appunti del dott. Claudio Italiano
Lo
sviluppo della diagnostica ha permesso di identificare nella biforcazione carotidea
la sede in cui con maggior frequenza è presente la lesione responsabile dell'ischemia
cerebrale, sede peraltro facilmente accessibile sia per un monitoraggio strumentale
nel tempo sia dal punto di vista anatomo-chirurgico. Pertanto contemporaneamente
grande diffusione ha avuto il trattamento chirurgico dell'insufficienza cerebro-vascolare,
che consiste nella riparazione della biforcazione carotidea prevalentemente, ma
non solo, con tecnica di endoarteriectomia. è peraltro ampiamente noto che vi siano
divergenze di vedute tra il chirurgo e il neurologo sulle indicazioni al trattamento
medico e a quello chirurgico, divergenze che, tuttavia, sono meno accentuate oggi
che alcuni anni or sono.
Gli elementi per un giudizio terapeutico corretto dovrebbero essere:
il pericolo intrinseco della lesione carotidea
in base alla sua morfologia, composizione, grado di stenosi, e possibilità di complicanze
locali quali tromboembolia, emorragia subplacca, trombosi.
l'attesa di vita e la presumibile qualità della vita del paziente,
concetto che quindi esula dalla semplice valutazione dell'età cronologica, ma entra
nel merito dei fattori di
rischio associati tra cui il più importante è quello coronarico.
l'evoluzione nel tempo della lesione
in termini di mortalità e morbilità, in caso di trattamento farmacologico o di trattamento
chirurgico; è importante tener conto di quanto incidono la morbilità e la mortalità
peroperatoria in caso di chirurgia.
L'uso
di sistemi di monitoraggio della funzione cerebrale, l'applicazione di shunt temporanei
durante la fase di clampaggio carotideo in casi a rischio, una accurata tecnica
chirurgica, il controllo angiografico intraoperatorio, la possibilità di operare
in anestesia periferica con blocco dei nervi cervicali, l'esperienza del chirurgo,
sono tutti elementi indispensabili a garantire la minor morbilità/mortalità peroperatoria
possibile; queste metodiche hanno altresì permesso negli ultimi anni di operare
in tutta sicurezza pazienti ultraottantenni con buona spettanza di vita e con rischio
chirurgico non più elevato di quello dei pazienti più giovani. Questa premessa è
indispensabile per comprendere come alla fine il giudizio terapeutico visto dal
chirurgo si riconduce poi in fondo al primo punto, e cioè la valutazione del pericolo
intrinseco della lesione carotidea effettuata caso per caso attraverso tutte le
metodiche diagnostiche anzi descritte e tenendo conto dei dati di letteratura (ampiamente
riportati nel capitolo precedente). Allo scopo di rendere più chiaro il problema,
si è cercato di procedere per schemi, suddividendo le lesioni carotidee in sintomatiche
e asintomatiche; un breve cenno sarà fatto alle indicazioni chirurgiche nell'ictus,
nell'insufficienza vertebrabasilare e alle attuali possibilità dell'intervenzionistica
a livello dei tronchi sopraortici.
Il paziente con stenosi della carotide
Intervento di endoarteriectomia
Il rischio cerebrovascolare
Allo stato attuale i pazienti con sintomi neurologici reversibili quali i TIA e i RIND sono considerati quelli che più si giovano della chirurgia carotidea preventiva dell'ictus cerebrale vero e proprio.I criteri di scelta sono la percentuale di stenosi del lume del vaso e la morfologia della placca. Per quanto riguarda la percentuale di stenosi comunemente viene portato al tavolo operatorio il paziente con stenosi carotidea, omolaterale all'emisfero cerebrale sintomatico, maggiore del 50% del diametro vasale. Per quanto riguarda la morfologia della placca viene posta indicazione anche per stenosi di grado inferiore al 50% quando l'ateroma sia di tipo soft, oppure sia ulcerato o presenti segni di emorragia subintimale; tali lesioni sono considerate "instabili", ad alto rischio tromboembolico e non a caso sono reperto frequente nei casi di TIA subentranti e crescendo-TIA . Pare opportuno ricordare che va considerato sintomatico anche il paziente con TAC o RM ce-rebrale positiva senza segni clinici neurologici. Così pure va operata la stenosi carotidea superiore al 70% con sintomi di insufficienza vertebra-basilare, mentre l'occlusione della carotide interna non dovrebbe essere mai operata purché dimostrata con certezza. Da quanto esposto risulta evidente che nei pazienti con TIA o RIND l'indicazione alla terapia antiaggregante o alla terapia chirurgica diverge da quanto comunemente sostenuto dalla letteratura neurologica e internistica rispetto a quella chirurgica solo per le stenosi moderate (fino al 69%). Effettivamente i principali studi prospettici in corso, NASCET (North American Syntomatic Carotid Endoarteriectomy), ECST (European Carotid Surgery Trial), DVA (Department of Veterans Administration), dimostrano un reale vantaggio della chirurgia sulla sola terapia antiaggregante nelle stenosi serrate e iperserrate (oltre il 70%). Non è del tutto dimostrato il vantaggio nelle stenosi lievi e moderate (30-70%).
In una recente relazione congressuale Hertzer ha sostanzialmente confermato tali
dati ed ha pertanto suggerito di operare:
- le stenosi > o = al 70%
- le stenosi > o - al 50%
se consistenti in placche a rischio o se durante il trattamento antiaggregante intervengono
nuovi sintomi neurologici. Nel porre l'indicazione alla TEA carotidea occorre altresì
considerare altri due elementi:
il rischio di un nuovo attacco ischemico cerebrale è massimo nel primo anno dopo
un TIA; pertanto una stenosi > o = al 70% da placca "stabile" non dovrebbe essere
operata se il TIA risale a più di un anno prima
è dimostrato che il reale vantaggio della chirurgia della carotide sintomatica
nella pre-venzione dell'ictus si ottiene per indici di morbilità/mortalità chirurgica
molto bassi, possibilmente tra l'1 e il 3%, al massimo 5%; tale vantaggio è fortemente
diminuito fino all'annullamento per indici tra il 5 e il 10% Indicazioni chirurgiche
nell'ictus
E' opinione comune che i pazienti con ictus in fase acuta, con deficit neurologici
non stabilizzati o gravi, e ancor più coloro che presentano alterazioni dello stato
di coscienza debbano essere trattati farmacologicamente e lo stesso atteggiamento
vada adottato nei RIND. Nella maggior parte delle casistiche chirurgiche la mortalità
operatoria è elevata, fino a punte del 60%, il che è inaccettabile. Vi è pur tuttavia
una fascia di operabilità delle stenosi carotidee causa del grave incidente cerebrale
e questa si pone entro le prime 5-6 ore dal momento dell'inizio dei sintomi; è evidente
che in questo breve lasso di tempo occorre eseguire un'arteriografia che studi anche
il circolo intracranico e in particolare lo stato dell'arteria cerebrale media e
anteriore, un Eco-Doppler ed una TAC o meglio una RM cerebrale. L'intervento d'urgenza
è considerato utile se ovviamente è documentata la stenosi carotidea, soprattutto
se la placca è in evoluzione, se non vi è trombosi intra ed extracranica e se RM
e TAC sono ancora negative. Il paziente con ictus cerebrale stabilizzato e focolaio
cerebrale consolidato alla TAC (generalmente 5-6 settimane dopo la fase acuta) potrà
avvalersi della chirurgia carotidea della eventuale stenosi responsabile del quadro
clinico per prevenire nuovi ictus che mediamente si verificano con frequenza del
10% per anno, oppure per correggere una stenosi carotidea controlaterale in presenza
di occlusione carotidea dal lato sintomatico. Esistono, sebbene rare, le false occlusioni
della carotide interna; il sospetto nasce quando le indagini strumentali di routine
fanno porre questa diagnosi, ma vi sono ancora sintomi "carotidei" più o meno gravi
da quel lato. In questi particolari casi l'Eco-Color Doppler e ancor più una arteriografia
digitalizzata selettiva con tempi molto lunghi possono evidenziare un sottile lume
residuo alla carotide interna; è personale opinione che sia giustificata l'esplorazione
chirurgica qualora il sospetto clinico non venga chiarito nemmeno dopo ulteriori
indagini; in cinque pazienti operati le false occlusioni si sono rivelate stenosi
pre-occlusive.
Più controversa tra Neurologi e Chirurghi è l'indicazione alla chirurgia nelle lesioni
carotidee asintomatiche, scoperte casualmente nello studio di un soffio cervicale
o in corso di controlli clinici strumentali in pazienti a rischio cardio-vascolare.
Il miglioramento delle indagini non invasive ha consentito negli ultimi anni di
meglio studiare la morfologia della placca arteriosclerotica e la sua evoluzione
nel tempo; così si è potuto individuare meglio quali sono i pazienti portatori di
stenosi carotidea asintomatica che rischiano maggiormente l'ictus e che pertanto
dovrebbero essere sottoposti alla chirurgia preventiva.
In sostanza, attualmente i chirurghi vascolari pongono indicazione all'intervento
chirurgico:
nelle stenosi carotidee di grado superiore al 75%
nelle stenosi di grado superiore al 50% se si tratta di placche "in evoluzione"
nelle stenosi carotidee bilaterali superiori al 50% operando dal lato dell'emisfero
dominante
nelle stenosi carotidee maggiori al 50% con occlusione carotidea controlaterale.
Hobson ha recentemente riferito i risultati del trial della Veterans Administration
sostenendo che la chirurgia preventiva rispetto alla sola terapia antiaggregante
può ridurre del 50% il rischio di ictus a patto che il chirurgo sia in grado di
mantenere il rischio chirurgico cumulativo morbilità/mortalità al di sotto del 5%;
lo studio randomizzato riguardava portatori di stenosi carotidee superiori al 50%.
In realtà altri studi quali il Toronto Asyntomatic Cervical Bruit Study del 1984
e di O'Holleran del 1987 hanno dimostrato che anche per le lesioni asintomatiche
come per le sintomatiche il reale vantaggio della terapia chirurgica su quella antiaggregante
si ottiene per stenosi superiori al 75%.
Discusso e ancora lontano da una definitiva razionalizzazione è il ruolo della chirurgia
nei disturbi del circolo cerebrale posteriore innanzitutto perché la correlazione
tra lesione arteriosa anatomo-radiologica e sintomo non è sempre facile e perché
di conseguenza la correzione della lesione medesima non sempre porta alla scomparsa
dei sintomi. Pertanto preferiamo accennare al problema delle indicazioni senza troppo
addentrarci in una materia solo parzialmente codificata. Innanzitutto la stenosi
del tratto prossimale dell'arteria vertebrale è la lesione angiografi-ca più frequente
e più spesso causa di IVB. La seconda causa di sintomi da insufficienza vertebro-basilare
è la stenosi serrata o l'occlusione del 1° tratto dell'arteria succlavia con o senza
inversione di flusso nella vertebrale tale da determinare il furto vertebro-basilare
intermittente o permanente. Tra le cause di sintomi da IVB vi sono anche le stenosi
serrate più spesso bilaterali carotidee associate o no a lesioni succlavio-vertebrali.
Meno frequenti le lesioni stenosanti del tratto cervicale dell'arteria vertebrale
e in particolare quelle da compressione estrinseca.
Allo stato attuale noi riteniamo che la terapia debba essere chirurgica nelle
seguenti situazioni:
stenosi carotidee superiori al 75% con simultanea stenosi vertebrale; in questo
caso è opportuno correggere prima la o le stenosi della carotide poiché nel 50-70%
dei casi i sintomi di ICV scompaiono; solo se la lesione vertebrale è omolaterale
alla carotide conviene correggerla nello stesso intervento
nei casi di lesioni succlavio-vertebrale embolizzanti con danno evidente alla
TAC o alla RM è opportuno correggere la lesione stessa.
Nei pazienti con sintomi di IVB di tipo emodinamico, viceversa, è sempre opportuno
un tentativo di trattamento farmacologico con antiaggreganti, calcio-antagonisti,
vasodilatatori e solo nel caso di evidente fallimento terapeutico è consigliato
l'intervento chirurgico sull'asse succlavio-vertebrale; in caso di lesioni stenosanti
bilaterali delle arterie sarà opportuno operare per prima la vertebrale dominante,
cioè di maggior calibro all'angiografia.
Grande diffusione ha raggiunto l'angioplastica percutanea transluminale (PTA)
per la cura delle stenosi e delle brevi occlusioni coronariche, renali, iliaco-femorali
e popliteo-tibiali. Nell'ambito del trattamento dei tronchi cerebro-afferenti vi
sono, viceversa, alcune certezze e altre situazioni in cui il suo ruolo è ancora
criticato e comunque da verificare negli anni quando saranno riportate casistiche
ampie. L'angioplastica delle arterie succlavie è indi-cata nelle stenosi o nelle
brevi occlusioni sin-tomatiche; può essere effettuata per via anterograda femorale
o retrograda axillo-omerale: i risultati immediati e a distanza sono eccellenti
con pervietà nel 95% dei casi. Di fatto questa metodica ha ridotto moltissimo la
chirurgia della succlavia con risultati addirittura migliori.
Lo stesso dicasi per il tronco anonimo e della carotide comune all'origine anch'essi
aggredirli per vie femorale, oppure carotideo o axillo-omerale; nel primo caso l'intervento
chirurgico richiederebbe addirittura una ster-notomia e un clampaggio parziale dell'aorta
e pertanto il vantaggio per il paziente è ancora più evidente. Nelle lesioni dei
tratti prossimali dei tronchi sopraortici quali anonima, carotide comune destra
e sinistra si può procedere mediante isolamento distale alla lesione al collo e
dilatare prossimalmente evitando qualsiasi rischio di embolia peroperatoria. Tale
tecnica permette, in associazione, di riparare eventuali lesioni alla biforcazione
carotidea. L'angioplastica per le stenosi sintomatiche delle arterie vertebrali
dà risultati meno soddisfacenti poiché la placca generalmente è nel 1° tratto dell'arteria,
ha spesso caratteristiche fibrocalcifiche e in realtà è una placca che origina dalle
succlavie; tende pertanto a dare facilmente dissezione durante la procedura e restenosi
precoce. Per quanto riguarda la PTA delle carotidi, premesso che essa va eseguita
preferibilmente per via femorale ascendente, occorre precisare quali sono le indicazioni
codificate e quali in via di definizione (ricordiamo che verranno trattate con questa
tecnica solo lesioni sintomatiche).
Le indicazioni codificate sono:
le stenosi della carotide comune
la displasia fibromuscolare della carotide interna
le stenosi post operatorie
le stenosi della carotide esterna con interna occlusa
le stenosi carotidee post-attiniche.
Sulle lesioni stenosanti arteriosclerotiche della carotide interna vi sono
ancora poche esperienze pubblicate: allo stato attuale si preferiscono trattare
stenosi brevi, lisce, non calcifiche, non ulcerate. Recentemente sono trattate con
successo anche placche soft ulcerate. Il rischio mortalità/morbilità cumulativo
nelle casistiche riportate non supera mai il 4-5%, per questo i sostenitori della
PTA carotidea ritengono che la tecnica dovrebbe essere estesa in alternativa alla
chirurgia nelle lesioni sopra riportate.