Per approfondire
Premesso che oggi, 2020, non tutti i batteri sono nocivi, che esiste un microbiota intestinale che collabora con noi, che il futuro della terapia per le malattie infiammatorie intestinali prevede l'impiego di batteri utili, che i batteri sono talori amici e collaboranti col nostro sistema immunitario, che lo tengono sveglio, per cos' dire, vediamo quando, come e perchè scegliere un antibiotico.
E' pur vero che altri
batteri vanno combattuti in maniera mirata, oggi che gli antibiotici sono meno efficaci
(cfr batteri anaerobi)
La scelta del chemioterapico da utilizzare nel singolo caso costituisce uno dei compiti più difficili
ed impegnativi che si presentano quotidianamente al medico. Per compierla, è fondamentale
conoscere perfettamente le caratteristiche dei farmaci tra i quali si deve scegliere,
ma non basta: un bravo terapeuta deve essere, ovviamente e necessariamente, anche
un bravo diagnosta.
Una tale scelta presuppone infatti la formulazione di
una diagnosi, diagnosi che, se si eccettuano alcune definite evenienze, non
potrà essere eziologica, ma che già all'inizio dovrà essere almeno una diagnosi
di infezione, e batterica in particolare. Questo concetto potrebbe apparire ovvio
e banale, ma certamente non lo è: basti infatti pensare, in base alla comune esperienza,
a quanto purtroppo sia frequente che, di fronte ad un episodio febbrile, una terapia
antibiotica venga attuata alla cieca, senza che preventivamente sia stata posta
neanche una diagnosi di infezione (ed a questo proposito giova richiamare anche
la nozione elementare che " febbre " non significa necessariamente " infezione").
Quasi che il chemioterapico sia un rimedio onnipotente e che, nel contempo, lo si
possa utilizzare con criteri analoghi a quelli con cui si prescrive un antipiretico.
Quindi, prima di pensare all'impiego di un qualunque farmaco antibatterico, è necessario
sospettare fondatamente che il quadro clinico osservato sia dovuto ad una infezione
batterica.
Una diagnosi generica di processo infettivo batterico in atto dovrà basarsi su criteri anamnestici, epidemiologici, clinici ed eventualmente laboratoristici. Successivamente, una volta diagnosticata una infezione batterica, diviene necessario pervenire ad una diagnosi più precisa, che in alcuni particolari e fortunati casi sarà clinicoeziologica (come, ad esempio, nella scarlattina, nella malattia reumatica, nella glomerulonefrite acuta, nella lue primaria, nella difterite, ecc.), ma che in ogni caso dovrà essere, quanto meno, una diagnosi di localizzazione, vale a dire una più precisa diagnosi di sede dell'infezione; solo così sarà possibile procedere ad una terapia antibiotica razionale, che, a seconda dei casi, potrà essere mirata ovvero, nell'ipotesi meno favorevole, ragionata.
La diagnosi di localizzazione dell'infezione
è dunque indispensabile per programmare la terapia: in quella mirata per
determinare in quali distretti e con quali tecniche procedere ai prelievi batteriologici;
in quella ragionata per consentire di ipotizzare, il più attendibilmente
possibile, quali germi possano essere in causa, in quel certo distretto anatomico
o in quella particolare patologia, sulla base delle statistiche di ordine batteriologico.
Ove si giunga a formulare un giudizio di probabilità eziologica, sarà poi possibile
porre in essere una sorta di antibiogramma mentale sui generi potenzialmente in
causa in base alle conoscenze più aggiornate circa la loro sensibilità ai vari chemioterapici.
Al riguardo, è importante precisare come una corretta chemioterapia debba essere impostata in ogni caso sull'impiego dell'antibiotico più selettivo e specifico possibile; in altri termini, anziché affidarsi sistematicamente ad un antibiotico ad ampio spettro, è bene utilizzare un farmaco a spettro selettivo nei confronti dei possibili patogeni in causa, rispettando così gli ecosistemi batterici non implicati nel processo infettivo.
Qualora non sia possibile, sulla base della
sintomatologia soggettiva ed obiettiva, porre una diagnosi di localizzazione dell'infezione
o una diagnosi specifica di malattia infettiva batterica, non si dovrebbe mai istituire
una terapia antibiotica, giacché questa, oltre a riuscire spesso inefficace (in
quanto attuata in modo empirico ed irrazionale), pregiudicherebbe la possibilità
di giungere successivamente ad una precisa diagnosi eziologica in ragione dell'effetto
negativo che anche un antibiotico inefficace può esercitare sullo sviluppo colturale
dei germi.
Comunque, ove la gravità del caso consigli l'attuazione di una terapia
antibiotica, che sarà peraltro lo ripetiamo necessariamente empirica, prima
di iniziare tale terapia è necessario eseguire ripetuti esami colturali (emocoltura
in diversi terreni e, quando si tratti di lattanti, anche una liquorcoltura). Dopo
queste premesse di ordine generale, prendiamo in esame le possibilità pratiche di
attuazione di una terapia antibiotica.
L'esecuzione di una terapia mirata rappresenta il primo scopo che il medico deve perseguire di fronte ad una malattia infettiva in atto. .Infatti, salvo casi particolari, è solo la terapia mirata che permette di raggiungere, e tuttavia non sempre, i migliori risultati terapeutici. I casi particolari cui si è fatto cenno sono quelli in cui diagnosi di malattia significa diagnosi eziologica; e diagnosi eziologica significa scelta obbligata e sicura del chemioterapico da usare. Purtroppo, questi casi fortunati si stanno sempre più riducendo soprattutto per effetto dei fenomeni di resistenza batterica ai chemioterapici, ma esistono e devono essere conosciuti dal medico.
Così una diagnosi, peraltro facile, di scarlattina, di lue primaria o di carbonchio comporta una terapia penicillinica; una diagnosi di febbre tifoide (ma non di gastroenterite da Salmonella) una terapia con cloramfenicolo; una diagnosi di brucellosi una terapia con tetracicline o con rifampicina, ecc. Al di fuori di questi fortunati e rari casi, la terapia dovrebbe sempre essere mirata, perlomeno in campo ospedaliero.
Per poter condurre una terapia mirata è però indispensabile
l'isolamento e l'identificazione del microrganismo patogeno e quindi l'esecuzione
di prove colturali su prelievi batteriologici significativi. Questi prelievi saranno
eseguiti nel distretto anatomico interessato o, in assenza di segni di localizzazione,
si procederà, come già ricordato, all'esecuzione di ripetute emocolture,
eventualmente seguite da esami colturali (cfr
emocoltura)
di altri campioni facilmente ottenibili (cfr
prelievo muco).
Pertanto, una prima fondamentale condizione ai fini di una corretta terapia mirata
è rappresentata da un appropriato prelievo batteriologico.
A questo proposito
è opportuno sottolineare come debba essere sempre il medico curante ad eseguire
sterilmente sia il prelievo del campione, sia la semina del materiale prelevato
in un ricco terreno nutritivo che permetta la crescita anche dei batteri più esigenti;
ciò per evitare possibili inquinamenti o la morte di microrganismi particolarmente
labili o esigenti.
è altresì da ricordare come il medico curante debba eseguire tutte le possibili colture batteriologiche in occasione di qualunque manovra diagnostica egli esegua in un paziente infettivo (una liquorcoltura in occasione di un prelievo diagnostico di liquido cefalorachidiano, una coltura dell'essudato pleurico durante una toracentesi, ecc.). Il materiale così sterilmente prelevato, oppure il materiale già seminato nei più comuni terreni di coltura (brodo per emocoltura, ad esempio), sarà poi celermente inviato al laboratorio, che provvedere ad allestire tutte le colture ritenute utili anche sulla base della diagnosi clinica presunta o del tipo di infezione sospettata, che il medico curante avrà sempre cura di comunicare al batteriologo. Molto importante nel guidare inizialmente una terapia antibiotica può essere un esame microscopico diretto del materiale prelevato (del liquor o del secreto uretrale, ad esempio).
Antibioticoterapia
altri link in tema:
la terapia antibiotica mirataIl campione prelevato sarà attendibile per un esame colturale in primo luogo
se proviene da una sede normalmente sterile (sangue, liquor, liquido pleurico, materiale
prelevato da paracentesi auricolare o da puntura di un linfonodo, liquido articolare,
ecc.). Infatti in questi casi, se il prelievo è stato eseguito sterilmente e non
vi è il sospetto di un inquinamento, lo sviluppo di un qualunque microrganismo sarà
significativo e su questo germe andrà allestito immediatamente l'antibiogramma.
Quando invece si tratti di un prelievo eseguito in sedi normalmente non sterili,
il discorso è più complesso. In alcuni casi è importante quantificare i germi isolati
(ad esempio, nelle urine o nella bile), mentre in altri è opportuno valutare quali
germi vengono isolati, spesso mediante il ricorso a terreni selettivi in grado di
discriminare le specie patogene nell'ambito della flora saprofitica.
Così, ad esempio, è significativo isolare un germe patogeno dalle feci o dal liquido
di lavaggio faringeo o anche dalle vie urinarie; mentre è indispensabile isolare
un certo numero di colonie di germi non obbligatoriamente patogeni dalla bile (oltre
500.000 colonie/ml) o dalle urine (oltre 100.000 colonie/ml) per poter valutare
positivamente un reperto colturale e su questo eseguire quindi l'antibiogramma.
Sul germe "significativo" isolato si esegue l'antibiogramma. Sono state proposte
varie tecniche per valutare la sensibilità in vitro di un agente patogeno ai chemioterapici;
tuttavia, schematicamente, è possibile ricondurle a due metodi fondamentali: il
metodo delle diluizioni progressive ed il metodo della diffusione in agar.
Metodo delle diluizioni progressive
Questo è un metodo quantitativo che valuta la capacità di un antibiotico di
inibire o meno a varie diluizioni la crescita del microrganismo in esame. La sensibilità
del microrganismo all'antibiotico viene determinata in base alla presenza o meno
di crescita batterica alle varie concentrazioni di antibiotico. Con questo metodo
è possibile valutare sia la MIC (minima concentrazione inibente, cioè la
più bassa concentrazione di antibiotico in grado di determinare l'inibizione della
crescita di un microrganismo), sia la MBC (minima concentrazione battericida,
cioè la minima quantità di farmaco che distrugge la totalità dei microrganismi della
specie in esame). La prova può essere eseguita in terreno liquido (diluizioni in
serie in provette) o solido (diluizioni in serie in piastre).
Questo metodo di determinazione della sensibilità batterica agli antibiotici è molto
preciso e valido, ma di difficile attuazione pratica sia perché lungo e costoso,
sia perché influenzato da numerosi fattori (tipo di terreno impiegato, dimensioni
dell'inoculo batterico, velocità di crescita del microrganismo, periodo di incubazione
delle colture, stabilità degli antibiotici saggiati). Peraltro, sono attualmente
disponibili apparecchi automatici in grado di eseguire queste determinazioni, le
quali tuttavia non sono sempre molto attendibili e corrispondenti a quelle ottenute
con le metodiche tradizionali. Nella pratica corrente l'impiego del metodo delle
diluizioni progressive è limitato ai casi in cui è necessario valutare non solo
la concentrazione minima inibente ma anche la concentrazione minima battericida,
per determinare, oltre alla scelta del farmaco, il dosaggio da impiegare (ad esempio,
nelle endocarditi batteriche); ai casi in cui la terapia mirata (basata sulle indicazioni
fornite dal più semplice metodo della diffusione in agar) non risulti clinicamente
efficace ab initio o divenga inefficace durante il trattamento verosimilmente per
la comparsa di una resistenza batterica acquisita; ai casi infine in cui si debba
determinare la sensibilità di microrganismi che crescono lentamicrorganismi anaerobi.
Metodo della diffusione in agar
Questo metodo valuta la capacità di inibire la crescita di un microrganismo
seminato in piastre di agar da parte di antibiotici contenuti in dischi. Si tratta
di una determinazione di sensibilità essenzialmente qualitativa, valida per microrganismi
aerobi a rapida crescita. La piastra viene incubata per alcune ore (in genere una
notte) ed è successivamente esaminata: se il microrganismo è sensibile, attorno
al disco contenente lantibiotico si osserverà un alone di inibizione della crescita
del microrganismo stesso; se invece è resistente, si osserverà il normale sviluppo
del germe in esame sia attorno che sotto al disco. Si tratta di un metodo semplice,
rapido ed economico, che rappresenta il ' procedimento più comunemente usato in
laboratorio per determinare la sensibilità dei microrganismi agli antibiotici. Anch'esso
tuttavia risente di numerose variabili, che possono influenzare le dimensioni dell'alone
di inibizione e quindi i risultati ottenuti. Queste sono:
il tipo e l'entità dell'inoculo batterico;
la composizione ed il pH del terreno;
la quantità di antibiotico presente nel disco;
il periodo ed il tipo di incubazione;
la velocità di diffusione del chemioterapico.
La maggior parte di queste variabili è stata oggi standardizzata ed il metodo, correttamente
eseguito, è abbastanza attendibile e riproducibile.
Caratteristiche dell'inoculo batterico.
è fondamentale usare un inoculo standardizzato
di colture pure.
Caratteristiche del terreno. Si deve usare un terreno che permetta la rapida
crescita del microrganismo in esame, non inibisca l'antibiotico e non interferisca
con la sua diffusione. è preferibile far uso di un terreno solido standard, come
l'agartripticasesojaBBL o il MuellerHinton.
Caratteristiche del disco. Esistono dischi con alte concentrazioni e dischi
con basse concentrazioni di antibiotico, già opportunamente predisposti per ogni
singolo antibiotico: concentrazioni che sono in genere in relazione con le concentrazioni
terapeutiche ottenibili nel siero.
Caratteristiche dell'incubazione. Questa deve iniziare entro 30' dalla deposizione
dei dischi sulla piastra, realizzarsi ad una temperatura di 35-37°C e durare non
oltre 1618 ore.
Diffusibilità dei chemioterapici. La lettura dei risultati consiste nella
misurazione dell'alone di inibizione della crescita batterica attorno al disco.
Le dimensioni dell'alone di inibizione sono proporzionali sia alla sensibilità del
germe che alla diffusibilità del chemioterapico. Per tale ragione non è possibile
paragonare tra loro gli aloni di inibizione di due diversi antibiotici, specialmente
se appartenenti a famiglie differenti: è possibile infatti che un farmaco che determina
un alone di inibizione più piccolo sia più efficace di un antibiotico in grado di
determinare un alone più grande; quest'ultimo cioè potrebbe essere un antibiotico
che, diffondendo meglio e più rapidamente, induce una più accentuata inibizione
non in virtù di una sua maggiore attività antibatterica intrinseca ma solo in conseguenza
di una sua più alta concentrazione a maggiori distanze dal disco. Numerose sono
le tecniche proposte per realizzare il metodo della diffusione in agar. Non è possibile
né giustificato in questa sede ricordarle tutte e si rimanda per maggiori dettagli
ai testi di microbiologia. Ci limiteremo a descrivere qui la metodica che, anche
per esperienza personale, ci sembra oggi la più consigliabile: quella di KirbyBauer.
In essa le variabili prima ricordate sono quasi tutte standardizzate. Il terreno
da usarsi è l'agar MuellerHinton; l'inoculo batterico deve essere standardizzato
e strisciato con tampone di cotone; i dischi vanno applicati con un distributore
automatico e si deve utilizzare un solo disco a potenza elevata per ogni antibiotico
saggiato; il periodo di incubazione è di poche ore (1618). Eseguendo accuratamente
questa metodica, rimane una sola variabile non standardizzata né standardizzabile:
la diffusibilità dei singoli chemioterapici. Gli Autori del metodo hanno pertanto
predisposto opportune tabelle che permettono di valutare la significatività dell'alone
di inibizione di ogni antibiotico sulla base sia della sua diffusibilità, sia, per
alcuni di essi, anche del tipo di germe in causa. è così possibile osservare come
per antibiotici dotati di scarsa diffusibilità (aminoglucosidi, polimixine) possa
considerarsi sufficiente un alone di inibizione di 13 mm, mentre per antibiotici
dotati di buona diffusibilità (betalattamine, tetracicline, cloramfenicolo) siano
necessari aloni di almeno 1820 mm. Kirby e Bauer hanno altresì approntato tabelle
che permettono di risalire, dall'alone di inibizione ottenuto per ogni antibiotico,
alla MIC del farmaco stesso.
La lettura e l'interpretazione dei dati forniti dall'antibiogramma sono in genere
eseguiti dal microbiologo sulla base dei criteri finora esposti. Spetta però al
medico curante la scelta dell'antibiotico da usare. Se il chemioterapico attivo
in vitro è uno solo, la scelta appare pressoché obbligata. Sarà tuttavia necessario
utilizzare appropriatamente il farmaco in questione sia come dosaggio, sia come
via e ritmo di somministrazione non solo in rapporto al tipo di infezione da trattare
ed alla sua localizzazione ma anche alle condizioni di base del paziente (età, integrità
delle difese specifiche ed aspecifiche, funzionalità degli emuntori, coesistenza
di altra patologia non infettiva, ecc.). A volte, quando il chemioterapico attivo
in vitro è uno solo, il suggerimento dell'antibiogramma può non essere seguito ove
le caratteristiche farmacocinetiche dell'antibiotico siano sfavorevoli in relazione
alla localizzazione del processo infettivo da trattare. Se invece i chemioterapici
attivi in vitro sono più d'uno, è possibile veramente effettuare una scelta. In
primo luogo occorre tenere in considerazione la sede dell'infezione da trattare
e la cinetica del farmaco da impiegare: si preferirà così, ad esempio, il cloramfenicolo
ad un aminoglucoside nella terapia di una meningite, per la migliore cinetica liquorale
del primo. Inoltre, in linea di massima è preferibile usare il farmaco meno tossico
(per quel particolare paziente), a spettro più limitato (per prevenire fenomeni
di resistenza) e meno costoso.
Abbiamo detto che la terapia mirata dovrebbe essere la regola in ambiente ospedaliero:
questo è vero solo in parte, giacché esistono condizioni in cui la terapia mirata
è superflua oppure impossibile. A parte infatti i casi fortunati già ricordati in
cui la diagnosi clinica condiziona la terapia (nella scarlattina, ad esempio), o
i casi in cui la diagnosi batteriologica o sierologica può rendere inutile l'esecuzione
dell'antibiogramma per la prevedibilità della risposta terapeutica (isolamento di
streptococchi betaemolitici o di pneumococchi, per ora da noi quasi sempre sensibili
alla benzilpenicillina; isolamento di B. pertussis, sensibile al cloramfenicolo
ed alla streptomicina; diagnosi di brucellosi o di rickettsiosi, responsive alle
tetracicline, ecc.), vi sono casi in cui l'esecuzione della terapia mirata non è
possibile. Intendiamo qui riferirci a quei casi in cui le prove colturali sono tutte
negative (spesso per un'indiscriminata terapia antibiotica condotta a domicilio),
a quelli in cui l'esecuzione degli esami colturali è molto lunga (ad esempio, nella
malattia tubercolare), a quelli in cui difficoltà tecniche del prelievo possono
non permettere l'esecuzione di prove batteriologicamente attendibili (infezioni
delle basse vie respiratorie in età pediatrica) ed ancora a quelli in cui, per le
gravi condizioni del paziente, non si possono attendere le risposte degli esami
colturali e si deve condurre in ogni caso una terapia antibiotica. Ecco quindi che
anche a livello ospedaliero è necessario a volte condurre una terapia non mirata,
alla stregua di quanto avviene, ma non sempre, a domicilio. In queste condizioni
la terapia antibiotica dovrà però essere almeno ragionata, per poter essere razionale.
Come già ricordato, in casi del genere è fondamentale formulare una diagnosi o un
motivato sospetto diagnostico: non si deve infatti attuare una terapia antibiotica
indiscriminata, bensì almeno localizzare la sede dell'infezione ed ipotizzare i
microrganismi in causa. Tali indicazioni sono valide per tutti i pazienti, ad eccezione
del neonato e dell'ospite indifeso (o compromesso), nei quali la terapia antibiotica,
anche ragionata, dovrà avvalersi di criteri particolari, che saranno esposti nei
relativi capitoli. Al di fuori di queste due condizioni, il generico e semplicistico
uso di un antibiotico a largo spettro è quanto di più errato si possa fare: innanzi
tutto perché, per effetto dei fenomeni di resistenza batterica, riconducibili soprattutto
all'uso indiscriminato di questi antibiotici, è difficile oggi definire a priori
se un antibiotico a largo spettro è sempre attivo nell'infezione che ci apprestiamo
a trattare; ed in secondo luogo perché le conoscenze di farmacocinetica, su cui
ci siamo già soffermati, insegnano come esistano antibiotici diversamente impiegabili
a seconda del distretto anatomico da raggiungere e come quindi non basti l'ombrello
dell'ampio spettro per colpire tutti i germi in qualunque sede si trovino, se il
farmaco non giunge nel distretto interessato alle concentrazioni opportune. è dunque
fondamentale una diagnosi di localizzazione del processo infettivo: solo così, sulla
base delle conoscenze fornite dalle statistiche batteriologiche circa i microrganismi
più frequentemente in causa nella patologia di quel particolare distretto e la loro
sensibilità, sarà possibile arrivare ad una scelta ragionata del farmaco da impiegare.
Alla luce di queste considerazioni, nelle infezioni delle alte vie respiratorie
(faringiti, tonsilliti, ma non infezioni dell'orecchio medio, nelle quali sono indicate
o un'aminopenicillina o una cefalosporina orale o il cotrimossazolo. farmaci molto
attivi su H. influenzae, spesso eziologicamente in causa a questo livello) è opportuno
impiegare una penicillina (la penicillina G, la benzatinpenicillina o l'azidocillina)
o un macrolide, essendo in causa generalmente, se l'infezione è di natura batterica,
un microrganismo Grampositivo (per lo più streptococco o stafilococco). Nelle infezioni
delle basse vie respiratorie, con quadro clinico di polmonite alveolare, nelle quali
sono più spesso in causa germi Gramnegativi (H. influenzae e K. pneumoniae)
o lo pneumococco, appare giustificato, anche sulla base della cinetica, l'impiego
di una penicillina semisintetica (aminopenicillina o ureidopenicillina), o di una
cefalosporina recente a spettro classico, o di un aminoglucoside. La diagnosi di
distretto, inoltre, ci permetterà anche di scegliere il chemioterapico sulla base
della sua cinetica e della sua distribuzione nella sede dell'infezione. Nelle infezioni
biliari, ad esempio, si userà un farmaco che possegga uno spettro appropriato alla
flora più facilmente in causa nelle colangiti e che venga eliminato per via biliare
(una ureidopenicillina o alcune cefalosporine, come cefoperazone o cefamandolo).
Così, nelle osteomieliti si userà la lincomicina o la rifampicina o l'aztreonam,
che si concentrano nell'osso. Nel caso invece di una sospetta meningite batterica,
si impiegheranno il cloramfenicolo o il cotrimossazolo ed una penicillina semisintetica
o una cefalosporina recente, che sono in grado di attraversare la barriera ematoliquorale.
Vi sono solo due categorie di condizioni in cui la terapia, per essere razionale,
deve essere sempre mirata: le gravi infezioni urinarie (pielonefriti) e le sepsi.
le forme minori (come la cistite, nella quale è utile l'impiego di un antisettico
urinario), la terapia venga attuata sulla base dell'antibiogramma, per non incorrere
in frequenti risultati terapeutici negativi. Lo stesso discorso vale per le sepsi,
nelle quali non è possibile ipotizzare a priori il germe in causa. Tuttavia, nella
terapia delle sepsi, a differenza di quanto avviene nel trattamento delle infezioni
urinarie anche gravi, nelle 4872 ore che necessariamente intercorrono tra l'esecuzione
delle prove colturali e la risposta dell'antibiogramma è indispensabile iniziare
una terapia: nella scelta allora ci soccorreranno le statistiche batteriologiche
(relative anche alla sensibilità dei patogeni agli antibiotici); tali statistiche
dovranno però essere locali ed attuali, in quanto l'incidenza dei vari microrganismi
e la loro sensibilità agli antibiotici cambiano nel tempo e sono differenti da un
luogo all'altro. Ecco quindi un'altra valida ragione per eseguire sempre gli esami
colturali ed i relativi antibiogrammi: poter disporre di statistiche batteriologiche
locali sempre aggiornate. In linea generale, nelle sepsi è utile impiegare, in attesa
dei risultati dell'antibiogramma, un aminoglucoside recente [in grado di dare garanzie
di copertura nei confronti dei Gramnegativi aerobi, anche opportunisti, e degli
stafilococchi, anche di quelli meticillinoresistenti (è il caso della netilmicina)]
o l'aztreonam (provvisto di attività antibatterica molto intensa su Gramnegativi
anche problematici) ed una ureidopenicillina o una cefalosporina recente a spettro
allargato (in grado di dare garanzie di copertura nei confronti sia di stafilococchi,
sia di Gramnegativi, anche opportunisti, sia infine di anaerobi Grampositivi e
Gramnegativi). La terapia ragionata, condotta secondo i dettami ora enunciati,
non sarà certamente sempre valida ed efficace; sarà tuttavia almeno sufficientemente
fondata e non aleatoria, inutile e soprattutto ecologicamente dannosa, come è stato
ed è invece l'impiego indiscriminato dei farmaci antibatterici.
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