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La definizione di diabete

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Definizione di laboratorio

Per dare una definizione diagnostica, cioè di laboratorio, l' A.D.A., American Diabetes Association, cioè una commissione di esperti diabetologi, scelse nel 1997 nuovi criteri per classificare il diabete, che si fondavano su osservazioni di ordine pratico ed avevano lo scopo di attuare prevenzione. In pratica essi apportarono queste modifiche i vecchi concetti:

abbandono, per il diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2, dei termini insulino e non insulino-dipendente (che sapevano di droga, tant'è che i pazienti pure oggi se sentono parlare di insulina collegano l'idea della insulina alla dipendenza e la rifiutano) e dei loro acronomi IDDM e NIDDM, termini che erano legati a criteri terapeutici e fonte di confusione;

- scelsero numeri arabi per definire il Tipo "1" e Tipo "2";

- definirono chiaramente il Diabete Tipo 2, quello nel quale vi era resistenza periferica all'insulina, cioè oltre che deficit di insulina, anche azione periferica inadeguata, appunto per il fenomeno de "l'insulinoresistenza";

- mantennero la dizione di "Ridotta Tolleranza Glucidica (Impaired Glucose Tolerance=IGT), diagnosi eseguita con la prova da carico Orale di glucosio (OGTT), ma introdussero una nuova categoria di pazienti, quelli con "Alterata Glicemia a Digiuno", cioè "Imparied Fasting Glucose=IFG", classe di soggetti veramente interessanti, su cui si deve investire energie preventive! Infatti se seguiti dal medico essi potranno rallentare la loro corso verso la malattia diabetica conclamata! Infatti si cerca, così facendo,  di superare i vecchi concetti diagnostici  nell'intento di abbassare la soglia epidemiologica di classificazione dei soggetti diabetici, per intervenire prima e meglio ed, in un certo senso, per eliminare il fastidio della "curva da carico", cioè l'esame da carico di glucoso per os, che non è facilmente standardizzabile nei laboratori.

- I pazienti affetti da LADA sono pazienti affetti da diabete tipo 2 che virano verso una forma di diabete che ricorda il tipo1; essi dapprima rispondono bene alla dietoterapia, ma presto diventano insulinodipendenti e possono andare incontro a chetoacidosi, caratteristica questa che è una prerogativa dedei soggetti con tipo 1; se si dosa il peptide C hanno livelli < 1 ng/ml, che è il valore soglia per definire il paziente con diabete insulinodipendente. Nello studio UKPDS essi passano nel giro di tre anni alla dipendenza da insulina. Hanno ICA positivi ed anche anticorpi anti insula ed anti-GAD. Il MODY, tipizzato con le tecniche di biologia molecolare è il diabete simile a quello della maturità che insorge nel giovane; tutti i Mody hanno una ridotta secrezione insulinica nel giovane.

Come approcciare il paziente diabetico.

Allora,  qual'è la correlazione tra valori della glicemia  e diabete (cfr diabete  diagnosi)?

Con i nuovi criteri (linee guida 2011 AMD_SID_SIMMG_2011 ) si  definisce diabetico un soggetto che:

CRITERI DIAGNOSTICI

In assenza dei sintomi tipici della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni di:

glicemia a digiuno > 126 mg/dl (con dosaggio su prelievo eseguito al mattino, alle ore 8 circa, dopo almeno 8 ore di digiuno)

oppure

glicemia > 200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio eseguito con 75 g (Oral Glucose Tolerance Test, OGTT)

• in entrambi i casi da confermare con un secondo test.

oppure

HbA1c > 6,5% (solo con dosaggio standardizzato).

Le seguenti condizioni rendono problematica l'interpretazione del valore di HbA1c: diabete tipo 1 in rapida evoluzione, gravidanza, emoglobinopatie, malaria, anemia cronica, anemia emolitica, recente emorragia, recente trasfusione, splenectomia, uremia, marcata iperbilirubinemia, marcata ipertrigliceridemia, marcata leucocitosi, alcolismo.

L'HbA1c sembra essere un parametro più affidabile e raccomandabile rispetto alla glicemia per i seguenti motivi: a) ha una migliore standardizzazione del dosaggio (se allineato con DCCT/UKPDS); b) è espressione della glicemia media di un lungo periodo e non di un singolo momento; c) ha una minore variabilità biologica; d) ha una minore instabilità pre‑analitica; e) non necessita di un prelievo dopo 8 ore di digiuno o di un prelievo dopo carico di glucosio orale; f) non soffre di alcuna influenza da parte di perturbazioni acute (es. stress da prelievo); g) è lo stesso parametro usato per il monitoraggio clinico del diabete. In presenza di sintomi tipici della malattia, la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, anche in una sola occasione di:

glicemia casuale >200 mg/dl (indipendentemente dall'assunzione di cibo).

Standard italiani per la cura del diabete mellito tipo 2

Ai fini diagnostici e di screening la misurazione della glicemia deve essere effettuata su plasma venoso. L'uso del glucometro è consigliato solo come pre‑screening.

I seguenti valori dei principali parametri glicemici sono meritevoli di attenzione in quanto identificano soggetti a rischio di DMT2 e con una maggior rischio di malattie cardiovascolari. In questi casi comunque è bene evitare il termine pre‑diabete:

• glicemia a digiuno 100‑125 mg/dl (alterata glicemia a digiuno o Impaired Fasting Glucose, IFG)

• glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio 140‑199 mg/dl (ridotta tolleranza ai carboidrati o Impaired Glucose Tolerance, IGT)

• HbA1c 6,00‑6,49% (solo con dosaggio allineato con il metodo DCCT/UKPDS).

Ve lo rispieghiamo con una tabella, dove sono riportati i criteri ADA (American Diabetes Assiociation) ed OMS (Organizzazione Mondiale Sanità).

Spiegazione pratica.

Viene ancora introdotto dall'A.D.A. una nuova definizione circa il concetto della Alterata Glicemia a digiuno, IFG. Che significa? Prima si definiva Ridotta Tolleranza ai carboidrati quella situazione borderline che presentavano i soggetti a rischio di sviluppare il diabete, i quali, dall'esame della curva da carico, risultavano avere glicemie a 2 ore dal carico orale (OGTT) comprese tra 140 -200 mg/dl. Gli Americani, invece, hanno stressano questo concetto ed introdotto quello di IFG (alterata Glicemia a digiuno), cioè una definizione a cui si giunge senza la prova della curva da carico, con l'intento di stabilire, a priori, che si tratta di soggetti a rischio di diabete i soggetti con glicemia a digiuno compresa tra 110 mg/dl e 125 mg/dl! E se ciò può andare bene dal punto di vista epidemiologico per la prevenzione, non siamo d'accordo dal punto di vista clinico, perché non c'è corrispondenza esatta tra i soggetti che alla curva da carico hanno glicemia a 2 ore comprese tra 140 e 200 mg/dl ed i soggetti con IFG che hanno glicemie di 110-125 mg/dl, perchè gli individui nei due gruppi coincidono  solo nel 12% dei casi. Cioè può accadere che dopo carico orale con glucosio tiriamo fuori altri soggetti diabetici, che con la sola IFG non vengono fuori dalla cernita! In altre parole, tra i soggetti che hanno prova da carico orale (OGTT) alterata con valori a 2 ore > a 140 mg/dl., solo per un 1/4 dei casi hanno glicemie a digiuno tra 110 e 125 mg%.  La S.I.D., Società Italiana di Diabetologia, dopo ampia discussione e disamina delle varie ipotesi diagnostiche ha preso queste decisioni finali:

- La soglia glicemica a digiuno per porre diagnosi di diabete è giusto che venga abbassata da 140 mg% ai 126 mg%, per farvi rientrare un numero maggiore di soggetti;

- La categoria dei soggetti IFG va mantenuta;

- Nei soggetti con glicemie basali tra 110 e 125 mg%, etichettabili come IFG, va sempre eseguito un OGTT;

- L'OGTT, che è un'indagine laboriosa, può essere ridotta a 2 prelievi, a digiuno e 2 ore dopo carico con 75 grammi di glucosio;

- La categoria IFG è distinta da quella IGT; infatti il rischio di sviluppare diabete è 6 volte maggiore nei soggetti che, sottoposti a prova da carico, hanno presentato valori alterati a digiuno e due ore dopo, con rischio cardiovascolare RR 3,31 più sensibile rispetto a gruppi saggiati solo con la glicemia a digiuno (RR 1,75 e 1,67)

- La glicemia a digiuno va sempre ripetuta nei soggetti con età > 45 anni.

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