appunti del dott. Claudio Italiano
cfr anche carcinoma_della_vescica
Gia' nel 1879 il dott. P.Pott aveva osservato che alcuni tumori dipendevano dall'esposizione prolungata ad inquinanti ambientali; in particolare egli aveva osservato una grande incidenza di cancro dello scroto nello spazzacamino. Lo stesso potevasi dire, già alla fine del 1800, per l'elevata incidenza del cancro vescicale nei lavoratori delle industrie di coloranti.
Sin da allora si era dunque cercato di stabilire una relazione tra insorgenza del tumore e situazioni ambientali ed occupazionali, ed il cancro della vescica ha costituito a questo riguardo l'oggetto di studio più interessante.
Il rapporto tra maschi e donne è di 4:1; la più alta mortalità si è riscontrata
in Italia in soggetti di età compresa tra i 70 ed i 75 anni con 504 decessi/anno.
In linea generale tutte le statistiche mondiali indicano un aumento progressivo
di frequenza di questa forma neoplastica, aumento che, eliminati i fattori di errore
statistico, quali l'incremento diffuso della durata media della vita ed il miglioramento
delle tecniche di accertamento, risulta reale ed allarmante essendo praticamente
ubiquitario e di entità superiore a quello di quasi tutti i tumori urologici ed
a molti di quelli extraurologici. Il tumore della vescica predomina nel sesso maschile
nel rapporto di 2-3/1 con tendenza ad un incremento nella popolazione più giovane.
è più frequente nelle città densamente popolate e nelle aree industrializzate rispetto
alle zone rurali; il fatto che l'incidenza di questo tumore sia differente in paesi
geograficamente vicini ed in popolazioni etnicamente affini (ad esempio è elevata
in Inghilterra, Galles, Scozia, minore in Irlanda) indirettamente conferma che fattori
ambientali ed occupazionali più che la razza sono determinanti nella sua etiologia.
Dai molti studi di confronto effettuati tra categorie diverse di lavoratori per
stabilire quali fossero le più soggette al rischio, sono emersi che i soggetti più
colpiti sono gli operai addetti a:
-sostanze coloranti;
-di materie plastiche;
-di cuoi e pellami (specie tra gli addetti ai reparti di rifinitura);
-della industria tessile
-i cuochi
-parrucchieri
-pittori.
Valgano pochi dati a conferma di tali indagini epidemiologiche: negli operai di
una fabbrica di coloranti è stata riscontrata una frequenza di cancro vescicale
del 26.2%, contro il tasso di incidenza generale della popolazione che si
aggira intorno allo 0.29 per 1000; la possibilità di sviluppare un tumore della
vescica è stata stabilita di 61 volte maggiore tra lavoratori della 2-Naftilamina
rispetto alla popolazione generale, di 19 volte maggiore tra i lavoratori della
Benzidina e di 16 volte maggiore tra quelli della 1-Naftilamina commerciale.
Per quanto riguarda i coloranti e le sostanze chimiche l'anilina precedentemente
incriminata, di per sé non è cancerogena mentre lo sono certamente la 2-Naftilamina,
il 4-Aminodifenile o Xenilanina, la Benzidina e la 1-Naftilamina.
In particolare vengono ritenute cancerogene le seguenti sostanze:
4-Aminodifenile
Auramina (manifattura)
Benzidina
Ciclofosfamide
Fenacetina
N-Fenil-2-Naftilamina
Isoniazide
2-Naftilamina
Orto-e para-Toluidina
Olii minerali, catrame, fuliggine
Piombo e certi composti
L'ipotesi più valida ed oggi generalmente accettata è che la proprietà oncogena di questi composti risieda nei loro prodotti di degradazione piuttosto che nel composto di partenza. Nell'ambito dei fattori esogeni, oltre a quelli connessi con l'esposizione professionale, sono stati identificati altri agenti in varia misura oncogeni, quali l'inquinamento atmosferico secondario a fumi industriali e alla combustione di motori (benzopirene); tossici voluttuari come fumo e caffè; fattori alimentari (additivi per la conservazione dei cibi e dolcificanti); radiazioni; virus; schistosomiasi. Manca tuttavia per gran parte di essi una esatta ed obiettiva valutazione della reale incidenza nell'e-tiologia dell'affezione. Per quanto riguarda il fumo, la sua azione sarebbe duplice: diretta, tramite fattori cancerogeni come la 2-Naftilamina in esso contenuta, sia pure in modesta concentrazione (1 gamma per ogni 50 sigarette), ed indiretta per un'interferenza sul normale metabolismo del triptofano; il fumo sembrerebbe inoltre inibire la conversione dell'acido 3-Idrossi-antranilico in N-Metilnicotinamide per cui si verificherebbe un accumulo di metaboliti intermedi (ortoaminofenoli) nelle urine. La dimostrazione di un'attività cancerogena topica sull'urotelio da parte di questi derivati ortoaminofenolici confermerebbe lo stretto legame tra fumo e neoplasia vescicale, così come l'aumento di incidenza di questa neoplasia nelle donne, in certo senso parallelo al mutato atteggiamento femminile nei confronti del fumo, sembra essere un'ulteriore riprova.
D'altra parte non si
possono trascurare neppure altri rilevamenti che lasciano piuttosto scettici circa
un rapporto diretto di causa-effetto tra fumo di sigaretta e cancro vescicale. L'inusuale,
elevata incidenza del cancro vescicale in paesi in via di sviluppo dove è possibile
riscontrare anche un'alta percentuale di casi di schistosomiasi è stato il primo
dato che ha suggerito l'ipotesi di una associazione tra queste due affezioni. Una
convalida è venuta dall'osservazione dell'alta frequenza di cancro vescicale di
tipo epidermoidale nelle aree dove l'infestazione è endemica rispetto alle altre
regioni. Nell'oncogenesi vescicale non professionale un posto di rilievo spetta
al triptofano ed ai suoi metaboliti che vengono spesso ritrovati in quantità elevate
nelle urine di portatori di carcinoma uroteliale. L'alto numero di neoplasie vescicali
sperimentali ottenute impiantando palline di colesterolo contenenti le amine aromatiche
derivate dal triptofano nella vescica di ratti, è la conferma del loro reale contributo
alla carcinogenesi vescicale. Fra i metaboliti, la 3-Idrossichinurenina, l'acido
β-Idrossiantranilico e il 2-Amino-3-Idrossiacetofenone, si sono dimostrati particolarmente
cancerogeni. Anche al caffè è stato attribuito un effetto carcinogenetico
essendosi osservato un rapporto statisticamente sospetto tra consumo di questa bevanda
ed aumento dell'incidenza del cancro vescicale. Un contributo all'insorgenza del
cancro vescicale è stato attribuito anche all'uso della saccarina e del ciclammato.
A seguito di tali segnalazioni si è bandito l'uso del ciclammato e quindi si è avviato
un acceso dibattito sulla restrizione all'uso della saccarina; entrambe queste sostanze
sono comunque oggi considerate dei potenti co-carcinogeni e la saccarina anche un
provato mutageno. Numerosi dati confermano l'alta incidenza di carcinomi a cellule
di transizione della pelvi renale in pazienti consumatori di grosse dosi di analgesici
contenenti fenacetina. Tuttora inspiegabili rimangono sia il fatto che questi tumori
colpiscono la pelvi renale più che la vescica, sia il rapporto uomini-donne che
tra le persone affette è inferiore addirittura a 1:1 quindi, notevolmente differente,
dal comune rapporto di 3/4:1. Egualmente poco chiara appare l'alta incidenza di
tumori a cellule transizionali localizzati alle vie urinarie superiori in pazienti
sofferenti di nefropatia Balcanica in Jugoslavia e zone limitrofe nei quali è invece
molto più rara l'insorgenza del tumore vescicale. Sia la peculiare distribuzione
geografica che l'associazione tra tumore e nefropatia sono ancora oggetto di studi
epidemiologici. Vari autori infine hanno espresso una ipotesi di diretta dipendenza
tra infezioni virali e neoplasia della vescica. Alcuni hanno dimostrato la presenza
di anticorpi serici in grado di neutralizzare il virus oncogeno SV40 nel 5% dei
pazienti indiani portatori di cancro vescicale. Altri ricercatori hanno fornito
prove ancora più convincenti isolando una particella RNA virus-simile da tumori
vescicali a cellule transizionali nell'uomo, dimostrando oltretutto la presenza
di anticorpi circolanti in grado di neutralizzare tale particella. Il fatto di non
aver mai ritrovato questa particella nei tessuti non neoplastici del tratto urinario
e le sue caratteristiche comuni a quelle di noti virus oncogeni, ne suggeriscono
un ulteriore approfondito esame.
L'ematuria può essere considerata il sintomo fondamentale di tutti i tumori del sistema urogenitale; anche se compare in numerose affezioni urologiche, la possibilità che essa sia di natura neoplastica è così importante da giustificare l'immediato ricorso ad ogni mezzo di ricerca per precisarne la natura; e, per contro, è assolutamente scorretto ogni atteggiamento astensionista o temporeggiatore, anche in caso di risoluzione spontanea del sanguinamento. L'ematuria macroscopica è la manifestazione di esordio più comune del tumore vescicale: costituisce infatti il primo sintomo in una percentuale che oscilla dal 61 % al 75%; l'irritabilità vescicale espressa da pollachiuria, minzione imperiosa, bruciori e dolori minzionali apre invece il quadro clinico nel restante 30% dei casi.
Non è però infrequente che questi soggetti sopportino anche a lungo la loro sintomatologia minzionale sino al momento in cui una sopraggiunta emorragia non conduce ad un approfondimento diagnostico. In questi casi, pur non essendo l'ematuria il sintomo d'esordio è da considerare comunque come primo sintomo di allarme. L'emorragia può essere franca ed abbondante o lieve e transitoria e non è possibile stabilire una reazione costante tra dimensione, sede, malignità del tumore ed entità del sanguinamento. Sebbene i tumori voluminosi siano più facilmente soggetti a sanguinare in maniera profusa, non è possibile escludere che ciò avvenga anche in caso di piccole neoformazioni, come d'altra parte si può verificare il caso di tumori di notevoli dimensioni che sanguinano pochissimo. L'emorragia può essere rappresentata dall'emissione di poche gocce di sangue all'inizio della minzione (ematuria iniziale) od alla fine di essa (ematuria terminale); generalmente però il sangue compare in modo pressoché uniforme durante tutta la minzione (ematuria totale). L'irritabilità vescicale che si esprime come pollachiuria ed imperio minzionale indica in genere una propagazione in profondità del tumore ed è legata a fenomeni ischemici ed ulcerativi della parete. L'estendersi dell'infiltrazione neoplastica comporta sempre una notevole accentuazione della sintomatologia irritativa (associata o non ad ematuria macroscopica) sia per l'evoluzione dei processi necrotici ed ulcerativi sia perché negli stadi avanzati è sempre presente una sovrapposizione batterica. Un dolore al fianco od ai punti pielo-ureterali può essere correlato ad un'ostruzione ureterale neoplastica così come un dolore pelvico deve far supporre una diffusione extra-vescicale; gli edemi agli arti inferiori indicano invece l'invasione dei linfonodi pelvici. Questi ultimi sintomi sono tuttavia presenti in fasi generalmente molto avanzate della malattia neoplastica, associati o meno alla tipica sintomatologia cachettica comune a tutte le neoplasie negli stadi progrediti.
Il 95% dei tumori della vescica è di tipo epiteliale ed in questo ambito più frequenti sono le forme a cellule di transizione, riproducenti cioè l'epitelio mucoso della via escretrice urinaria. I criteri per la diagnosi di malignità in queste neoplasie debbono di necessità fondarsi sugli aspetti anaplastici dell'epitelio, essendo gli altri caratteri non sempre manifesti o facilmente identificabili. L'aumento della cellularità, la molteplicità dei nuclei, l'alterazione della polarità cellulare e la mancata differenziazione dalla base verso la superficie, il polimorfismo e le accentuate differenze volumetriche, le modificazioni del volume nucleare e della ripartizione della cromatina al suo interno, le mitosi anomale, la presenza, infine, di cellule giganti sono tutti criteri di anaplasia. Brevi cenni descrittivi per le forme più frequenti ed in particolare per i tumori a cellule di transizione: il papilloma a cellule di transizione è un tumore papillare a delicato stroma fibrovascolare, ricoperto di epitelio transizionale del tutto regolare sovrapponibile al normale epitelio vescicale. Gli strati cellulari non sono mai più di sei. Macroscopicamente si manifesta come una forma vegetante provvista di un sottile peduncolo che si sfiocca in esili tralci papillari. Situazioni particolari sono la papillomatosi diffusa in cui tutta o quasi la mucosa è interessata da numerosissime forme papillari ed il papilloma a cellule di transizione di tipo inverso in cui la crescita del tumore è endofitica e non esofitica; questa forma spesso crea qualche difficoltà per la diagnosi differenziale con il carcinoma infiltrante. Carcinoma a cellule transizionali: è il classico urotelioma con chiari segni di anaplasia e spesso con tendenza invasiva, elementi in rapporto ai quali sarà di volta in volta caratterizzato. Macroscopicamente presenta una vasta gamma di atteggiamenti: dalla forma papillare, non molto dissimile dal semplice papilloma, se non per un aspetto più tozzo, meno delicato delle frange papillari e per un peduncolo più spesso, alla forma sessile a larga base di impianto, tenacemente aderente alla parete vescicale, con vegetazione carnosa in cui non sono facilmente distinguibili le singole frange, sino al tumore ulcerato ed infiltrante, esito generalmente di necrosi ed eliminazione della porzione vegetante. Se esistono dei focolai epidermoidali o ghiandolari metaplasici, si avranno le rispettive varianti del tumore a cellule transizionali, delle quali la forma epidermoidale è la più frequente.
Tumore costituito esclusivamente da cellule epidermoidi cioè produttrici di cheratina
o provviste di ponti intercellulari.
Tumore in cui tutte le cellule sono organizzate-a formare acini o tubuli ghiandolari,
o secernono muco. Si tratta di neoformazioni a sviluppo prevalente sulla cupola,
prendendo origine dall'uraco, che interessano profondamente la parete e solo in
un secondo tempo invadono la mucosa.
E' una neoplasia a struttura epiteliale troppo scarsamente differenziata per essere
classificabile come uno dei tumori sopra descritti.
Per quanto riguarda le altre caratteristiche a seconda il grado di differenziazione
e stadio del tumore abbiamo la classificazione TNM modificata parzialmente. Il grado
(grading) viene espresso, invece, dal simbolo "G" può presentare quattro varietà:
- GO, in cui non è presente anaplasia, corrisponde al papilloma: è un reperto piuttosto
raro, presente solo nel 3,5% di tutti gli esami istologici.
- G1, Carcinoma ben differenziato: le cellule che compongono presentano pochi segni
di anaplasia e riproducono piuttosto fedelmente le caratteristiche dell'epitelio
normale.
- G2, Carcinoma a differenziazione intermedia: raccoglie una vasta categoria di
tumori che vanno da un grado di anaplasia leggermente superiore al gruppo precedente,
sino a rasentare le forme indifferenziate.
- G3, Carcinoma indifferenziato: il grado di anaplasia è talmente elevato che non
è possibile riconoscere la struttura dell'epitelio vescicale. Talora sono presenti
foci metaplasici di tipo ghiandolare o di tipo squamoso.
La categoria pT indica l'estensione, verificata sul piano clinico, della neoplasia.
Per la definizione del pT sono assolutamente indispensabili i seguenti accertamenti:
esame clinico, urografia, cistoscopia, palpazione bimanuale in narcosi, biopsia
o resezione transuretrale, se è indicata, prima del trattamento definitivo. In mancanza
di uno o più di questi dati tumore deve essere indicato come pTX .
pT1= tumore che interessa la sola mucosa; pT2, anche lo strato muscolare, pT3 lo
strato muscolare profondo, pT4 le strutture adiacenti.
Categoria N: indica il coinvolgimento dei linfonodi regionali o iuxtaregionali.
I primi sono quelli pelvici al di sotto della biforcazione delle arterie iliache
comuni; gli iuxtaregionali sono gli inguinali, gli iliaci comuni ed i paraortici.
Per la definizione della categoria N sono indispensabili l'esame clinico, la linfografia,
l'urografia.
Categoria M: è riferita alle metastasi a distanza; richiede per la definizione:
l'esame clinico, la radiografia del torace ed alcuni tests biochimici. Nelle forme
avanzate o nelle forme sospette, si debbono aggiungere ulteriori indagini radiografiche
ed isotopiche (TAC o scintigrafia dello scheletro, del cranio, ecc.).
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