Ascite refrattaria

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cfr in tema:  Il paziente edematoso 

Ascite refrattaria, di che cosa parliamo?

La condizione in cui il trattamento diuretico, seppure ad alti dosaggi, non è in grado dì risolvere il versamento ascitico, né di prevenire una rapida recidiva dopo paracentesi è definita come ascite refrattaria. Nel contesto dell'ascite refrattaria sì distingue una ascite diureticoresistente ed una ascite diuretico-intrattabile. Nel primo caso si ha una mancata risposta terapeutica ad elevati dosaggi di diuretici, nel secondo caso si ha una risposta al trattamento diuretico, che pur tuttavia deve essere interrotto per l'insorgenza di effetti collaterali. L'insorgenza di ascite refrattaria, che si verifica nel 5-6% dei pazienti con ascite, è legata ad una serie complessa di alterazioni della funzione epatica dell'emodinamica sistemica e della funzione renale che dipende dalla progressione della malattia. In particolare il progredire dell'ipertensione portale porta ad un progressivo aggravamento della sindrome circolatoria iperdinamica con ulteriore riduzione della volemia efficace ed attivazione di sistemi neuro-ormonali quali il sistema RAA e SNS. In queste condizioni si ha un progressivo incremento delle resistenze renali ed una ulteriore riduzione del filtrato glomerulare e della portata renale plasmatica; poiché si ha una riduzione più spiccata del flusso renale che del filtrato glomerulare, la frazione di filtrazione aumenta, favorendo il riassorbimento del sodio a livello del tubulo prossimale.

Anche gli alti livelli di angiotensina II e l'attivazione del simpatico renale stimolano il riassorbimento prossimale del sodio che risulta particolarmente intenso in questa condizione. Pertanto, sia per una riduzione del sodio filtrato sia per l'aumento del riassorbimento prossimale del sodio si ha una drammatica riduzione della quantità di sodio che raggiunge l'ansa di Henle ed il tubulo distale. E' chiaro che in queste condizioni l'efficacia di diuretici che agiscono o a livello dell'ansa di Henle come la furosemide, o a livello del tubulo distale, come gli antialdosteronici, sarà grandemente ridotta. Occorre inoltre distinguere la vera ascite refrattaria da tutte quelle condizioni in cui la refrattarietà non è dovuta ad un progressivo deterioramento della funzione renale bensì ad una condotta terapeutica non corretta.

Il difficile trattamento dell'ascite refrattaria

La mancata prescrizione di una dieta iposodica o una mancata adesione ad essa da parte del paziente sono delle frequenti cause della inefficacia della terapia diuretica. Questa situazione dovrebbe essere sospettata in tutti i casi in cui il peso corporeo non diminuisce e l'ascite non si riduce nonostante una buona risposta ai diuretici, facilmente evidenziabile attraverso la misurazione dell'escrezione urinaria di sodio In generale, affinché l'ascite si possa ridurre, l'ingestione giornaliera di sodio dovrebbe essere inferiore alla natriuresi di almeno 40 mEq/die. La mancata risposta alla terapia diuretica può essere dovuta anche a un uso inadeguato di questi farmaci: come già discusso in precedenza, i diuretici d'ansa, pur avendo una potenza natriuretica intrinseca molto più elevata rispetto agli antialdosteronici, sono assai meno efficaci di questi ultimi nel determinare una risposta natriuretica nei pazienti con cirrosi ed ascite. I meccanismi responsabili della ridotta risposta ai diuretici d'ansa in questo tipo di pazienti non sono ancora del tutto noti. Peraltro, l'ipotesi più probabile è che la resistenza alla furosemide sia dovuta a fenomeni di tipo farmacodinamico. ascite refrattaria con estroflessione della cicatrice ombelicaleQuesto farmaco, come pure gli altri diuretici d'ansa, non sarebbe cioè in grado di determinare un aumento della escrezione di sodio in questi pazienti o perché la quantità di sodio che raggiunge il tratto ascendente dell'ansa di Henle è ridotta a causa di un eccessivo riassorbimento prossimale oppure perché il sodio che sfugge al riassorbimento nell'ansa di Henle per effetto della furosemide viene poi riassorbito nel tubulo distale a causa dell'iperaldosteronismo. L'importanza di quest'ultimo meccanismo è confermata dall'osservazione che i pazienti che non rispondono alla furosemide sono quelli con i più alti livelli plasmatici di aldosterone. Qualsiasi schema terapeutico utilizzato nel trattamento dei pazienti con cirrosi ed ascite deve pertanto comprendere un antialdosteronico. La ridotta risposta alla terapia diuretica è legata non solo a motivazioni di carattere farmacodinamico ma anche farmacocinetico. Il volume di distribuzione del farmaco è aumentato a causa sia di un ridotto legame con l'albumina che per il passaggio del farmaco nel liquido ascitico. Queste alterazioni fanno sì che una parte del farmaco sia sequestrata e che quindi una minor quantità di esso raggiunga il tubulo.

La riduzione del flusso renale si riflette sulla clearance renale del farmaco, per cui una minore quantità di farmaco può raggiungere il lume del tubulo renale. Infine, nei pazienti con cirrosi ed ascite l'assunzione di farmaci antiflogistici non steroidei (aspirina, fenilbutazone, indometacina, ibuprofen, naprossene e altri) determina una riduzione anche marcata della perfusione renale, del filtrato glomerulare, della capacità di eliminare acqua e sodio e della risposta diuretica alla furosemide e agli antialdosteronici. Tutti questi effetti, che sarebbero dovuti alla capacità di questi farmaci di inibire la sintesi renale di prostaglandine sono risultati rapidamente reversibili dopo la sospensione del farmaco. Una volta certi che il paziente presenta una ascite refrattaria vera si impongono quindi per il clinico scelte alternative al trattamento diuretico, che prevedono l'impiego di paracentesi ripetute, shunt di LeVeen oppure dello shunt portosistemico transgiugulare intraepatico (TIPS). Le paracentesi ripetute rappresentano il trattamento di scelta per l'ascite refrattaria. Questo orientamento è confermato da un recente studio controllato in cui è stata valutata in un gruppo di pazienti con ascite refrattaria l'efficacia delle paracentesi ripetute e dello shunt peritoneo-venoso. Entrambi i trattamenti sono egualmente efficaci nel mobilizzare l'ascite. Ovviamente i pazienti trattati con paracentesi hanno richiesto un maggior numero di riammissioni in ospedale, ma la durata complessiva di ospedalizzazione, l'incidenza di complicanze e la sopravvivenza sono risultate simili nei due gruppi.  

Indicazione alla paracentesi evacuativa

paracentesi, punto per inserire l'ago

Il trattamento diuretico dell'ascite in corso di cirrosi, come già discusso nella sezione precedente, è molto spesso efficace ma non privo di effetti collaterali anche severi; inoltre, la quantità di liquido che è possibile rimuovere giornalmente è molto bassa (300-500 mg/die), il che comporta per pazienti con versamenti imponenti periodi di ospedalizzazione prolungati. Negli ultimi anni la paracentesi è stata riproposta come trattamento sicuro ed efficace in pazienti con ascite tesa. In una serie di studi controllati è stata confrontata l'efficacia di paracentesi ripetute (4-6 l/die) accompagnate dall'infusione endovenosa di albumina umana (8 g per litro di ascite rimossa) rispetto alla terapia diuretica tradizionale (antialdosteronici e furosemide a dosi crescenti) in pazienti con ascite tesa e avida ritenzione idrosodica.

Tecnica

La procedura può eseguirsi in un ambulatorio oppure nello studio del dottore o in una clinica "day-hospital". Eseguito da mani esperti, è un'operazione molto sicura, anche se vi è un piccolo rischio di infettare la cavità, di causare un sanguinamento eccessivo o di perforare un'ansa intestinale. Durante la procedura, ai pazienti si chiede di giacere supini e di scoprire l'addome. Dopo la pulizia del lato dell'addome con una soluzione antisettica, il medico-chirurgo provvederà ad anestetizzare una piccola area della pelle e successivamente ad inserire un ago di larghezza ragionevole (assieme ad un'anima-tubo in plastica all'interno) ad una profondità di 2-5 cm, (perforando pelle, grasso, una zona tendinea dei muscoli retto e trasverso dell'addome ed il sottile peritoneo parietale) per raggiungere il fluido peritoneale (fluido ascitico o ascite). L'ago poi viene rimosso, lasciando in sede l'anima in plastica (un tubo con molti fori) che viene connesso ad un altro tubicino che porta ad una sacca di drenaggio. Il fluido può essere drenato per gravità, per connessione ad una sacca a "pressione negativa" (a soffietto), oppure ad una bottiglia in cui è stato fatto il vuoto. Fino a 10 litri di fluido possono essere aspirati durante la procedura. Se il drenaggio del fluido è maggiore a 5 litri, i pazienti possono ricevere albumina intravenosa (25% albumina, 8g/L) per prevenire che si instauri ipotensione (bassa pressione arteriosa). Di solito la procedura non è dolorosa; i pazienti non richiedono sedazione. Una volta eseguita, se il paziente non lamenta capogiri e mantiene una buona pressione arteriosa dopo la procedura, in seguito può essere dimesso ed inviato a casa immediatamente (ma si sconsigliano sforzi e movimenti bruschi).

Questi studi indicano chiaramente che la paracentesi con infusione di albumina è più efficace del trattamento diuretico (97% di successi nei confronti del 73%) nell'ottenere la risoluzione completa del versamento, senza che ciò comporti una maggiore incidenza di effetti collaterali a carico della funzione epatica e renale e/o dell'equilibrio idro-elettrolitico. Inoltre, il periodo di ospedalizzazione è significati vamente più breve nei pazienti trattati con paracentesi, mentre la necessità di nuovi ricoveri per la recidiva del versamento, la sopravvivenza e le cause di morte non sono risultate differenti nei due gruppi. La paracentesi e la conseguente rimozione di liquido ascitico è seguita da modificazioni dell'emodinamica sistemica, della funzione renale e dell'assetto dei principali sistemi ormonali. Infatti, dopo un iniziale miglioramento dell'emodinamica sistemica, che si verifica nelle prime tre ore dopo la paracentesi, si ha, tra le 12 e le 24 ore, una riduzione della gittata cardiaca, della pressione venosa centrale, della pressione polmonare a catetere occluso, della clearance della creatinina e della concentrazione del sodio nel siero. Queste alterazioni emodinarniche si associano ad un'attivazione del sistema RAA e a una riduzione dei livelli circolanti di fattore atriale. Un paziente affetto da ascite tesa. Notare l'enorme volume della pancia. Il paziente era stato sottoposto a 2 paracentesi evacuativeTali alterazioni sono evidentemente dovute ad una brusca riduzione della volemia efficace, che è probabilmente ' secondaria ad un rapido riaccumulo di liquido ascitico nella cavità peritoneale dopo la paracentesi. Appare quindi evidente che la somministrazione di albumina rappresenta un presidio terapeutico efficace, capace di prevenire la riduzione della volemia efficace e quindi le potenziali complicanze che seguono questo evento. A conferma di questa ipotesi, nei pazienti ìn cui la paracentesi non è accompagnata dalla somministrazione di albumina si riscontra una incidenza significativamente maggiore di complicanze quali l'iponatremia e l'insufficienza renale. 

Poiché l'impiego dell'albumina può essere limitato dai costi elevati, è stato anche proposto l'uso di altri plasma expander quali emagel o destrano 70: in un recente studio controllato un vasto gruppo di pazienti con cirrosi ed ascite, che veniva sottoposto a paracentesi, è stato randomizzato a ricevere albumina, destrano 70 oppure emagel. Non sono state osservate differenze sìgnificative tra i tre farmaci in termini di complicanze maggiori. Tuttavia, gli autori hanno considerato nello studio un particolare marcatore della volemia efficace, cioè l'attività reninica plasmatica, che è stata valutata al 6' giorno dopo la paracentesi. Nei pazienti che presentavano un incremento della renina maggiore del 50% rispetto ai livelli osservati prima della paracentesi, ovvero superiore a 4 ng/ml/h, l'incremento della reninemia tendeva a persistere nel tempo e soprattutto era associato ad una prognosi peggiore. L'incidenza di questa alterazione è risultata significativamente più bassa nei pazienti trattati con albumina rispetto a quelli trattati con destrano od emagel.

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