare (morfologia blastica). Le cellule del compartimento staminale progenitore sono riconoscibili per la presenza dell'antigene CD34 (marcatore di superficie espresso da tulle le cellule del compartimento staminale/progenitore multi- e uni-potente), il quale viene espresso in maniera decrescente man mano che questi elementi procedono a maturazione nel midollo osseo. Ma mentre la cellula staminale più indifferenziata non coesprime altri marcatori di filiera o di attivazione, le cellule progenitrici già in qualche modo commissionate esprimono anticorpi di classe 2 del sistema maggiore di istocompatibilità (HLA-DR), il CD38, incostantemente il CD90, CD133, CD117, ed altri ancora.
Nell'ambito di questa serie sono state identificate almeno due classi di progenitori eritropoietici fra loro collegate, in senso progressivo, designate come Burst Forming Unit(s) (BFU-E) e, rispettivamente, Colony Forming Unit(s) (CFU-E). In senso longitudinale le colonie derivate dalla crescita delle BFU-E sono le più vicine alla cellula staminale pluripotente (CFU-S) e danno luogo, in vitro, alla formazione di macroaggregati cellulari (''Bursts''). Il complesso delle BFU-E può riconoscere ulteriormente la presenza nel suo ambito di due sottopopolazioni a diverso grado di maturità (per quanto attiene la sensibilità a stimoli umorali e l'attività replicativa), le ''Primitive'' BFU-E (P-BFU-E) e le ''Mature'' BFU-E (M-BFU-E).
Quest'ultime rappresenterebbero una terza categoria di precursori eritropoietici aventi il ruolo di raccordo tra le BFU-E vere e proprie (P-BFU-E) e le CFU-E. I passaggi differenziativi tra questi vari gruppi di cellule progenitrici sono regolati da alcuni fattori umorali quali l'eritropoietina (Epo). L'eritropoietina (una glicoproteina contenente acido sialico, esosamina ed esosi (P.M. 39.000 daltons) che aumenta dopo salasso e diminuisce o scompare ad es. negli animali resi poliglobulici con trasfusioni o con ipoossia), è prodotta in gran parte nel rene: la sua produzione è regolata dalla tensione di ossigeno dei tessuti. L'eritropoietina stimola la differenziazione e la maturazione delle cellule staminali eritroidi ed esplica un effetto umorale a livello di elementi progenitori più tardivi come le CFU-E ed in minor misura su elementi intermedi come le M-BFU-E.
In particolare induce la differenziazione delle CFU-E in direzione del compartimento eritroblastico, accelera la maturazione degli eritroblasti ed influenza l'immissione dei reticolociti in circolo. Il passaggio dalle CFU-E ai proeritroblasti dà inizio alla componente cellulare eritroide più comunemente nota per la sua facile identificazione, a livello dei tessuti ematopoietici, ed in particolare del midollo osseo.
In condizioni di disturbata e rallentata sintesi del DNA, come
si ha soprattutto nell'anemia perniciosa per il deficit di vitamina B12 e
di acido folico, vi è un mutamento della maturazione cromatinica, e mentre il
volume cellulare diviene maggiore della norma, il reticolo cromatinico si fa
più fine e sottile; questo tipo di evoluzione viene descritto come una serie
eritropoietica a sé (serie megaloblastica), a partire dal
promegaloblasto, grossa cellula a nucleo cromatinico finissimo, attraverso
gli stadi di megalo-blasto basofilo, policromatofilo, ortocromatico, fino ai
megalociti (eritrociti più voluminosi e più intensamente colorati dei comuni
normociti.
Gli eritrociti o globuli rossi, osservati a fresco, appaiono come
piccoli dischi color giallo citrino con una parte centrale più chiara; negli
strisci fissati e colorati appaiono di color rosa intenso con una parte centrale
meno colorata: questi aspetti sono dovuti alla particolare forma a disco
biconcavo dell'eritrocito. I globuli rossi sono privi di nucleo: misurano in
media 7.2-7.7 micron. Nel sangue si riscontra una piccola quantità (1% circa) di
eritrociti di diametro un pò superiore alla media, leggermente policromatofili,
che, colorati sopravitalmente con coloranti basici (brillant cresyl blau, blu di
metilene, ecc.) palesano all'interno delle granulazioni azzurre unite da esili
filamenti disposti a formare un reticolo più o meno compatto (cosiddetta ''reazione granulofilamentosa''): ad esse, per questa loro proprietà, si dà il
nome di reticolociti (proeritrociti, granulofilociti). Il numero dei
reticolociti, che vanno considerati come emazie giovanili, aumenta
considerevolmente in corso di accelerata eritropoiesi.
In condizioni patologiche gli eritrociti possono andare incontro a
modificazioni:
- delle dimensioni (microciti, macrociti);
- della forma (poichilociti)
- del contenuto emoglobinico (ipo-ipercromia).
Forme particolari sono gli sferociti (emazie di riccole dimensioni e di
spessore aumentato), i drepanociti o i globuli rossi a falce, gli ovalociti, i
leptociti (emazie appiattite), gli anulociti (forme ipo-comiche con l'emoglobina
disposta alla periferia), eli stomatociti (con zona centrale chiara allungata),
le cellule a bersaglio (con centro e periferia scuri separati da un anello
chiaro), gli schizociti o fram-menti di globulo rosso ed i globuli rossi con
spicu-le variamente denominati ''burr cells'', ''spur cells'', acantociti''.
L'identificazione dei precursori della serie granulomonocitopoietica è
stata effettuata in base ai rilievi delle colture in vitro in terreno
semisolido. Esse hanno dimostrato come la proliferazione delle cellule staminali
della serie granulomonocitaria sia regolata da fattori solubili prodotti da
elementi cellulari presenti in vari organi ''Colony Stimulating Activity'' (CSA).
(Metcalf, Van Furth). Le cellule che danno origine a colonie di elementi
granulocitari e di monociti e macrofagi nello stesso tempo, sono
state definite come Colony Forming Unit in Culture (CFU-C). In rapporto
all'osservazione che la potenzialità di dare luogo a colonie granulo-monocitarie
contemporaneamente, oppure soltanto granulocitarie o monocitiche separatamente,
è stata dimostrata l'esistenza di cellule progenitrici ''impe-gnate''
selettivamente lungo queste vie specifiche (M-CFU, GM-CFU, M-CFU).
I dati sin qui riferiti confermano come sin dalle fasi iniziali le linee
proliferative granulopoietica e monocitopoietica appaiano strettamente collegate
nella loro genesi ed evoluzione.
Per quanto riguarda la serie granulopoietica essa riconosce una
serie di passaggi ben definiti dal lato morfologico che vanno dal mieloblasto,
al promielocito, al mielocito, al metamielocito, al
granulocito maturo segmentato.
La maturazione di questi elementi si effettua lungo un arco di tempo di circa 13
giorni ed è contrassegnata da modificazioni nucleari (incremento nel grado di
compattezza cromatinica, incavamento progressivo e lobulazione finale del
nucleo) e citoplasmatiche (comparsa di granulazioni rispettivamente azzurrofile
- o primarie o aspecifiche - nelle fasi precoci della maturazione e secondarie o
specifiche nelle fasi più avanzate dell'evoluzione maturativi). Queste ultime
contrassegnano la linea evolutiva granulocitaria in senso neutrofilo, basofilo
ed eosinofilo a seconda della loro caratteristica conformazione.
Gli elementi della serie granuloblastica riconoscono nella loro maturazione una
fase strettamente midollare nella quale il granuloblasto che giunge sino
all'elemento maturo neutrofilo (che entra a far parte della cosiddetta ''quota
marginata'' pronta ad essere mobilizzata per esigenze difensive o reattive di
varia natura), una fase di transito nel sangue circolante (in cui gli elementi granulocitari si dispongono secondo due compartimenti, l'uno marginato e l'altro
circolante), ed infine una fase tessutale ove gli elementi leucocitari, migrati
per diapedesi vasale, esercitano le loro funzioni (chemiotassi fagocitosi).
L'elemento progenitore è il mieloblasto, cellula rotondeggiante del diametro di
20-25 micron, con un nucleo grande, rotondo, con cromatina disposta in filamenti
delicati o sotto forma di granuli. Il citoplasma è blu chiaro, disomogeneo, con
una zona chiara perinucleare; contiene granulazioni che si colorano
metacromaticamente in rosso violetto col Giemsa (granulazioni azzurrofile).
Dal mieloblasto deriva il promielocito, elemento del diametro di
circa 20 micron, fornito di un nucleo ovalare; tra le maglie cromatiniche si
possono talora notare delle zone chiare che suggeriscono la presenza di
nucleoli. Il citoplasma tende a virare dalla basofilia all'acidofilia lieve:
contiene accanto alle granulazioni azzurrofile quelle specifiche proprie
dell'elemento maturo (neutrofile, acidofile, basofile).
Lo stadio maturativo seguente è rappresentato dal mielocito, cellula del
diametro di 15-18 micron, con nucleo più piccolo rispetto alla forma precedente
e cromatina disposta in masserelle ben distinte. Il citoplasma è acidofilo e
contiene pressoché esclusivamente granulazioni specifiche. Questa cellula evolve
a metamielocito, che ne differisce solo per la forma del nucleo, che appare
reniforme od a ferro di cavallo, con la concavità corrispondente al centrosoma.
Il metamielocito, per la comparsa di strozzature nucleari che determinano la
segmentazione del carioplasma, evolve a granulocito circolante.
Al microscopio elettronico il mieloblasto risulta fornito di numerosi sacchi di
reticolo endoplasmatico granuloso e di abbondanti ribosomi; l'apparato del Golgi
è ben sviluppato. Il promielocito presenta sempre uno due nucleoli ed un
citoplasma ricco di granulazioni eterogenee per forma e dimensioni. Negli stadi
maturativi successivi si assiste ad una diminuzione progressiva del reticolo
endoplasmatico, dei ribosomi e dei mitocondri.
Le modalità con cui si effettua la granulogenesi non sono state ancora chiarite,
ma si ritiene che abbiano luogo due successive generazioni di granuli: la
formazione delle granulazioni azzurrofile e di quelle specifiche si
verificherebbe indipendentemente a livello dell'apparato del Golgi.
- I granulociti neutrofili sono cellule del d metro di 9-12 micron,
facilmente riconoscibili per forma del nucleo, che appare segmentato in lobi (in
condizioni normali non più di 5) uniti da esili ponti carioplasmatici. Il
citoplasma, di colore rosato al Giemsa, contiene un numero variabile di
granulazioni, piccole, fini, che si colorano con le miscele : reazione neutra.
Si ritiene che l'entità della segmentazione nucleare dipenda dall'età della
cellula e tenda ad aumentare con essa: ad una valutazione quantitativa di questo
fenomeno (formula nucleare) si è attribuita importanza diagnostica e
prognostici (formula di Arneth).
Al microscopio elettronico le granulazioni del neutrofilo appaiono eterogenee
per forma e dimensioni: accanto a delle granulazioni ovali, specifiche, si
riscontrano granulazioni più grandi, sferiche, che rappresentano il residuo di
quelle azzurrofile del promielocito. Le granulazioni sono ricche di enzimi idrolasici
e vanno considerate come dei lisosomi: nelle granulazioni neutrofile si
troverebbero tra l'altro lisozima, e fosfatasi alcalina.
I granulociti neutrofili sono cellule dotate di mobilità ameboide e di capacità
fagocitarla: la loro migrazione è determinata almeno in parte dall'attrazione
esercitata da svariate sostanze (chemiotassi), particolarmente sostanze
batteriche e componenti del complemento.
Queste cellule intervengono nei processi di difesa dell'organismo fagocitando e
digerendo microorganismi: svolgono anche un ruolo importante nella dinamica del
processo flogistico, liberando sostanze che accelerano la flogosi, peptidi
vasoattivi, istamina e varie altre sostanze attive.
- I granulociti eosinofili misurano in medi; 14-20 micron: il nucleo è per lo
più bilobato, con i due lobi uniti da un ponte carioplasmatico che talora si
addensa nella sua parte centrale a costituire un terzo piccolo lobo. La
struttura cromatinica è mene grossolana di quella dei neutrofili. Il citoplasma
e zeppo di granulazioni color rosso-arancio, più grandi di quelle dei neutrofili
(diametro medio 0,5-1,5 micron) relativamente uniformi per dimensioni nell'ambito
di una singola cellula.
Le granulazioni eosinofile appaiono al microscopio elettronico come formazioni
provviste d: una membrana, costituite da una matrice densa omogenea o granulare,
e da una struttura interna cristalloide, identificabile forse con una
mieloperossidasi specifica.
I granulociti eosinofili sono cellule mobili, provviste di potere
fagocitario e dotate di proprietà chemiotattiche. Tra le varie sostanze che ne
determinano la migrazione (fattori batterici solubili, antigeni estranei,
complessi antigene-anticorpo) il ruolo principale sembra spettare all'istamina.
Si ritiene che queste cellule intervengano nei processi di difesa dell'organismo
verso corpi estranei: si è dimostrata la presenza di sostanze in grado di
antagonizzare l'azione dell'istamina, della 5-idrossi-triptamina e della
bradichinina.
- I granulociti basofili sono i più piccoli tra i granulociti, misurando
da 10 a 14 micron di diametro.
Il citoplasma è stipato da grosse granulazioni nerobluastre di forma irregolare,
colorabili metacromaticamente con i coloranti basici di anilina, idrosolubili,
che si estendono a ricoprire il nucleo. Questo appare omogeneo, non nettamente
segmentato, con aspetto approssimativamente a trifoglio.
Al microscopio elettronico le granulazioni appaiono formate da lamelle disposte
in blocchi o fascicoli. Studi citochimici indicano che nei granuli sono
contenuti istamina, sostanze chimicamente correlate con l'eparina, serotonina,
acido jaluronico e vari enzimi.
1 granulociti basofili sono cellule mobili dotate di capacità fagocitiche, ma in
queste funzioni sono complessivamente meno attivi degli altri granulociti. Si
ritiene che possano svolgere un ruolo importante nelle reazioni allergiche: sono
le cellule del sangue che maggiormente legano anticorpi IgE e, al contatto con
l'antigene, si degranulano rilasciando istamina. Vengono distinti dai
granulociti basofili tessutali (o mastociti): i primi sono chiamati basofili a
granulazioni solubili ed i secondi basofili a granulazioni insolubili.
La serie monocitaria evolve dalla CFU-GM secondo le tappe rappresentate dal
monoblasto, al promonocito, al promonocito maturo. Gli aspetti morfologici
perenti a questi passaggi sono contrassegnati da un progressivo incurvamento del
nucleo sino ad assumere un aspetto reniforme, con condensazione cromatinica
nucleare, e da modificazioni citoplasmatiche caratterizzate soprattutto dallo
sviluppo di atticità enzimatiche particolarmente importanti (a-naftil-acetato-esterasi,
fosfatasi alcalina, lisozima).
La loro evoluzione maturativa degli elementi monocitari comprende una fase
midollare (dal monoblasto al monocito) che include due cicli replicativi,
una fase di transito nel sangue circolante molto breve (1/2 ora) ed una fase
tessutale, ove la migrazione di elementi mononucleati dà luogo alla
formazione di cellule macrofagiche fisse.
A seconda dell'organo di insediamento, gli elementi monocitari migrati assumono
adattamenti funzionali diversi, con trasformazione in cellule dotate di
caratteristiche particolari (cellule di Kupffer a livello del tessuto epatico,
macrofagi alveolari a livello polmonare, elementi macrofagici in senso stretto a
livello degli organi ematopoietici, cellule gliali a liveIlo del SNC,
osteoclasti a livello del tessuto osseo)
L'altro termine coniato da Foucar nel 1990 per indicare questo sistema
cellulare è M-PIRES (Mononuclear Phagocyte and Immunoregulatory System),
che ha il pregio di inserire in questo gruppo non solamente cellule macrofagiche
ma anche cellule immunologicamente attive quali le cellule dendritiche.
Comunque lo si voglia denominare, il sistema cellulare istiocitico (sistema dei
fagociti mononucleati), così com'è attualmente concepito, risulta costituito da
una linea, progressivamente differenziantesi, che prende origine in
corrispondenza del midollo osseo da elementi staminali relativamente
differenziati (monoblasti e promonociti), e che, dopo aver lasciato questa sede,
migrano come monociti attraverso il sangue sino ai tessuti ove acquistano i
caratteri dei macrofagi. In questa fase i macrofagi assumono configurazioni
particolari a seconda della sede ove si vengono ad insediare (cellule di Kupffer,
macrofagi alveolari, cellule della microglia), oppure si accumulano in
corrispondenza dei luoghi di infiammazione o di reazione immunologica come
macrofagi, cellule epitelioidi o cellule giganti. I macrofagi vengono
ulteriormente distinti in questa impostazione classificativa, in due tipi
(liberi e fissi, A e B) le cui caratteristiche biochimico funzionali sono
alquanto differenti.
A questo sistema vengono oggi fatte rientrare anche le cosidette "antigen
presenting cells" (APC), dette anche cellule accessorie, le quali giocano un
ruolo fondamemtale nella risposta immunitaria ed in particolare nelle fasi di
presentazione dell'antigene. Questi elementi sono privi di attività fagocitica
in senso classico, poveri in enzimi lisosomiali, e hanno una morfologia
caratteristica, possedendo proiezioni citoplasmatiche lunghe e sottili che
permettono una adeguata interazione con le cellule immunitarie; la loro azione è
sinergica con le altre cellule del sistema monocito-macrofagico. La popolazione
cellulare APC è costituita da elementi reticolari dendritici (riscontrabili in
tutti i tessuti del'organismo umano ad eccezione di quello cerebrale)
suddivisibili in
a) cellule follicolari dendritiche, con funzione d presentazione
dell'antigene alla classe linfocitaria B (sono situate a livello del centro
germinativo, e del mantello del follicolo linfatico dei linfonodi);
b) cellule interdigitate, con funzione di presentazione dell'antigene
alla classe linfocitaria (situate nelle zone T dipendenti delle struttura
linfatiche dell'organismo);
c) cellule di Langerhans, localizzate a livello dell'epidermide e
contraddistinte da una morfologia peculiare (nucleo a chicco di caffè,
citoplasma eosinofilo dotato di numerose fini proiezioni). Per loro capacità
migratorie possono localizzarsi in vari tessuti, in particolare nei linfonodi.
Le funzioni che possono essere attribuite alle sue cellule sono
complesse e dipendenti dalle sedi di dislocazione degli stessi (splenica,
linfonodale, midollare). In ogni caso risulta comune a tutte queste cellule la
capacità di base di estrinsecare proprietà fagocitane nei riguardi di sostanze
diverse. In questo senso la funzione di ''clearing'', sia che venga rivolta
all'ingestione di germi o parassiti o di particelle inerti come silice e
carbone, sia che venga adibita alla sequestrazione di elementi patologici per
caratteristiche strutturali, rappresenta una attività fondamentale nei processi
di difesa dell'organismo. Più in generale questa funzione si riferisce non
soltanto alla eliminazione di corpi estranei (polveri inerti) e di germi e
parassiti, anche, in campo immunologico, attuando quei processi che sono alla
base della presentazione degli antigeni, alla loro elaborazione, ed alla
trasmissione di informazioni alle cellule linfoidi. Strettamente connessa con
questa funzione è l'attività citocateretica, che riveste particolare
importanza a livello di alcuni organi, come precedentemente è stato detto,
soprattutto la milza: essa costituisce il mezzo principale per l'eliminazione
delle cellule morte o senescenti.
Meno conosciute, ma fisiopatogeneticamente importanti sono altre due funzioni
esplicate dal sistema cellulare istiocita-rio, quali quella trofica e quella
metabolica. La prima è legata alla costituzione di stretti contatti fra elementi
reticolari e cellule di varia natura (eritroblasti, linfociti, plasmacellule)
disposti attorno ad essi a formare figure particolarmente caratteristiche (isolotti
reticoloeritroblastici, isole reticolo-linfocitarie). Lo scopo di queste
associazioni consisterebbe nella trasmissione di materiale nutritizio (rofeocitosi
delle molecole di ferritina nel caso degli isolotti reticolo-eritroblastici) o
ancora nel passaggio di informazioni necessarie alle funzioni dei singoli
elementi nel caso delle isole reticololinfocitarie.
La funzione metabolica è legata alla elaborazione da parte dei macrofagi di
numerose sostanze molte delle quali sembrano intervenire soprattutto nei
processi della risposta infiammatoria.
Fra i prodotti secreti più importanti sono da annoverare accanto al lisozima, le
proteasi attive a pH neutro (tra cui l'attivatore del plasminogeno che catalizza
la formazione di plasmina dallo stesso). A differenza della secrezione di
lisozima che è intrinsecamente costitutiva della attività macrofagica, la
sintesi di proteasi neutre può essere indotta e modulata per varie vie
estrinseche. I macrofagi inoltre sintetizzano e secernono numerosi fattori del complemento, legano il complemento attivato e lo degradano attraverso l'azione
di proteasi. In condizioni infiammatorie possono inoltre essere rilasciati ager
-ti ossidanti in grado di dare luogo alla ossidazione di gruppi tiolici negli
enzimi, e di rompere i legair a livello di proteine, lipidi, acidi nucleici.
L'attività dei macrofagi sembra estendersi infine ad altri campi della
fisiopatologia umana, quali il rimodellamento dei tessuti, la guarigione delle
ferite, lo sviluppo degli ateromi nelle malattie vascolari, l'utilizzazione
delle cellule in fase di senescenza
La genesi delle cellule megacariocitarie riconosce una tappa a livello della cellula staminale pluri-potente (CFU-S - Pre-H-C) ed una successiva coinvolgente la cellula staminale ''committed'' CFL-Meg. In larga parte la formazione di megacariociti sembra influenzata da fattori microambientali (come appare negli studi sperimentali che dimostrano una crescita prevalente delle colonie contenenti megacariociti a livello della regione sottocap-sulare splenica) e condizionata nella formazione di
piastrine dall'attività umorale di una sostanza denominata ''trombopoietina'' .
Nella fase della maturazione dei megacariociti morfologicamente riconoscibile
sono stati distinti tre stadi (I, II, III) corrispondenti a definite
modificazioni nucleari e citoplasmatiche (megacarioblasto, megacariocito,
megacariocito granuloso) ed equivalentì a fasi già individuate nel passato (megacarioblasto,
megacarioblasto linfoide, megacariocito granuloso). Le acquisizioni di alcuni
dati di cinetica e la valutazione del contenuto in DNA nucleare hanno tuttavia
modificato recentemente alcuni concetti inerenti alla progressione maturativa
così come appare nella sequenza soprariferita, che comportava, di pari passo
all'attività piastrinogenetica, anche un incremento del grado di ploidia
cellulare.
In effetti il concetto che poliploidizzazione cellulare e maturazione
intervenissero simultaneamente è stato contraddetto dall'osservazione che il
fenomeno della poliploidizzazione è confinato prevalentemente agli elementi più
immaturi in grado di operare la sintesi di DNA, e che quindi la
poliploidizzazione in generale precede la differenziazione citoplasmatica (Queisser).
Secondo Penington, la differenziazione citoplasmatica non sarebbe in particolare
connessa con il grado di ploidia cellulare, bensì con il numero e l'entità delle
membrane di demarcazione contenute nel citoplasma cellulare.
I megacariociti maturi sono elementi poliploidi: in condizioni normali circa i
due terzi hanno un corredo di DNA 16 nuclei, un sesto circa un corredo 8 nuclei
ed un altro sesto circa 32 nuclei.
La formazione di piastrine è morfologicamente documentabile sin dallo stadio III
di maturazione dei megacariociti in corrispondenza di zone citoplasmatiche ben
delimitate dal sistema delle membrane di demarcazione (''zone piastriniche
preformate'').
Il passaggio in circolo delle piastrine si effettua ad opera di proiezioni
citoplasmatiche dei megacariociti in posizione parasinusoidale che protrudono
attraverso l'endotelio dei sinusoidi stessi e danno luogo alla formazione di
frammenti che preludono alla liberazione di singole piastrine nel sangue
periferico.
Le piastrine sono i più piccoli fra gli elementi formati del sangue: sui
preparati colorati col May-Grùnwald-Giemsa appaiono come corpiciattoli rotondi
od ovali del diametro di 2-5 micron. In tali condizioni si puņ distinguere nelle
piastrine una zona periferica omogenea debolmente colorata in azzurro (ialomero)
ed una parte granulare, intensamente colorata in violetto (cromomero o
granulomero). Le piastrine intervengono attivamente nei processi emostatici
grazie alla loro proprietà di aderire alle fibre collagene del tessuto
sottoendoteliale e di aggregarsi quindi in corrispondenza della breccia vasale
dando origine al cosiddetto trombo bianco o piastrinico. Questi elementi
contribuiscono ulteriormente all'emostasi liberando fattori piastrinici della
coagulazione e sostanze vasocostrittrici: sono inoltre indispensabili per la
retrazione del coagulo. Durante l'aggregazione le piastrine vanno incontro a
modificazioni di forma (passaggio dalla forma discoidale a quella sferica,
addensamento dei granuli al centro, emissione di pseudopodi), note in passato
come ''metamorfosi viscose'' delle piastrine.
Al microscopio elettronico le piastrine appaiono provviste di una distinta
membrana all'esterno della quale si trova uno strato amorfo: a questo strato
aderirebbero fattori plasmatici della coagulazione. Immediatamente al di sotto
della membrana si trova un sistema di fibre e di microtubuli che gioca un ruolo
nel mantenimento della forma discoidale e nell'espletamento delle funzioni
contrattili delle piastrine. Nello ialoplasma si trovano numerosi organuli
(mitocondri; lisosomi; granuli contenenti serotonina, catecolamine, fattori
piastrinici della coagulazione, nucleotidi; occasionalmente ribosomi e
siderosomi). Nelle piastrine si trovano inoltre residui dell'apparato del Golgi,
particelle di glicogeno, inclusioni lipidiche, vacuoli e vescicole. Nello
ialoplasma sono presenti fibrille, che si ritengono corrispondere alla proteina
contrattile delle piastrine, la trombostenina.