appunti del dott. Claudio Italiano
cfr anche > il paziente malato di fegato
La cirrosi epatica è una malattia a decorso cronico progressivo, che interessa diffusamente il parenchima epatico con comparsa di fenomeni necrotici e rigenerativi, e nella quale la fibrosi è causa di sovvertimento architetturale e di alterazioni della vascolarizzazione. Diversi ne sono i fattori etiologici. Oggi che esiste la cura per le epatiti virali, almeno nei paesi dell'occidente, se si escludono i tossicodipendenti, è difficile trovare pazienti con cirrosi per pregresse epatiti virali croniche. Viceversa è facile imbattersi in pazienti alcolizzati, con fegato in fase di cirrosi e di scompenso ascitico, per lo meno nella pratica clinica, cioè un fegato distrutto dall'impiego dell'alcol che è causa di epatite alcolica ed infine di trasformazione in cirrosi. Altre cause sono determinate dal contatto con sostanze tossiche, specie nei lavoratori dell'industria. Infine altre cause sono il M. di Wilson e l'emocromatosi. Qui parliamo del danno epatico rappresentato dalla cirrosi e di come esso si determina.
Nella definizione formulata da un Comitato della W.H.O. (Anthony e coli. 1977)
la cirrosi viene definita come "un processo diffuso, caratterizzato da fibrosi e
da conversione dalla normale architettura in noduli strutturalmente abnormi". In
questa definizione vengono presi in considerazione gli elementi essenziali per
la diagnosi bioptica di cirrosi (il carattere diffuso delle lesioni, la fibrosi
ed i noduli), mentre non compaiono altri elementi importanti, quali la necrosi,
la rigenerazione nodulare e la vascolarizzazione abnorme. Questi ultimi pur
facenti parte del processo cirrotico, tuttavia non sono di facile riscontro
nelle agobiopsie epatiche e pertanto non sono ritenuti indispensabili per la
diagnosi.
La definizione è utile per differenziare le vere cirrosi dalle numerose altre
epatopatie croniche che, pur presentando qualche carattere in comune con la
cirrosi, ne differiscono per altri, quali: l'iperplasia nodulare focale,
l'iperplasia nodulare diffusa senza cirrosi, la fibrosi epatica congenita, l'iperplasia
nodulare rigenerativa, le sclerosi epatiche di origine flogistica (tubercolare,
sarcoidea, brucellare, luetica), affezioni nelle quali la fibrosi, anche quando
molto estesa, non è mai tale da sovvertire l'architettura lobulare e dove
mancano di regola importanti focolai di rigenerazione epatocellulare.
Aspetto nodulare del parenchima epatico, sotto a maggiore ingrandimento, in azzurro i setti fibrosi |
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La cirrosi è una malattia dell'età media o avanzata, con un massimo di
frequenza tra i 50 e i 60 anni (nelle popolazioni africane ed asiatiche sono
invece maggiormente colpiti gli individui tra i 30 e i 40 anni). Raramente
colpita, almeno nei paesi occidentali, è l'età infantile, ove la cirrosi
epatica interviene non di rado sullo sfondo di un difetto metabolico
congenito.
Riguardo al sesso, nel complesso gli uomini sono colpiti con frequenza almeno
doppia rispetto alle donne, ma notevoli differenze esistono nelle diverse forme
di cirrosi. Ad esempio, nella cirrosi alcoolica il rapporto maschio-femmina
varia, secondo le statistiche, da 2 a 10:1, sebbene la frequenza nelle donne
appaia in aumento; la cirrosi emocromatosica predilige gli uomini con un
rapporto da 5 a 10:1; anche la cirrosi postepatitica prevale negli uomini. La
cirrosi biliare primitiva predomina invece nettamente nelle donne.
Non esiste attualmente una soddisfacente classificazione delle cirrosi, tuttavia
quella basata sull'etiologia è la più seguita.
L'etiologia della cirrosi varia sia geograficamente che socialmente; quella che
segue è la frequenza approssimativa delle categorie etiologiche in Occidente:
Epatopatia alcolica 60-70%
Epatite virale 10%
Malattie delle vie biliari 5-10%
Emocromatosi ereditaria 5%
Malattia di Wilson rara
Deficit di a-1-antitripsina rara
Cirrosi criptogenetica 10-15%
Il termine di cirrosi criptogenetica si riferisce a quei casi nei quali non è
possibile individuare una causa e la sua frequenza dimostra la difficoltà di
discernere le varie origini della cirrosi. Una volta che la cirrosi si sia
sviluppata, è spesso impossibile stabilire una diagnosi etiologica sulla base
dei soli dati morfologici.
Caratteri macroscopici. Il fegato cirrotico è per lo più ridotto di volume,
spesso in maniera più accentuata a carico del lobo sinistro (cirrosi atrofica);
ma esistono forme in cui il fegato è ingrandito potendo superare anche i 2 kg di
peso (cirrosi ipertrofica), in rapporto verosimilmente ad una maggiore
intensità dei fenomeni rigenerativi epa-tocellulari.
La superficie esterna presenta un aspetto granuloso per la presenza di noduli
rilevati di dimensioi variabili (Fig. 64). In rapporto alle dimensioni dei
noduli si distinguono 3 forme di cirrosi:
- Cirrosi micronodulare: i noduli sono di dimensione pressoché uniforme,
separati da setti fibrosi sottili, con diametro non superiore ai 3 mm. Sono micronodulari la maggior parte delle cirrosi alcooliche, la cirrosi
emocromatosica, la cir: infantile indiana, alcuni casi di cirrosi postepatica,
da stasi biliare cronica e da ostruzione ; deflusso venoso.
- Cirrosi macronodulare: i noduli sono di dimensione variabile con
diametro superiore a 3 mm, separati da larghi setti fibrosi irregolari. Non
sempre vi è una attendibile correlazione tra questo tipo di cirrosi con
l'etiologia. Di questo aspetto può essere la cirrosi che insorge su
epatite cronica virale o
autoimmune o la
cirrosi di Wilson, ma può essere macronodulare anche la cirrosi
emocromatosica ed alcoolica (soprattutto dopo la sospensione
dell'abuso di alcool).
- Cirrosi mista: quando macronoduli e micronoduli sono presenti
contemporaneamente.
La consistenza dell'organo in tutti i casi è molto aumentata, dura o anche
lignea. La superficie di sezione ripete l'aspetto nodulare della superficie
esterna; i noduli rilevati ed irregolarmente distribuiti, presentano un colorito
giallastro, per accumulo di lipidi, o giallo-verdastro per imbibizione biliare,
e sono separati da tralci fibrosi più o meno spessi e di colorito bianco
grigiastro.
Ad una visione d'insieme il reperto istologico fondamentale è rappresentato
dal sovvertimento della normale struttura lobulare, con spiccata
proliferazione del connettivo. In alcuni casi il quadro istologico può essere
indicativo di una particolare forma etiologica. Ciò può accadere nella cirrosi
che insorge su un'epatite virale B o C, nell'emocromatosi, nella malattia di
Wilson e nella deficienza di a-1- Antitripsina; anche la cirrosi alcolica e la
cirrosi biliare primitiva possono essere ragionevolmente sospettate all'esame
istologico. L'analisi delle alterazioni strutturali del parenchima epatico oltre
che suggerire un'ipotesi etiologica può essere indicativa dello stadio di
progressione della cirrosi.
Nella cirrosi micronodulare i setti fibrosi connettono i piccoli spazi
portali terminali alle venule epatiche dissecando l'acino in piccole aree
nodulari (noduli subacinari). In questi noduli sono assenti sia spazi
portali che venule epatiche terminali, che sono comprese invece nelle aree di
sclerosi. Allo scompaginamento e frammentazione degli acini si associano quindi
anche alterazioni della circolazione epatica con formazione di un flusso ematico
alternativo a quello dei sinusoidi, che avviene tramite le strutture vascolari
neoformate presenti nei setti. L'associazione, più o meno stretta della cirrosi
micronodulare con alcuni particolari agenti etiologici sembra spiegabile con la
distribuzione omogenea e diffusa del danno causato da agenti epatolesivi sulle
più piccole unità morfofunzionali acinari. Nell'epatopatia alcolica ad es. ogni
singolo acino subisce l'azione tossica dell'alcool e la fibrosi è distribuita
diffusamente attorno alle venule epatiche terminali e lungo gli spazi
perisinusoidali di Disse.
Nella cirrosi macronodulare, in seguito a fenomeni di necrosi confluente
irregolarmente distribuita negli acini, aree di parenchima a contorno irregolare
sono circondate da ampie bande di tessuto connettivo che si irradiano dalle zone
periportali e che contengono strutture vascolari arteriose, venose e linfatiche,
e spesso anche un infiltrato flogistico. All'interno dei noduli, la struttura
acinare appare distorta, ma non completamente sovvertita. Il macronodulo
può incorporare elementi dell'acino complesso o agglomerati di acini con spazi
portali e venule terminali, abnormemente avvicinati tra di loro. In alcuni casi
i macronoduli possono essere sepimentati in più piccole unità da parte di
sottili setti fibrosi, spesso incompleti, che uniscono gli spazi portali
terminali; ciò può verificarsi nelle epatiti croniche con marcata attività dove,
come esito finale, si può generare una cirrosi micronodulare piuttosto che
macronodulare. All'interno dei macronoduli attraverso i setti fibrovascolari si
verificano alterazioni del flusso ematico che possono comportare uno shunt
diretto intraepatico tra spazio portale e vena epatica terminale; dal punto di
vista emodinamico questo abnorme flusso è accentuato dal costituirsi di
anastomosi artero-venose che comportano un gradiente pressorio tale per cui il
sangue salta il sistema sinusoidale. Un altro elemento che comporta un'ulteriore
alterazione del flusso ematico è l'attività rigenerativa degli epatociti con
formazione di un'area di espansione all'interno dei noduli e compressione delle
lamine epatocitarie adiacenti e dei sinusoidi.
L'attività rigenerativa è responsabile della formazione di veri e propri noduli
di parenchima circondati da ampie bande fibrose contenenti spazi portali o dotti
biliari neoformati. Le lamine epatiche che costituiscono i noduli sono dello
spessore di due o anche di 3 cellule, non hanno orientamento radiato ma decorso
circolare senza rapporti con una vena centrolobulare. All'interno del nodulo
possono essere presenti spazi portali di piccole dimensioni, con duttuli
neoformati, ipoplasici e vene afferenti, senza tuttavia che queste strutture
abbiano ben definiti rapporti topografici fra di loro e con i sinusoidi; questi
ultimi inoltre spesso hanno pareti collabite e solo in parte assomigliano a
sinusoidi normali.
Un altro aspetto costante, ma non esclusivo della cirrosi, è la neoformazione
di dotti biliari.
Essa è documentata dalla presenza, nel contesto dei setti connettivali, di
numerosi cordoncini a decorso lungo, tortuoso e ramificato, rivestiti da
epitelio che delimita un lume per lo più virtuale.
L'infiltrazione flogistica è spesso presente, in forma più o meno cospicua, in
tutte le forme di cirrosi. Localizzata negli spazi portobiliari e nei setti
fibrosi, è costituita prevalentemente di linfociti, plasmacellule ed istiociti,
cui si associano talora scarsi granulociti neutrofili ed eosinofili. In genere
nella cirrosi alcolica la componente infiammatoria è meno cospicua nei confronti
della cirrosi postepatitica. Il termine di cirrosi attiva sta ad indicare la
presenza di necrosi "piecemeal" nell'interfaccia setto-parenchima.
Dal punto di vista anatomopatologico, a seconda dei meccanismi eziopatogenetici,
possiamo suddividere le cirrosi in :
- Cirrosi atrofiche, classicamente quella di Laennec, nell'alcolismo, in cui
prevale il meccanismo della fibrogenesi a quello della rigenerazione nodulare.
cirrosi atrofica dei bevitori o cirrosi volgare. Essa consiste in un processo a
decorso progressivo, che culmina nel rimpiccolimento o atrofia dell'organo, che
può perdere fino a quasi i due terzi del suo peso.
- Cirrosi ipertrofiche, in quelle forme in cui prevale il meccanismo della
rigenerazione
Vi sono altre forme di cirrosi, ugualmente produttrici d'ascite, sebbene meno
rapidamente e meno regolarmente, o talvolta decorrenti senza ascite, con sintomi
meno gravi d'insufficienza epatica e quindi di prognosi più benigna, nelle quali
il fegato rimane ipertrofico (cirrosi ipertrofiche semplici di Hanot e Gilbert).
Alcuni autori ammettono anche la cirrosi ipertrofica dispeptica (cirrosi di Budd),
dovuta cioè a sostanze tossiche, originate da alterazioni dei processi
digestivi. Va anche ricordata la forma di cirrosi grassosa ipertrofica maligna
di Hutinel e Sabourin, che si constata soprattutto nei soggetti tubercolosi, e
nella quale la malignità del processo è dovuta alle profonde alterazioni
degenerative del parenchima e quindi al grado spiccato d'insufficienza epatica.
Un'altra varietà è stata isolata da Gilbert, Garnier e Castaigne, sotto la
denominazione di cirrosi ipertrofica diffusa.
La cirrosi epatica è un processo dinamico che è determinato da una parte da
una progressiva fibrosi del parenchima epatico e dall'altra da una grave
distorsione della normale architettura lobulare per il sovvertimento del
parenchima in strutture nodulari costituite da epatociti. I processi principali
che, combinandosi fra di loro, sono responsabili della trasformazione cirrotica
del parechima epatico sono: la necrosi degli epatociti, la fibrosi e la
rigenerazione.
Necrosi. La necrosi epatocitaria è la lesione iniziale più importante che
sta alla base di ogni processo cirrogeno. La necrosi può essere causata da
un'azione tossica diretta (alcool, farmaci epatotossici), dall'accumulo negli
epatociti di ferro (emocromatosi) o di rame (m. di Wilson), da
meccanismi immunitari (epatite virale) od autoimmunitari o da
colestasi. Va sottolineato inoltre che, per svolgere azione cirrogena, la
necrosi deve essere ripetitiva o continua, essendo accertato che un episodio
isolato di necrosi acuta, anche se estesa, non porta a cirrosi. Tuttavia non
tutte le forme di necrosi hanno una eguale potenzialità cirrogena; quest'ultima
è per lo più condizionata dalle caratteristiche morfo-patogenetiche, dalla
estensione e dalla distribuzione topografica della necrosi in rapporto alle strutture microvascolari del
fegato.
I tipi di necrosi che più frequentemente evolvono in cirrosi sono rappresentati
dalla necrosi "piecemeal", dalle lesioni necrotiche in corso di epatopatia
alcoolica e dalla necrosi secondaria a colestasi.
Tuttavia anche la
necrosi anossica e la necrosi litica, anche se più raramente, possono essere
responsabili di un processo cirrogeno.
Per quanto riguarda l'importanza della distribuzione topografica della necrosi
nella morfo-genesi della cirrosi, si può dire che la necrosi isolata
perivenulare dell'acino semplice (zona 3) non è mai praticamente responsabile di
processi cirrogeni, mentre lo diventa la necrosi che interessa le zone 3 di
acini semplici adiacenti (necrosi della periferia dell'acino complesso), o le zone 3 e
2 dell'acino semplice (necrosi periacinare) o l'area acinare
peri-portale, con i caratteri della necrosi "piecemeal".
La fibrosi progressiva è il processo pato-genetico centrale della
cirrosi. Nel fegato normale il collageno interstiziale è concentrato negli spazi
portali, attorno alle vene centrolobulari e, in piccola quantità, negli spazi di
Disse. Nella cirrosi una quantità eccessiva di collageno si deposita non solo
negli spazi portali, ma anche all'interno dei lobuli formando struttute settali.
I sinudoidi a loro volta si trasformano in capillari per la formazione di una
membrana basale che compromette gravemente gli interscambi fra epatociti e
sangue.
La principale sorgente dell'eccesso di collageno nella cirrosi sono le
cellule stellate perisinusoidali di Ito e le cellule endoteliali
sinusoidali. Anche se normalmente le cellule stellate di Ito hanno la
funzione di immagazzinare vit. A, durante il processo patogenetico della
cirrosi, in seguito alla liberazione di citochine dalle cellule di Kupffer
attivate e da altre cellule infiammatorie, si attivano e si trasformano in
cellule simil-miofibroblasti in grado di produrre matrice collagena
extracellulare. Tuttavia la sintesi e la deposizione di collageno può essere la
conseguenza di una varietà di stimoli:
Flogosi cronica con produzione di citochine infiammatorie.
Citochine prodotte dalle cellule danneggiate (cellule di Kupffer, cellule
endoteliali, epatociti e cellule epitelali dei dotti biliari).
Distruzione della matrice extracellulare.
Stimolo diretto sulle cellule stellate da parte di tossine.
La fibrosi prevalentemente portale e periportale, :on allargamento "a
stella" degli spazi portali, si ealizza nelle aree di necrosi periportale e
della amina limitante ed è caratterizzata dalla formazione dei setti attivi che
si incuneano nel parenchima cinare dissociandolo. La fibrosi intracinare
rappresenta di regola la conseguenza di una necrosi confluente e ricalca quindi
la topografia di quest'ultima con realizzazione di fibrosi perivenulare e con
formazione di ponti fibrosi centro-centrali, porto-centrali e porto-portali.
Gli epatociti, le cellule epiteliali dei dotti biliari e le cellule indifferenziate progenitrici conservano il potenziale di moltiplicarsi durante tutta la vita adulta e si esplica in ogni suo processo distruttivo, ma che raggiunge nella cirrosi la sua massima espressione. In rapporto al tipo di agente etiologico, della natura e della estensione del danno epatocitario, la rigenerazione può avvenire attraverso almeno due meccanismi che coinvolgono o gli epatociti adulti differenziati che possono andare incontro a divisione (o moltiplicazione) o attraverso lo stimolo alla proliferazione delle cellule progenitrici. Nel fegato sono state individuate piccole "cellule ovali" capaci di differenziarsi in epatociti e nelle cellule epiteliali dei dotti biliari. La proliferazione di queste cellule dà origine dapprima a "epatociti duttulari" che possono differenziarsi sia in epatociti che in cellule epiteliali organizzate in duttuli biliari. E stato osservato che in seguito a necrosi epatica massiva compare una proliferazione di strutture duttulari che si connettono ai canali di Hering e quindi ai dotti biliari terminali all'interno degli spazi portali.
Il sovvertimento strutturale del parenchima epatico è responsabile di
evidenti alterazioni della microcircolazione intraepatica. E però discusso se la
ipertensione portale che ne deriva rappresenti la conseguenza della fibrosi o
della rigenerazione nodulare, come pure se essa risulti dallo strozzamento o
dalla occlusione dei piccoli rami portali intraepatici da parte del tessuto
fibroso cicatriziale retraente, oppure dalla compressione esercitata dai noduli
rigenerativi sulle radici delle vene sovraepatiche. E' certo comunque che nella
cirrosi epatica esiste sempre una notevole riduzione della rete portale
terminale (con diminuzione del volume di sangue che attraversa il fegato), cui
si associano l'obliterazione di numerose vene centrolobulari e la frequente
distorsione e compressione delle vene sotto-lobulari. è pertanto probabile che
molteplici siano i fenomeni che contribuiscono alla genesi dell'ipertensione
portale, pur dovendosi riconoscere che, nella maggior parte dei casi, importanza
patogenetica preminente spetta alla occlusione dei vasi venosi afferenti
piuttosto che di quelli efferenti.
All'aumento della pressione venosa portale contribuisce certamente anche
l'aumento delle anastomosi tra le sottili diramazioni dell'arteria epatica e
quelle della vena porta. Questi plessi artero-venosi che originano dagli spazi
portali prendono contatto con quelli che originano attorno alla vena epatica
terminale, venendosi così a formare delle anastomosi artero-venose e
veno-venose. La formazione di questi plessi si accompagna ad un aumento relativo
della portata dall'arteria epatica; in tal modo l'elevata pressione arteriosa si
trasmette ai vasi venosi aumentando la pressione portale.
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